Nintendo Labo, abbiamo provato e testato i due kit del perfetto videogioco hipster

Un workshop per testare i tre comparti di Nintendo Labo: Monta, Gioca, Garage. Come si lavora sul cartone, quanto sono giocabili i giochi e che possibilità offre

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Allo IED di Roma, durante un workshop organizzato da Nintendo, abbiamo avuto modo di provare i due kit di Labo che entreranno in commercio il 27 Aprile a circa 60€, e poi anche tutte le soluzioni di gioco e la parte di Garage.

La prima cosa evidente è che funziona. Dai giochi più semplici fino a quelli più elaborati Labo è attraente, viene subito voglia di prenderlo, smontarlo, rimontarlo e capire come funziona, per non dire poi iniziare a smanettarci. Nintendo ha di fatto ampliato l’idea che ha avuto ormai più di 10 anni fa con Wii di rivedere il concetto di controller e lentamente far uscire i videogiochi dallo schermo. Agire nel mondo reale per avere conseguenze in quello digitale. Nintendo Labo di fatto consente ai giocatori di costruire e poi modificare i propri controller. I fogli di cartone da piegare, tagliare e assemblare seguendo le istruzioni creano dei controller, sia il manubrio da moto per poi giocare alle corse, sia la canna da pesca per pescare dentro lo schermino di Nintendo Switch fino al complicatissimo zaino per manovrare il robot. E soprattutto spostano ancora di più la parte di gioco fuori dallo schermo. Anche rispetto a quanto accadeva con il Wiimote con Nintendo Labo si gioca quasi più nel mondo reale che in quello digitale.

Monta

Nella prima parte del workshop, quello dedicato a Monta, cioè il momento in cui acquistato un kit Nintendo Labo si può iniziare a montare i vari controller seguendo le linee guida e le istruzioni dallo schermo di Nintendo Switch, è evidente quanto la compagnia punti soprattutto su questa parte. Che addirittura sia la prima, quella che precede il gioco e che lo schermo sia usato come un tablet, cioè un lettore di istruzioni interattive è qualcosa di sorprendente. Nintendo Labo modifica proprio la maniera in cui intendiamo una console. Da subito non è solo un contenitore di giochi ma di informazioni, non un libro di testo (sarebbe troppo!) ma un manualetto di istruzioni e (poi) di approfondimento quello sì.

Filippo Ghisolfi, responsabile eventi e presentazioni Nintendo Europe, ovvero la voce ufficiale della casa madre, ci accompagna nel tour e spiega che: “Montare i Toy-Con [è il nome di ciò che risulta dall’unione del Joy-Con di Nintendo Switch con i fogli di cartone montati ed assemblati ndr] è pensato per essere divertente in sé per sé, anche perché è un’attività da fare in un contesto come una famiglia. È proprio il piacere di creare qualcosa dal nulla, da un foglio di cartone. Magari ci fai una canna da pesca, che poi funziona e fa suoni, il che è soddisfacente”. In effetti è come montare un mobile IKEA ma più semplice (soprattutto meno probante fisicamente). L’esperienza di realizzare un Toycon è il gioco hipster perfetto, tra digitale e vecchio stampo, tra pennarelli, forbici e touchscreen.

A seconda del carattere e della personalità poi, i Toy-Con, tutti grigi come il cartone che li compone sono perfetti per essere disegnati, dipinti, migliorati e personalizzati. È difficile capirlo vedendoli solo in un promo, ma dal vivo, quando ci si gioca sono palesemente un attrezzo come lo zaino, fatto per scriverci sopra.

Gioca

La seconda parte, Gioca, invece è quella classica. Ci sono tutti i Toy-Con che verranno inizialmente commercializzati già montati con i relativi giochi. Come noto i kit sono due: uno comprende la canna da pesca, il pianoforte, la macchina radiocomandata, una casa e il manubrio della moto; l’altro invece è dedicato solo allo zaino che consente di manovrare il robot.

