Netflix può essere davvero il futuro della serialità italiana?

Dopo Suburra, Netflix ha in lavorazione altri due progetti made in Italy: Baby e Juventus FC

Critico e giornalista cinematografico


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Netflix non è disposto a rischiare. Almeno non in Italia.

Quel che ci dice la visione di Suburra e l’annuncio della prossima produzione nazionale di Netflix in Italia è che il gigante dello streaming da noi sta giocando sul sicuro. Suburra viene dalla stessa casa di produzione che ha realizzato Gomorra - La Serie (un successo internazionale famoso e stimato), nonostante cerchi di differenziarsene ha la stessa showrunner (Gina Gardini), lo stesso look e lo stesso approccio al crimine, cioè la messa in scena della lotta per la conquista del potere come se ci trovassimo in un fantasy, in cui re e regine si scontrano per il dominio su tutti i regni.

Suburra non è un Gomorra romano, ma certamente ne è figlio. Non è un sequel, ma di certo vi è legato. Produttivamente (che poi è il lato di Netflix) risponde esattamente alla medesima logica e ne condivide in toto il target di riferimento. È un’operazione intelligente e furba, di quelle di cui c’è un grandissimo bisogno, ma di certo non un rischio. Lo stesso vale per il prossimo progetto che vedremo: la docu-serie Juventus FC. A essere stato scelto è il club italiano con più tifosi nel nostro paese e ovviamente più noto e riconosciuto all’estero, solo l’anno scorso è arrivato in finale di Champions League, la manifestazione calcistica per club più importante al mondo, contro il Real Madrid e dopo aver battuto il Barcellona (le squadre più famose del mondo assieme al Manchester United).

Sia Suburra che Juventus FC sono serie che non hanno bisogno necessariamente di essere ottime per essere viste, godono di un buon traino prima ancora di essere online, hanno già un pubblico chiaro. Non sono Stranger Things, che per quanto avesse molti elementi di interesse con cui promuoverla (la passione retro per l’inizio degli anni ‘80), aveva il dovere di essere ottima per farsi notare, né godono di una trama curiosa e attraente come Glow. Sono progetti più sicuri.

Netflix del resto produce i suoi “originals” in 20 paesi, al momento, per un totale di 400 nuove serie l’anno (incluse quelle statunitensi). Di questi paesi, secondo Yann Lafargue, Technology e Corporate Communications Manager di Netflix, “l’Europa è il mercato più interessante in assoluto, nonché il più fertile”. Sempre Lafargue, benché non rilasci numeri come sempre per Netflix, sostiene che l’Italia sia uno dei paesi in più forte espansione quanto ad abbonamenti alla piattaforma. Parole che contrastano con l’atteggiamento tenuto fino ad ora ma che forse potranno essere confermate dal prossimo progetto.

Il prossimo passo già annunciato infatti sarà Baby, la serie sulla storia delle baby squillo dei Parioli emersa nell’estate del 2014, qualcosa sulla carta un po’ più nazionale e meno internazionale (ma come sempre occorre vedere come sarà realizzata). Non si tratta di una serie proposta da una società di produzione nota ma di Fabula Pictures, società di recente formazione, scritta da un collettivo di sceneggiatori chiamato GRAMS. Nulla di blasonato o titolato. Addirittura Fabula Pictures, tra i pochi progetti che ha già realizzato, ha 2 film non propriamente definibili dei successi: Non c’è campo di Federico Moccia e Piccoli Crimini Coniugali di Alex Infascelli.

Ovviamente quella di Baby è una storia che già dai presupposti è molto in linea con quel che la nuova serialità di HBO e compagni hanno sempre promosso: temi duri, un marcato accento sul sesso e personaggi antieroici. Per questo con questo progetto Netflix si gioca molta della propria credibilità come produttore. Se Suburra era una garanzia (perché dietro c’era Cattleya e perché quell’approccio, come detto, aveva già funzionato), Baby tenta di fare qualcosa di mai fatto: parlare di sesso tra minori in televisione. È una serie potenzialmente disturbante che, se affrontata male, con pudore, con buonismo e un po’ di timore può risultare immediatamente fastidiosa ed echeggiare facilmente l’approccio casto da forze dell’ordine delle nostre reti generaliste. È un progetto spinosissimo insomma, in cui se non si calca adeguatamente la mano facilmente si fa la figura della solita fiction all’italiana, se la si calca troppo si può sconfinare nel disturbante.

Cattleya, parlando di Suburra e di come Netflix abbia messo bocca nella produzione, ha definito il committente fantastico, moderato, molto tollerante e che lascia grande libertà, interessato solo a che certi elementi fossero presenti. È da vedere se lo stesso diranno da Fabula, e soprattutto se questo approccio possa portare anche da noi agli ottimi risultati che vediamo nel resto del mondo.

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