Nightmare 5 – Il mito comincia a mostrare la corda

Nightmare 5 – Il mito è il primo capitolo del franchise dove si riciclano idee e si punta più sullo shock factor che sul terrore vero

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Azzeccare un sequel, lo diciamo sempre, è un’impresa più difficile di quanto sembri. Infilare una trilogia di bei film è ancora più complicato. Le cose diventano brutali se si prova addirittura a girare un buon quarto capitolo. Figuratevi quando un franchise arriva al quinto: quelli che sono riusciti a reggere così a lungo senza calare di qualità si contano sulle famose dita di una mano. Nightmare 5 – Il mito riesce solo parzialmente a smentire quanto detto finora: è ancora oggi un buon film con qualche grande idea di messa in scena, ma è anche il primo (se non contiamo il famoso/famigerato secondo capitolo, che però è un discorso diverso) a mostrare un po’ la corda. Non siamo comunque ancora al salto dello squalo – diciamo il saltino del pesce rosso, ecco.

Nightmare 5 – Il mito è un film blu

Avevamo parlato del concetto di “film blu” quando scrivemmo di Underworld, indicandolo come un fenomeno tipico della fine degli anni Novanta. In questo senso, Nightmare 5 – Il mito era avanti sui tempi. Pur essendo del 1989, infatti, è interamente filtrato da una luce livida e bluastra, scelta per sbattere in faccia a chi guarda fin dal primo secondo il fatto che questo è un film più cupo dei precedenti.

Fa un po’ sorridere perché non è che i primi quattro capitoli fossero una passeggiata nel parco in primavera; ma non c’è dubbio che Nightmare 5 – Il mito si impegni molto per essere ancora più oscuro (e più banalmente scuro, almeno a tratti), forse addirittura “adulto”, con tutte le virgolette del caso. Virgolette che servono perché tematicamente il film non è così lontano dai precedenti: è però ancora più grafico, tanto che fu il primo del franchise a beccarsi una bella R nel rating, e anche a subire tagli e censure dovute alla sua natura che l’MPAA percepì come troppo estrema. Filtri blu e ultraviolenza diventeranno poi un marchio di fabbrica del decennio successivo (e dell’inizio del nuovo millennio): in questo senso, Nightmare 5 – Il mito fu un film anticipatore di certe atmosfere.

Freddy’s Baby

Il tono più cupo del film si nota anche a livello di scrittura, e in particolare in quello che lo sceneggiatore Leslie Bohem sceglie di ripescare e approfondire dei capitoli precedenti. Nightmare 5 – Il mito insiste per esempio su quello che avevamo scoperto nel terzo film: la storia di Amanda Krueger e del suo stupro di gruppo, e di fatto le origini del mostro. Torna Amanda, anche se solo nei sogni, e soprattutto torna l’idea della gravidanza come maledizione: Alice, la protagonista del quarto capitolo, rimane qui incinta, e il suo pargolo è il mezzo che Freddy usa per tornare a compiere le sue malefatte.

L’idea della gravidanza demoniaca è un po’ la logica conseguenza di quanto raccontato nei film precedenti, e più in generale di quello che si racconta negli slasher, un genere nel quale fare sesso è sempre foriero di cattive notizie: rimanere incinta di Freddy Krueger (circa) è lo stesso ragionamento portato all’estremo. Peccato solo che lo spunto non venga davvero approfondito, ma diventa solo il meccanismo di trama che permette a Freddy di tornare a tormentare un nuovo gruppo di adolescenti. E peccato anche che detto spunto sia anche “responsabile” di uno dei peggiori ritorni in scena della storia dell’horror.

“Come facciamo a farlo tornare questa volta?”

Uno dei problemi classici degli slasher che proseguono apparentemente all’infinito è che a ogni capitolo il mostro di turno deve in qualche modo essere sconfitto; questo significa che ogni capitolo successivo deve reinventarsi una scusa per farlo tornare in azione, se non addirittura in vita. Dopo tre film nei quali la mitologia stessa di Freddy Krueger giustificava ogni suo ritorno, Nightmare 5 – Il mito è il primo nel quale l’edificio comincia a scricchiolare. I guerrieri del sogno finiva con Freddy Krueger che veniva non solo sconfitto, ma fatto a pezzi fisicamente e anche spiritualmente: la sua anima veniva ridotta a brandelli, e pareva che ce ne fossimo davvero liberati per sempre.

Nel quinto film, invece, Freddy semplicemente… ritorna. Non viene data alcuna vera spiegazione del fatto, forse per non rischiare di impantanarsi con una mitologia che ormai era diventata parecchio complessa. È la prima volta nel franchise che si ha l’impressione che il ritorno di Freddy sia un’esigenza commerciale, un’idea nata in fase di produzione: “Ci serve un altro horror che incassi bene, resuscitatelo”. E di fatto Nightmare 5 – Il mito fece una discreta quantità di denaro, pur non essendo un successo memorabile: evidentemente nel 1989 la gente aveva ancora voglia di Freddy, ed era pronta ad accettare anche la più meccanica delle gimmick pur di rivederlo in azione. Succederà lo stesso, ma peggio, due anni dopo: ne parleremo la prossima settimana.

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