Nessuno è immune dal diventare Mr. Vendetta! Perché rivedere il film di Park Chan-wook (anche se fa male)

Analizziamo il promo film della trilogia di Park Chan-wook: Mr Vendetta. Il più realistico: la vendetta nasce dalla disperazione

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In occasione dell'uscita di Decision to Leave, al cinema dal 2 febbraio, ripercorriamo la filmografia di Park Chan-wook con alcuni approfondimenti

E se la trilogia della vendetta di Park Chan-wook fosse qualcosa di ancora più di un brutale ritratto della miseria umana e dell’istinto di autodistruzione? Mr. Vendetta è il primo capitolo della serie di tre film legati tematicamente in un trittico che si è formato man mano, ma che interagisce nelle sue parti facendole dialogare in un unico, grande, affresco filosofico. La prima dichiarazione del regista sudcoreano è inequivocabile: la vendetta è un sentimento che ci portiamo tutti dentro.

Crediamo di esserne immuni; addirittura siamo convinti di poter fare atti criminali che fanno restare moralmente innocenti, ben diversi da quelli compiuti con intenzioni malvagie! Questa convinzione viene enunciata dai due amanti mentre meditano il rapimento “a fin di bene” di una bambina. E senza alcun moralismo, bensì con una lucida constatazione, Park Chan-wook apre questo cammino oscuro puntando il dito. Come se dicesse: quello che succede in Mr. Vendetta (e conseguentemente anche in Old Boy e Lady vendetta) riguarda anche te. 

Coerentemente con questa idea, i protagonisti di questa tragedia dalle articolazioni quasi mitologiche sono i più insospettabili. Persone più comuni e fragili di chiunque altro. Ryu è un ragazzo sordomuto, un onesto lavoratore che si spacca la schiena in una fonderia per garantire le cure alla sorella malata. Lei ha bisogno di un trapianto di rene urgente e passa le giornate a soffrire dolori atroci. 

Una premessa da dramma sociale da cui il film si emanciperà alla svelta diventando altro. Invisibile perché sotto pelle, il rene resta però un elemento presentissimo nel film. Per lo meno nell' idea di un cinema dell'interiorità: un qualcosa che è nascosto all’interno della pelle e che va tirato fuori, sostituito, per trovare pace. Sesso e dolore, la carne sembra scalpitare per emergere oltre la pelle. Ci sono massacri, aperture, e i segni di un’operazione in cui i punti sono saltati e che lasciano una scia di sangue per tutto il terzo atto. I personaggi più che uccidersi si svuotano.

Così Ryu si licenzia per prendere la buonuscita e pagare le cure alla sorella. Non basta. Si rivolge a trafficanti di organi che lo truffano, abbandonandolo senza un soldo. Entra in scena un’altra figura: Yeong-mi, anch’essa insospettabile. Vicina di casa e ragazza di Ryu, ha un aspetto comune, ma un animo rivoluzionario radicale che viene nascosto alla luce del sole per tutto il film. Incredibile che, solo sul finale, ricorderemo tante cose di lei che abbiamo visto senza dargli significato. Si capirà solo più avanti la portata delle sue affiliazioni, senza mai comprenderne appieno le ragioni. Come se avessimo accesso a solo un piccolo spaccato di un’esistenza complessa.

Insieme i due decidono di rapire la figlia Park Dong-jin, il datore di lavoro du Ryu. Un uomo convinto di avere condotto una vita retta, come tante altre. Eppure all’esterno appare come distante dalla sofferenze delle persone, cinico e spudorato. Lui non sa di essere così. Si lancia così in una trattativa per recuperare la figlia che innesca una spirale regressiva di morte.

Mr. Vendetta procede attraverso piccoli salti temporali. Park Chan-wook fa una scelta contro intuitiva che sarebbe una follia nelle mani di qualsiasi altro regista. Taglia cioè tutta l’azione. Non vediamo il rapimento, ne prendiamo atto a fatto compiuto. Non assistiamo agli omicidi che seguiranno, nemmeno ai suicidi o alle indagini. L’intero film si regge sulle scene che in altre storie sarebbero semplicemente di transizione. Le scene madri, con tensione e azione, sono lasciate all’immaginazione. Questo conferisce al film una patina ancora più disperata, dà un senso di inevitabilità. Perché Mr. Vendetta si tiene lontano da ogni tipo di catarsi, sceglie semmai di inchiodarci con orrore di fronte a un meccanismo di cause e conseguenze che, una volta avviato, non si ferma più e può riguardare tutti.

A differenza del mondo occidentale in cui è associata al peccato, quindi a qualcosa da allontanare, la vendetta è qui qualcosa per cui provare compassione, o almeno comprensione. Ogni film della trilogia cambia forma. C'è un crescendo di struttura e messa in scena. Si parte con Mr. Vendetta dal genere realismo crudo, senza alcun tipo di spettacolo, per poi entrare nel film ad incastro e nell’estetica più teatrale con i successivi capitoli. Ognuno descrive un ingrediente necessario ad alimentare la rappresaglia violenta, autodistruttiva, e metterla fuori dal controllo dell’uomo. Si parte così da questa storia di persone umili e sole per dire una cosa che sarà assodata nelle opere successive: la vendetta nasce dalla disperazione. E dalla disperazione nessuno è immune.

I personaggi sono inquadrati con glaciale distanza. Sono piccoli nel paesaggio, perché la cinepresa si colloca, quasi intimorita, il più lontana possibile. Però è ferma, oggettiva, mentre osserva atti di violenza con una compostezza degna della cronaca. Park Chan-wook taglia le azioni, come dicevamo, eppure mantiene per tutta la loro interezza le reazioni viscerali dei personaggi. Ci si sente sporchi a guardare Mr. Vendetta perché se prendessimo singolarmente le scene più violente e vedessimo solo quelle potremmo arrivare alla fine con un po’ di nausea e con l’appagante idea di essere superiori rispetto ai brutali personaggi. Invece, preso per intero, questo viaggio è fatto di compassione e comprensione. È qui che diventa assolutamente devastante: sappiamo perché succedono cose che noi non faremmo mai, ma soprattutto capiamo perché vengono fatte.

Il dito è puntato, dicevamo, fuori dallo schermo: la distanza tra l’essere persone per bene o finire in una spirale di violenza è quella, molto breve, di una disperazione senza risposta. I personaggi, ricchi e poveri, sono tutti abbandonati da una società indifferente, o anestetizzata, rispetto ai drammi altrui. Si vive tutti ammassati ma non si comunica: ci sono pareti sottilissime che separano le vite degli altri.

Così chiude il cerchio il fatto che, a fianco di un film di incontri paralleli tra due volontà di rivalsa, ci sia un giallo investigativo. Ci sarebbe un testimone chiave, un senzatetto che si aggira nei pressi di un fiume. Sono sponde in cui Ryu continua a ritornare, anche quando dovrebbe allontanarsi, perché contengono un ricordo d’infanzia. L’uomo assiste a un fatto chiave, sa tutto. Non è però in grado di parlare e nessuno ha la minima voglia di provare a farlo parlare. 

Mr. Vendetta ragiona sulla dualità dei contendenti, delle cause e degli effetti. La più grande potenza del film nell’essere rigorosissimo e logico nell’avvicinare due desideri di vendetta. Eppure, più le ragioni della violenza diventano palesi, più si perde il senso di tutto quello che sta accadendo. Perché è iniziato tutto questo? Come volevano che finisse? Sono domande a cui il film non risponde ma da cui è impossibile non sentirsi coinvolti. Il testimone chiave, che vuole parlare ma non può, siamo noi.

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