Nanni Moretti e la crisi del cinema italiano

La scorsa settimana, il celebre regista, dopo una telenovela infinita, ha assunto definitivamente la carica di direttore del Festival di Torino. E le sue dichiarazioni hanno dimostrato, ancora una volta, la situazione drammatica dell’industria cinematografica nel nostro Paese…

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Probabilmente, molti di voi avranno sentito le polemiche legate alla scelta di Nanni Moretti come nuovo direttore del Festival di Torino. Pochi giorni dopo aver ottenuto l’incarico, il regista ha mollato a causa delle divergenze che si erano scatenate tra gli organizzatori, per poi ritornare definitivamente sui suoi passi la scorsa settimana, quando le cose si sono (più o meno) sistemate. Si potrebbe discutere per decine di pagine su come funzionino certi meccanismi di nomina e su come gli interessi di parte spesso abbiano la precedenza rispetto a quelli generali. Ma visto che questo è stato già fatto da altri (magari anche bene), soffermiamoci su un altro aspetto importante della vicenda, che invece è passato quasi sotto silenzio (o comunque, non è stato affrontato come meritava).

Moretti, subito dopo aver ottenuto l’incarico, ha infatti detto che, per i prossimi due anni, si dedicherà interamente a questa attività, tralasciando quindi eventuali nuovi progetti come regista.
Ora, qualsiasi cosa si pensi di Moretti, è indubbio che sia ormai il regista italiano più noto all’estero, considerando che Muccino va ormai considerato ‘americano’ d’adozione (e ben difficilmente tornerà a lavorare nel nostro Paese) e che Benigni è ormai sbeffeggiato da tutta la stampa internazionale.
Insomma, l’idea che una personalità artistica così importante stia due anni fermo e che lo faccia non, chessò, per prendersi una pausa e ritornare più in forma che mai, ma soltanto per dirigere il terzo Festival italiano, mi lascia molto perplesso.

Negli Stati Uniti e in Francia, registi come Steven Spielberg e Luc Besson aprono case di produzione, diventano responsabili di decine di film e si avventurano in progetti rischiosi. Basti pensare ad Arthur e i Minimei, che è diventato il cartone animato europeo più costoso di sempre. Certo, tra le decine di crediti come produttori e sceneggiatori molti sono sospetti (possibile che qualcuno possa scrivere, dirigere e/o produrre veramente cinque-sei film all’anno?), ma è indubbio che il loro obiettivo è quello di far crescere l’industria cinematografica del loro Paese (e anche il loro conto in banca, s’intende),

In Italia, invece, ognuno fa film per sé. Magari si produce i suoi, ma solo perché sa che farà un sacco di soldi. E quando si tratta di investire su altri, allora si chiede l’intervento dello Stato. In questo caso, invece di lamentarsi della perdita (almeno momentanea) di un regista così importante, sembra che la stampa nazionale sia eccitata all’idea di averlo come direttore di un Festival (e non stiamo neanche parlando di Venezia). Come se, tra realizzare nuovi film importanti (che mandano avanti l’industria) e fare retrospettive su quelli vecchi, proponendo qualche pellicola ‘inedita’ (ma sicuramente già passata in altre manifestazioni, come Cannes o Montreal), sia più significativa la seconda attività. E lasciamo da parte il discorso sull’importanza dei Festival (sempre minore), in una situazione in cui certi film sono spesso facilmente rintracciabili su Internet (in maniera legale o meno).

Certo, nel caso specifico, un fatto positivo c’è. Dopo aver visto quell’orribile casino che è Il Caimano e aver visto alcuni (banalissimi) interventi recenti al Nuovo Sacher su Raisat Extra, viene da pensare che probabilmente Moretti non abbia più nulla di interessante da dire. E allora, in effetti, magari a Torino farà meno danni…

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