La prima cosa che sorprende è che, a parte la macchina radiocomandata, tutti i Toy-Con sono solidissimi e internamente complicatissimi. La prima cosa che viene voglia di fare prendendoli in mano e usandoli (se non li si è costruiti, come è capitato a me) è aprirli per capire come sono fatti e come possono funzionare come fanno. Il manubrio della moto ha l’acceleratore che torna in dietro se lasciato, il pianoforte ha i tasti che ritornano in posizione e la canna da pesca, quando si tira indietro la corda per prendere il pesce fa il rumore a scatti delle canne vere. Sono prodotti d’ingegneria pura pazzeschi se si considera che devono essere montabili in maniera facile e con istruzioni semplici in un tempo che varia a seconda dell’oggetto tra le 3 e le 5 ore.

https://www.youtube.com/watch?v=EPjxz7I7Y08

L'unico Toy-Con che non ha un videogame a sè collegato è il rover, cioè la macchina radiocomandata con la quale si gioca nel mondo reale. Ad esempio nel workshop era suggerito una specie di sumo, in cui due rover si scontrano l'uno contro l'altro con l'obiettivo di ribaltarsi o spingersi fuori da un'area disegnata sul tavolo.

Invece la parte propriamente videoludica (finalmente!) è di tutto rispetto. Certo i giochi non hanno la complessità e la profondità di un gioco vero e proprio, sono minigame nel tipico stile Nintendo, più vicini al casual game da cellulare o tablet che altro, ma nondimeno c’è parecchio godimento e la consueta precisione Nintendo nel gameplay e nell’interazione. Sia la pesca che le moto, che sono poi quelli in cui si interagisce maggiormente, hanno una fluidità fantastica. Nel primo il cavo che tiene il pesce finisce proprio dietro lo schermo e prosegue digitalmente in esso, l’interazione con i pesci funziona e, un po’ come il gioco da smartphone Ridiculous Fishing, provoca un certo godimento attraversare le profondità a caccia di pesci. Nel secondo invece la dinamica è quella di Mario Kart e non è facile per niente rimanere in sella, guidare, vincere e prendere le curve bene (freno e acceleratore sono impeccabili). Idem dicasi infine per il pianoforte che senza poter avere la dinamica (più forte premo un tasto più rumore fa) ha però tutto il resto dello spettro di variazioni.

https://www.youtube.com/watch?v=3hPuslcg4Z0

Il modo in cui tutto può funzionare a partire da cartone e Joy-Con solitamente ha a che vedere con il sensore di movimento e quello ad infrarossi. I tasti di cartone che vengono premuti nel pianoforte, ad esempio, scoprono internamente una parte di cartone con un adesivo catarifrangente che viene rilevato dal lettore ad infrarossi del Joy-Con montato da dietro. A seconda della posizione dell’adesivo e della sua comparsa il Joy-Con invia comunicazione di quale nota attivare. E così un po’ per tutto. Mentre l’acceleratore o il fatto di curvare spostandosi con il manubrio della moto hanno più a che vedere con il sensore di movimento ovviamente.

Questione più complessa per lo zaino e il robot. Nello zaino finisco le 4 corde collegate ai due piedi e le due mani del giocatore. Se il giocatore muove una gamba o un braccio la corda necessariamente si tende o si riavvolge e nello zaino accade che il riavvolgersi o tendersi sposti uno dei 4 pesi che contiene e sono legati alla suddetta corda. Spostandosi questi rivelano il solito adesivo catarifrangente che consente al Joy-Con di capire cosa sta succedendo, quale arto è stato mosso in quale maniera e con quale intensità. La semplicità del tutto è quasi disarmante rispetto al risultato. Nel gioco infatti il robot vola, cammina, spara, si trasforma in auto volante e può combattere con altri robot tutto tramite quei 4 controlli (ovvero muovendo braccia e gambe in modo molto intuitivo e fluido) più una specie di coroncina da mettere in testa che grazie all’oscilloscopio consente di dare la direzione muovendo la testa.

