Netflix a velocità accelerata uccide i film? Il dibattito attualissimo in attesa del 2021 cinematografico

Netflix ha dato la possibilità di vedere film e serie tv a velocità accelerata. Ma questa funzione potrebbe essere un sintomo preoccupante

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Da qualche mese si può vedere Netflix a velocità 1.25x. Per qualcuno è il sintomo di una preoccupante incuria nella presentazione dei film e delle serie. Per altri è un'utile funzione da tempo attesa. In questo articolo entriamo nel dibattito, cercando di immaginare le conseguenze sui modelli di visione futuri.

La motivazione ufficiale è quella di volere aiutare gli spettatori con disabilità a fruire al meglio i contenuti. Sicuramente vera (e sincera), ma decisamente non è l’unica spiegazione che sottende l'implementazione della nuova funzione che regola la velocità di riproduzione della piattaforma.

Per un anno circa Netflix ha testato un’opzione che permette di variare la “playback speed” senza inficiare il godimento e la comprensione. La velocità di riproduzione dei film e delle serie in visione può essere rallentata a 0.5x o 0.75x o accelerata a 1.25x o 1.5x. Non una novità, dato che la funzione è già disponibile in molti servizi di intrattenimento (tra cui YouTube o alcune piattaforme di ascolto Podcast). Addirittura è un servizio aggiuntivo molto richiesto dagli utenti. Eppure questo piccolo tasto può avere conseguenze a lungo termine sui modi in cui guardiamo i prodotti audiovisivi.

La velocità variabile è apparsa gradualmente, e da tempo, su tutti i device iOS e Android che supportano l’App di Netflix. Ma il dibattito generato è ritornato di attualità proprio in questi giorni. Con la mossa della Warner Bros di offrire il proprio catalogo del 2021 sia in sala che sulla piattaforma HBO Max, il rapporto tra sala e OTT si è fatto più teso. Il coronavirus ha provocato scossoni nel mercato cinematografico da cui difficilmente si tornerà indietro. Ha costretto la sala a ripensare la propria centralità. E, indirettamente, ha acuito le differenze tra i due sistemi.

Se i modelli ibridi (release in contemporanea sala e streaming) o quelli di centralità delle piattaforme (contenuti esclusivi) avranno  il successo sperato gli OTT potrebbero affermarsi lungo come le nuove distribuzioni. A questo punto quindi, capire come un film arrivi al pubblico, diventa di vitale importanza per l'esperienza. Lo stile, le scelte di regia, i limiti narrativi si adeguano al mezzo in cui vengono fruiti. E ogni piattaforma ha regole ben precise.

Torniamo quindi alla scelta di Netflix di permettere una variazione di velocità. Nei comunicati ufficiali le ragioni addotte sono fondamentalmente due: accessibilità e cinefilia.

Secondo la piattaforma i consumatori danno un grande valore a questo tipo di flessibilità che gli permette di rivedere le scene preferite al rallentatore, o di andare in poco al punto desiderato. Inoltre gli spettatori con difficoltà visive e uditive traggono beneficio da una visione più lenta. I sottotitoli restano maggiormente sullo schermo. Al contrario, altri utenti con difficoltà nella visione sono abituati ad ascoltare le audiodescrizioni al doppio della velocità. Secondo Netflix la funzione faciliterà anche chi vuole imparare una nuova lingua guardando le serie.

La National Association of the Deaf e la National Federation of the Blind in USA hanno approvato con entusiasmo il cambiamento. Hanno registrato effettivi benefici, catalogando l’implementazione come una funzione molto importante di accessibilità. Eppure, tra i registi e gli autori di cinema il clima è meno sereno. Da quando Netflix ha iniziato il lungo percorso di implementazione (ha richiesto circa un anno) abbiamo potuto ascoltare alcune (timide) voci di dissenso. 

