Niente blockbuster fino a Natale. Chi comprerà le sale americane alla canna del gas? I conti in tasca alle major

Molte sale non arriveranno alla primavera quando forse i blockbuster americani torneranno ad uscire. O chiuderanno o qualcuno li comprerà. Ma chi?

Critico e giornalista cinematografico


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No Time To Die rimandato. Dune rimandato. Addirittura West Side Story rimandato a Natale 2021 senza che il pur potente Steven Spielberg abbia potuto fare qualcosa. La situazione contagi negli Stati Uniti non migliora e con il ritorno di fiamma della pandemia anche in Europa gli studios non lanciano i loro blockbuster più costosi e più bisognosi di un ritorno sostanzioso. Nessun effetto-Tenet, anzi proprio i contrario. I 41 milioni in patria e 300 milioni totali in tutto il mondo realizzati dal film a partire da un budget di 200 milioni (che quindi ne richiedeva 400 per andare in pari), hanno convinto gli studios che non ci sono speranze per i loro film dal budget simile se non superiore. Per fare un esempio un blockbuster come No Time To Die è costato 300 milioni e deve incassarne almeno 600 in tutto il mondo (Spectre ne costò 245 di milioni e toccò quota 880 con gli incassi), cosa non solo impossibile con i suoi mercati chiave come l’Inghilterra, fuori combattimento, ma che rischia di mandarli al tracollo economico.

Se si esclude Wonder Woman 1984 (ancora previsto per Natale, ma questo non significa che non possa anch’esso essere rinviato) e altri film più piccoli come Assassinio sul Nilo (sempre a Dicembre), bisogna aspettare Febbraio per i veri blockbuster come The King’s Man - Le Origini e poi la primavera per Black Widow. Significa mesi senza i film di maggiore richiamo. L’Italia farà di necessità virtù e proverà a tamponare sommergendo le sale di offerta nazionale ed europea sperando di mettere una pezza ma sapendo che non avendo mai imparato a creare attesa e film evento il potenziale di attrazione in sala senza il supporto degli americani è bassissimo. Invece negli Stati Uniti i cinema non hanno opzioni se non le uscite più piccole, i titoli indie e le commedie. Paradossalmente sono molto appesi ai film di Netflix e Amazon che le piattaforme sono ben disposte a mandare in sala ma rigorosamente in contemporanea con la loro uscita online. È quello che per esempio sta accadendo in Inghilterra dove Il processo ai Chicago 7 (Netflix), On The Rocks di Sofia Coppola (Apple+) e poi Borat 2 (Amazon) ricevono o riceveranno una buona distribuzione.

Wonder Woman 1984 sequel

È impossibile non chiedersi però quale sia l’idea che muove gli studios. Se una ce n’è. Perché non va sottovalutata l’ipotesi che agiscano come spesso capita ed è capitato in preda alla fobia di perdere capitali ingenti senza un piano comune. Caoticamente. Sanno tutti che molti rinvii vuol dire molti cinema che chiudono. Come sanno che meno schermi avranno a disposizione meno soldi incasseranno quando i blockbuster finalmente usciranno. E quei soldi gli servono, non basta mandare i film online per rientare. Standard & Poor ha sentenziato che ad AMC (la catena di cinema più grande d’America) mancano 6 mesi per esaurire la propria liquidità, e che il business delle sale tornerà a livelli del 2019 non prima del 2022. E del resto Cineworld, la seconda catena più grande del mondo ha perso 1,6 miliardi di dollari nei primi 6 mesi del 2020 finendo per dover chiudere le sale nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

Una situazione simile si è già verificata però, negli anni ‘20, quando per effetto dell'epidemia di influenza spagnola e dei lockdown che furono necessari e poi ancora per effetto della crisi economica le sale, allora un business molto vecchio stampo e a conduzione familiare, cominciarono a chiudere. Accadde che gli studios le comprarono, una per una, a cifre irrisorie finendo per controllare tutta la filiera: produzione, distribuzione ed esercizio tutte in mano agli stessi soggetti. La situazione era così ingiustamente accentrata che nel 1948 il Paramount Act stabilì che nessuno studio potesse possedere anche delle sale. Quella legge è stata abrogata meno di un anno fa.

[caption id="attachment_450356" align="aligncenter" width="1000"]cineworld Foto di Rebecca Tracy[/caption]

Ad oggi rimangono in piedi normative anti-trust che non esistevano nel 1948 e che servono proprio a limitare le posizioni dominanti, lo stesso sembra di capire che almeno l’acquisto di alcune sale è possibile. Sarà quello che gli studios inizieranno a fare per garantirsi degli schermi? Oppure lo faranno le piattaforme per differenziare il proprio business?

Chi è che si può permettere di acquistare anche solo delle quote di intere catene di cinema?

DISNEY (-41%)

È l’unico dei grandi studios con problemi economici seri. anche se viene dall’anno record. Con 7 blockbuster che hanno incassato più di un miliardo di dollari ha portato a casa 10 miliardi di botteghino, quindi circa 5 miliardi di dollari per sé nel 2019. Tuttavia il settore economicamente più grosso della Disney sono i parchi giochi ed è anche quello più massacrato dalla pandemia, si parla di 2 miliardi di perdite e 28.000 licenziamenti che stanno uccidendo il bilancio. C'è poi il costo del lancio di Disney+ da aggiungere. Non spicci. Tutto solo parzialmente tamponato dai business satellitari come ad esempio il canale televisivo ESPN che ha acquistato i diritti per trasmettere il campionato NBA che nessuno potrà andare a vedere dal vivo per un bel po’.

