Need for Speed Payback e l'utilizzo sempre più sfrontato dei loot box
Con Need for Speed Payback il modello dei loot box ha passato il segno, ecco perché occorre schierarsi contro questo tipo di implementazione
Le cose sono andate in maniera molto diversa.
[caption id="attachment_179972" align="aligncenter" width="3840"] Personalizzare il proprio bolide stavolta potrebbe non essere così facile[/caption]
Ci sono due ordini di problemi, il primo è smaccatamente etico, il secondo invece pertiene al game design: come unire il pay to win con la necessità di offrire un’esperienza di gioco bilanciata? La prima domanda è interessante ma pertiene relativamente a un magazine dedicato ai videogiochi, anche se è un punto su cui si stanno interrogando addirittura i legislatori, la seconda invece ci tocca più da vicino.
Fino a qualche anno fa l’accordo non scritto era abbastanza chiaro: gli appassionati pagavano e ottenevano in cambio un’esperienza di gioco più o meno soddisfacente, più o meno lunga, più o meno approfondita. Poi sono arrivati i DLC e abbiamo iniziato ad accettare titoli spezzettati, con contenuti proposti mesi o anni dopo l’uscita del capitolo primigenio. Ora siamo alla fase ancora successiva, in cui oltre a pagare per il prodotto (a questo punto tanto vale usare la parola più volgare possibile) bisogna spendere per riuscire a divertirsi.
[caption id="attachment_179973" align="aligncenter" width="1455"] Quello che Need for Speed dovrebbe essere in una sola immagine, senza onerose implementazioni[/caption]
Nel frattempo qualsiasi genere videoludico deve essere piegato a questa logica deleteria e, dunque, abbiamo open world applicati (male) addirittura ai platform, continue e martellanti campagne pubblicitarie mentre giochiamo, titoli sempre più tagliati o proposti a episodi, con DLC o stagioni, manco parlassimo di serie televisive.
Alcuni sviluppatori, per fortuna, stanno provando a difendersi (CD Projekt RED, Naughty Dog...) ma la situazione è quasi critica. Se i giocatori non si faranno sentire il rischio è di trovarsi con un mondo dei videogiochi fratturato, con da una parte i fautori del gaming as service e dall’altra una resistenza che cerca di non conformarsi alla modernità andante. Sarebbe ora che pure la stampa specializzata iniziasse a farsi sentire, per esempio rifiutando di recensire titoli smaccatamente virati sul pay to win oppure segnalandolo in una sezione apposita. La sfida sarà lunga e impegnativa ma va combattuta, ne va del futuro del gaming e del rapporto fra publisher e giocatori.