Garage

Infine c’è Garage, la parte di scoperta. Tramite lo schermo di Nintendo Switch si accede ad un cantiere in cui c’è la spiegazione di come sono fatti internamente tutti i Joy-Con, ci sono esempi di come personalizzarli con i colori ma anche di come ripararli o replicarli. È abbastanza evidente che se i fogli di cartone compresi nel kit sono i migliori da usare, perché hanno stampati su di essi le linee di taglio e piego, i Toycon possono essere replicati con qualsiasi pezzo di cartone comune, possono essere riparati con lo scotch e anzi Nintendo, proprio in Garage, incoraggia molto l’idea di lavorarci autonomamente.

Soprattutto in Garage è spiegato come funziona ogni Toy-Con del kit e c’è un sistema di programmazione ad interfaccia visiva molto semplice tramite il farne di propri nuovi e diversi. Nintendo però nega che si tratti di un sistema di programmazione facilitato: “Il punto principale di Nintendo Labo è divertirsi” dice sempre GhisolfiLa parte di Garage ha basi di logica e un semplice sistema di causa ed effetto, cioè gli dò una causa e questa crea un effetto. Ha similitudini con la programmazione ma è una maniera visuale e semplice di creare i propri giocattoli”.

Di fatto però in Garage è possibile creare e salvare programmi che compiono azioni (tipo suona una nota, vibra, fai muovere questo o quell’altro) a seconda di cosa registri il Joy-Con: un movimento verso destra, un adesivo catarifrangente in una certa posizione e via dicendo. Tutto ad un livello di complessità potenzialmente molto elevato. Le azioni e gli effetti infatti possono essere combinati e assemblati in grandissimo numero. Non siamo per nulla lontani dal principio di un universo di costruzioni molto semplice e potenzialmente molto complesso di Minecraft. Solo che invece di fare edifici si creano sistemi di interazione con creazioni di cartone. Invece di assemblare costruzioni si lavora manualmente nel mondo reale e poi si gestiscono i dati raccolti dal Joy-Con tramite i suoi sistemi di input (quelli già elencati: infrarossi, oscilloscopio, pulsanti ecc. ecc.) decidendo quali azioni del software abbinare.

Si può ad esempio fare una pistola facilmente (il sensore ad infrarossi punta verso il bersaglio e lo sparo è la pressione di un pulsante, se si centra l’adesivo si è preso il bersaglio) o abbiamo visto creare facilmente una chitarra elettrica con elastici al posto delle corde, ma chiaramente le possibilità sono tantissime.

Non stupirà nessuno il fatto che Nintendo punti molto sulla creatività dei giocatori: “C’è una gran voglia di vedere cosa la gente inizia a fare” è la frase ufficiale. Tuttavia la società non ha predisposto un sistema per la condivisione. O meglio, Nintendo Switch ha una maniera molto semplice di fare di catturare le schermate o fare foto e poi inviarle ma i sistemi di condivisione non sono interni a Nintendo. “Noi non facciamo social network, lo lasciamo fare ad altri” è la risposta anche se con i Mii sappiamo bene che Nintendo ci ha provato e come a portare un po’ di dinamiche da social network nella sua community di giocatori: “Ora ci focalizziamo a condividere informazioni di base. Penso che per tutti sia più facile ed immediato condividere un’immagine della propria creazione come preferisce” dice Ghisolfi.

Nel complesso Nintendo Labo si presenta effettivamente come il compromesso più stupefacente tra vecchio e nuovo, tra dinamiche eterne e le basi più elementari dell’informatica. Ovviamente sono tutti giochi, ma se qualcosa insegnano è il rapporto che esiste tra la causa/effetto nel mondo reale (cioè muovere un pezzo e farne reagire altri, costruire piccoli sistemi meccanici) e quello che esiste nel mondo digitale (sistemi di input e output, iterazioni, trigger e via dicendo), dicendo la cosa per nulla banale che tra i due ci sono tantissimi legami, che non solo possono interagire ma non sono poi così diversi!

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