Deutsche Bank stima 10 miliardi di dollari di perdite per Disney nel 2020 e un ritorno del settore parchi a livelli del 2019 non prima del 2023. Quindi anche un futuro non roseo. Per niente proprio. Pare quindi proprio difficile che possa permettersi un round di acquisizioni di sale senza mettere eccessivamente a rischio le proprie finanze.

Il calo degli introiti registrato ad Agosto rispetto allo stesso mese di un anno prima fa paura: il 41% in meno in un solo anno.

frozen 2

WARNER BROS (AT&T -9%)

La Warner Bros appartiene ad AT&T, il colosso della telefonia americana. Sono gli ex monopolisti, la compagnia fondata da Alexander Bell e chiaramente oltre a servizi di voce e telefonia cellulare sono anche i principali provider di connettività ad internet del paese nonchè proprietari tra gli altri del canale via cavo HBO.

Dunque se Warner Media di suo ha perso il 23% dei suoi incassi per via della chiusura dei cinema, ma il resto degli affari di AT&T un po' hanno tamponato la perdita. La società nell’ultimo quarto ha dichiarato profitti in calo del 9% rispetto all’anno scorso. A questo ha contribuito anche HBO Max, servizio con 36 milioni di abbonati che tuttavia non decolla definitivamente. Solo a Gennaio gli costava 1,2 miliardi di perdite e probabilmente non genererà profitti prima del 2024.

Tenet

UNIVERSAL (Comcast -11%)

Il problema per Universal è il medesimo di Disney: non tanto i blockbuster mancati ma i parchi giochi. Non solo il settore theatrical è in perdita ma anche quello dei parchi giochi i cui numeri fanno impressione. Solo quello conta 87 milioni di dollari in negativo e ha fatto registrare il 25% di incassi in meno. Non è buono considerato che già a fine 2019, quindi prima della pandemia, la Universal segnava il 50% degli incassi in meno rispetto al 2019 anche per via del flop di Cats.

Anche Universal però ha un gruppo alle spalle, è Comcast, un altro fornitore di connettività e servizi di telefonia, con diversi canali televisivi in pugno. Tutti settori ampiamente in positivo che però non bastano a compensare. Comcast ha perso l’11% dei suoi incassi rispetto al 2019.
Se poi si aggiunge Peacock, la loro piattaforma streaming appena lanciata con solo 10 milioni di abbonati, e il fatto che riponessero speranze di guadagno nell’acquisto da parte di NBC dei diritti per le olimpiadi di Tokyo che non si terranno il quadro non è buono nemmeno per il futuro prossimo.

Fast & Furious 9

Paramount (ViacomCBS -12%)

È uno studio molto più piccolo e anche un gruppo più piccolo che tuttavia ha retto bene compensando abbastanza le perdite theatrical con i servizi di streaming i cui introiti sono cresciuti del 25%.
Nel complesso ViacomCBS ha visto introiti del 12% inferiori rispetto al 2019.

henry cavill mission- impossible

SONY (-1%)

La situazione della Sony/Columbia è ancora diversa. Lo studio opera all’interno di un colosso della tecnologia nipponico che ha un settore entertainment che comprende una parte di videogiochi ingombrante (Sony è proprietaria di Playstation).
La perdita di 68 milioni di dollari del settore intrattenimento e quello più generale di 1 miliardo e mezzo nel resto dell'azienda alla fine li porta a dichiarare solo l'1% in meno di incassi rispetto al 2019. Il problema è che la società ad un certo punto sembrava anche aver accarezzato l’idea di vendere la divisione cinema. Le ultime notizie dal Giappone dicono di no e anzi che grazie al successo di un blockbuster come Jumanji hanno deciso di non vendere. Di certo non è la loro principale preoccupazione.

jumanji dwayne johnson the rock

NETFLIX (+25%)

La pandemia non ha avuto conseguenze su Netflix che a Luglio contava il 25% di introiti in più rispetto al 2019, più o meno la stessa percentuale con cui è cresciuta negli ultimi 5 anni. Non aumento né un tonfo.
La società è in fase di espansione con investimenti pazzeschi sulla produzione visto che sempre di meno può prendere contenuti in licenza da altri distributori. I cinema potrebbero completare la loro offerta che, tra le piattaforma, è quella più orientata alla cinefilia classica e meno ai blockbuster.

Prime Video (Amazon +40%)

All’interno del pacchetto di servizi di Amazon, la società più ricca del pianeta, lo streaming è uno dei bonus per chi si abbona a Prime, il servizio che garantisce spedizioni gratuite. Lo streaming quindi non è la principale voce di spesa della compagnia né, a differenza di Netflix, il suo interesse numero uno. Negli anni infatti Amazon è stata molto meno distruttiva rispetto ad Netflix e rispettosa delle finestre distributive.

Abituata ad una crescita del 20% anno su anno, Amazon è cresciuta del 40% tra Agosto 2019 e Agosto 2020 grazie all'e-commerce principalmente.

borat 2 trailer

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