Navigator è una perfetta introduzione alla fantascienza
Avete circa dieci anni e non sapete da dove cominciare con la fantascienza? Quel grande classico anni Ottanta che è Navigator è qui per voi
Navigator è parte del canone di un’intera generazione, e siccome chi scrive appartiene a questa generazione proverò a spiegarvi che cosa intendo, e a convincervi a vederlo ora che è arrivato su Prime. Chi è nato all’inizio degli anni Ottanta ha avuto la fortuna di crescere in un periodo in cui uscivano tonnellate di film di avventura per ragazzi, ma anche la sfortuna di arrivare un filo troppo tardi per potersi godere certi capolavori al cinema: pensate a E.T., I Goonies, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi. Invece di goderceli in sala, noi figli di quegli anni li scoprimmo grazie alla TV, e alle infinite repliche serali; e il fatto che non tutti i film venissero replicati con la stessa frequenza ha creato una certa inevitabile gerarchia.
Siccome però il senno di poi è una scienza esatta, riguardare Navigator oggi rivela risposte insospettabili. Una in particolare: il film del regista di Grease è molto più vicino alla fantascienza classica, quella “dura”, di tutti gli E.T. e gli Incontri ravvicinati di questo mondo. Se il protagonista non fosse un ragazzino di dodici (?) anni ma un adulto di quarantadue il film probabilmente non sarebbe molto diverso, e le tematiche di fondo (prima su tutte la comunicazione tra forme di vita e di intelligenza diverse) rimarrebbero intatte.
Da dove arriva l’astronave e che cosa vuole? Cosa c’entra David e il suo viaggio nel tempo con questo visitatore intergalattico? La risposta stessa alla seconda di queste domande sembra uscita direttamente da Star Trek: per una volta Navigator non propone alieni invasori e distruttori, ma una nave scientifica che viaggia nello spazio per trovare e studiare altre forme di vita, là dove nessun abitante del pianeta Phaelon aveva mai osato prima. E anche lo scontro tra Max, l’alieno-nave-senziente che battezza David come suo navigatore, e l’elemento umano che gli viene letteralmente iniettato nel codice sorgente sotto forma di pezzi di personalità di David ha, ancora una volta, un’eco roddenberryana.
C’è poi il fatto che, a differenza di altri coming of age fantascientifici dell’epoca, Navigator punta pochissimo sui rapporti tra David e gli altri esseri umani, e tutto o quasi su quello con l’astronave. Non ci sono love interest infilati un po’ a forza, e anche l’inevitabile spalla femminile (Sarah Jessica Parker in uno dei primi ruoli della carriera) è un’amica e confidente, non un simbolo del passaggio all’età adulta che verrà sancito con un casto bacio in punta di labbra sul finale del film. Non ci sono migliori amici o bulli da sconfiggere, solo la meraviglia di essere entrati in contatto con una civiltà aliena, e ovviamente la paura e la confusione di ritrovarsi catapultati otto anni nel futuro senza speranza apparente di poter tornare al proprio tempo.
È possibile che anche questo sottotesto angosciante abbia contribuito al successo solo relativo di Navigator, che è sempre rimasto confinato nel cassetto dei ricordi d’infanzia di una generazione ma non è mai riuscito a elevarsi e diventare un mito. È un film di fantascienza per bambini e ragazzi nel quale la parte “di fantascienza” prevale su quella generazionale, dominato più da grandi idee che dal calore dei rapporti umani di un dodicenne. Forse per questo è stato mal interpretato come un film troppo freddo e distaccato, senza tutti quei ganci extra-genere che fanno sentire a casa anche chi non si nutre di fantascienza. E forse il suo arrivo in streaming potrebbe essere l’occasione per correggere questa impressione e riscoprire un piccolo-grande culto (nell’attesa che Bryce Dallas Howard ci sottoponga la sua nuova versione).