Judd Apatow, nel lontano 2019, aveva obiettato in un tweet. I distributori non dovrebbero prendersi la libertà di cambiare il modo in cui un prodotto è presentato, diceva. In questo modo, secondo lui, il sottile rapporto di fiducia tra chi fa il film e chi lo fa vedere rischia di incrinarsi.

https://twitter.com/JuddApatow/status/1188872233856274432

Anche Peyton Reed, Brad Bird e l’attore Aaron Paul hanno giudicato l’idea come un passo falso della piattaforma. Va detto, senza mai raccogliere eccessivo supporto da parte dei colleghi.

Le ragioni di questi dubbi sono legate ad un retropensiero, abbastanza palese. Netflix (e molte piattaforme concorrenti) hanno dei modelli di business da all you can eat. La voracità del pubblico viene premiata grazie al sistema ad abbonamento: più si utilizza il prodotto, più l'abbonamento ha valore, perché è più probabile che sia rinnovato nel tempo. Netflix non opera solo nel campo dell’intrattenimento, ma anche in quello dell’attenzione.

La pratica del binge watching (la visione continua del flusso di episodi delle serie tv, senza pausa) non è certo nata dalla sala cinematografica. L’esperienza al cinema ha infatti delle “coordinate geografiche” completamente opposte. Se Netflix è un All you can eat, la sala è un ristorante alla carta. Si sceglie un film, si paga un biglietto, e si vive l’esperienza con altre persone condividendo la dimensione temporale. Una pellicola inizia e finisce allo stesso momento per tutti. 

La preoccupazione dei creatori è quindi comprensibile. Non è certo riferita a chi rallenta il film per leggere meglio i sottotitoli. Il timore è invece che anche le opere più ambiziose e "cinematografiche" vengano sottoposte alla gara di visione, mettendo in ginocchio la costruzione emotiva e la fruizione immersiva.

Gli operatori streaming devono convincere ogni giorno il pubblico a ritornare sul proprio catalogo. Per fare questo lavorano molto sulla costruzione del buzz online, sulle chiacchiere, sull’attesa, e su una visione che permetta di entrare in un discorso comune con le altre persone. È pressoché impossibile perdersi l’ultimo episodio di una serie popolare senza sentirsi “tagliati fuori” o incappare in spoiler.

Da qui nasce la celeberrima FOMO (acronimo per l'espressione inglese Fear of missing out): una forma di ansia derivata dal desiderio di non perdere il contatto con le attività che fanno le altre persone. La paura di non essere esclusi da attività sociali rilevanti e gratificanti.

È logico allora che l’aumento della velocità di riproduzione non viene in aiuto allo spettatore per “rivedere le proprie scene preferite”, ma per partecipare alle “maratone” con un aiuto. Serie tv lunghe 8 episodi da un’ora possono essere viste in quasi metà del tempo. Anche in mancanza di uno spazio consono di visione, quando si è in viaggio o in una piccola pausa dal lavoro, il contenuto si adatta e prende la forma del tempo libero dell’utente. 

La differenza è pazzesca rispetto alla sala.

Al cinema è lo spettatore che adegua il proprio tempo a quello del film. Il buio offre una visione inglobante, si condivide una fruizione “live” con altre persone (sebbene ciò che vediamo sullo schermo si riproduca sempre uguale). Anche Netflix e le altre piattaforme hanno bisogno di questo aspetto collettivo. La community di fan è un requisito essenziale, come si diceva, per garantire il rinnovo degli abbonamenti. Ma il modo in cui la ottengono e organizzano l’esperienza è radicalmente diversa.

Certo, Netflix ha rassicurato i registi. Proprio per tutelare l’opera e assicurarsi che venga vista nel modo in cui è stata pensata, non ha aggiunto la funzione alle televisioni. Ed è certo che non tutti gli utenti cadranno nella tentazione di vedersi opere importanti come Mank o Roma a velocità accelerata. Ma questa opzione non fa che tracciare ancora una volta un grande confine tra l’esperienza di sala e quella home video. Mentre ci avviciniamo a un 2021 in cui questi due modi di visione saranno intesi, sempre di più, come complementari, la loro distinzione si fa invece sempre più chiara.

Fonte: The Verge, netflix.com

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