Noi: il film di Jordan Peele non parla (ancora) di noi

Noi è un passo avanti nella ricerca dell’universalità di Jordan Peele, ma è ancora indissolubilmente legato all’America

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Noi

Noi di Jordan Peele è su Netflix

Scappa – Get Out di Jordan Peele fu un fulmine a ciel sereno per una lunga serie di motivi, che vanno dal fatto che si trattava di un thriller ottimamente diretto da un ex comico che non aveva mai dimostrato affinità con il genere proseguendo con il fatto che era un film mainstream con sangue e violenza nel quale i protagonisti non erano la solita coppia di bianchi biondi e con gli occhi azzurri ma una coppia mista. Era un film profondamente radicato nelle diseguaglianze sociali americane e in particolare nella questione razziale, e quindi approcciabile da chiunque ma fatto in modo tale da colpire più profondamente una certa fetta di pubblico. Noi, che arriva ora su Netflix a tre anni dall’uscita al cinema, è un modo per Jordan Peele per proseguire questo discorso e allargarlo: questa volta, invece di un conflitto tra bianchi e neri, il suo sguardo si sposta sulla lotta di classe, e in particolare sul peso del privilegio. Un argomento teoricamente più universale del precedente, ma ancora legato inestricabilmente al contesto americano.

L’aspetto più impressionante di Noi, che è tale anche perché colpisce fin dai primissimi minuti di film, è quanto controllo abbia Jordan Peele della materia cinematografica, e in particolare dell’horror – come lui stesso ci tenne a rimarcare poco prima dell’uscita, indispettito o dispiaciuto del fatto che Get Out fosse stato descritto da più parti come “non esattamente un horror…”. Le prime sequenze di Noi contengono più materiale di quanto ce ne sia in altri horror interi, e contemporaneamente dimostrano l’amore per il genere dell’autore, che cita – senza ammiccare ma integrandoli nel tessuto del suo racconto – un po’ di tutto, da Shining a Lo squalo.

C’è una classica sequenza introduttiva ambientata nel passato, che come da tradizione sembra suggerirci la chiave di lettura di tutto quello che succederà poi (salvo smentire, quasi a giochi fatti, certi dettagli che dettagli non sono, e che ribaltano completamente la percezione di quanto avvenuto fin lì). C’è una bambina traumatizzata che sembra Linda Blair nelle prime fasi della sua possessione e due genitori che non sanno come affrontare la situazione. C’è un salto avanti fino al presente, dove re-incontriamo la bambina e scopriamo che si è sposata e ha pure avuto due figli. C’è un ritorno alle origini, una vacanza al mare nel luogo dove, tanti anni prima, Adelaide aveva subito il succitato trauma. E ci sono delle misteriose figure armate di forbici fuori dalla finestra.

Noi è ingannevole, proprio grazie al suo uso costante di tropes dei generi a cui fa riferimento, senza alcun indizio preventivo sul trattamento che riceveranno (alcuni vengono seguiti alla lettera, altri vengono ribaltati senza riguardo). Ti convince di essere uno home invasion vagamente soprannaturale, un Funny Games dove al posto di due ragazzi annoiati ci sono i cloni dei padroni di casa. Ti terrorizza sventolandoti un fiammifero davanti agli occhi, ti colpisce alle ginocchia… e poi, pian piano, subdolamente, diventa qualcosa d’altro, quello a cui Peele puntava fin dall’inizio, come si realizza dalla seconda visione in avanti.

Ed è qui che arriviamo al discorso sull’universalità. I Doppelgänger di Noi sono, come dicono loro stessi, “americani”. L’idea è quella che per ogni americano che vive nel privilegio (la famiglia di Lupita Nyong’o ha una gigantesca casa vacanze in California e il marito può permettersi di comprare una barca perché l’ha vista e gli è piaciuta) esista una metà oscura, oppressa e dimenticata e la cui sofferenza serve ad alimentare il suddetto privilegio. In Get Out Peele puntava il dito sul modo in cui i bianchi vedono i neri in America; in Noi lo sposta invece sui ricchi, i benestanti, volendo anche la gente come lui, che ha i soldi, sta bene e tende quindi a dimenticarsi su cosa si appoggi la sua poltrona di privilegio.

Ovviamente un discorso del genere si può applicare, nelle sue linee generali, a più o meno tutto il mondo: non esiste un angolo del pianeta, a parte quelli abbandonati o inabitabili, nel quale non esistano diseguaglianze, e dove esistono diseguaglianze esiste di conseguenza anche chi sta sopra e chi sta sotto. Peele però fa capire più volte, e in maniera piuttosto esplicita, che Noi si rivolge in particolare ai suoi connazionali; i Tethered, i cloni oscuri creati dal governo e poi abbandonati nei tunnel sotto l’America, si presentano alla famiglia di Adelaide dicendo “siamo americani”, non “siamo esseri umani”. Peele stesso, nel commento al film che trovate sull’edizione home video di Noi, esplicita la sua intenzione, spiegando che “uno dei temi centrali del film è quanto siamo bravi a ignorare le ramificazioni del privilegio […] una delle cose peggiori che possiamo fare in quanto statunitensi, e quindi caratterizzati da un privilegio collettivo, è pensare che ce lo siamo meritato, e che non sia solo fortuna se siamo nati dove siamo nati”.

Il messaggio di Noi è insomma facilmente trasferibile ad altre realtà nazionali, ma rimane intrinsecamente americano per volontà del suo stesso autore; forse perché Peele è convinto che in un campionato di privilegio gli Stati Uniti arriverebbero primi con dieci punti di distacco sulla seconda, forse semplicemente perché gli piace parlare di cose che conosce e non vuole esprimere giudizi sul resto del mondo quando casa sua gli fornisce già abbastanza spunti per girare interi film. Siamo quindi ancora più curiosi di scoprire che direzione prenderà Nope (GUARDA IL NUOVO TRAILER ITALIANO), il suo prossimo film in uscita a fine luglio: proseguirà nella dissezione della società americana o allargherà lo sguardo alla più universale ma comunque sempre sfuggente condizione umana?

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