Morto Vilmos Zsigmond, con luci e colori segnò il passaggio da realismo a mito a Hollywood

Uno dei più grandi in assoluto ci lascia. Vilmos Zsigmond ha tenuto a battesimo Spielberg e De Palma e da lui Hollywood ha imparato a usare le luci brillanti interne alla scena

Critico e giornalista cinematografico


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Solo pochi giorni fa abbiamo dato l’addio a Haskell Wexler e ora un altro grandissimo della fotografia che ha contribuito a fondare le coordinate visive della New Hollywood se ne va. È Vilmos Zsigmond, ungherese di nascita, in seguito naturalizzato americano. Anche lui come Wexler è stato l’occhio del cambiamento del cinema americano, scoperto da Altman dopo molti film di serie B, con I compari e Il lungo addio, è subito diventato un punto di riferimento per quella generazione coeva e immediatamente successiva ad Altman.

Rispetto a Wexler e al suo grandissimo amico Lazslo Kovacs (con cui in Ungheria aveva diretto un documentario sulla grande rivoluzione del ‘56 e che lavorerà in tutti i set rimanenti, a partire da Easy riderZsigmond non era affatto un minimalista, non prediligeva luci naturali ma anzi può essere definito un calligrafico. Non a caso, benché abbia iniziato con il regista che fece partire tutto (Altman), ben presto si è spostato con uno degli autori più commerciali di quella nuova ondata, uno nel cui cinema già c’erano i germi della fine della New Hollywood e le fondamenta degli anni ‘80: Steven Spielberg.

A partire da Sugarland Express e culminando con Incontri ravvicinati del terzo tipo (per cui ha ricevuto il suo unico Oscar), Zsigmond ha sperimentato un look nuovo, sfavillante, in cui l’approccio molto secco della New Hollywood si stemperasse in una maggiore sofisticazione, in cui i colori diventavano sempre più brillanti e la realtà diventava mito.

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Anche in film come Un tranquillo weekend di paura o Il cacciatoreZsigmond lotta per inserire momenti espressionisti, in cui il colore è determinante (il rosso brillante della fascia in testa durante la roulette russa), manipola le inquadrature per cercare l’effetto clamoroso e al naturalismo non nasconde mai di prediligere il grande effetto. Con Cimino poi realizzerà anche quell’affresco incredibile che è I cancelli del cielo, andando esplicitamente a parare dalle parti della pittura, rifiutando il gretto realismo delle inquadrature e delle composizioni per aspirare alla retorica classica delle immagini.

Dopo aver incontrato Brian De Palma nel 1976 con Complesso di colpa ci collabora ancora per Blow Out, Il falò della vanità e Black Dahlia. Infine sarà per una fugace stagione beniamino di Woody Allen che dopo Melina e Melinda lo vuole ancora con sè per Sogni e delitti (e lì la sua prova è fantastica nell’esaltare il tono plumbeo di Londra e l’identità dei due fratelli McGregor/Farrel) fino a Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni.
Ma non solo, nell’elenco dei registi con cui Zsigmond ha fatto un film rientrano anche Kevin Smith (Jersey Girl) e George Miller (Le streghe di Eastwick), non a caso questo direttore della fotografia che sembra aver dato una mano a chiunque conti ad Hollwyood, è stato nominato tra i 10 più importanti della storia della fotografia dal sindacato americano dei direttori della fotografia e ad oggi rimane uno dei più imitati.

Bastano le sue scene di Incontri ravvicinati, la maniera in cui mette a paragone piccolo e grande (da lì uno standard quando sì parla di astronavi e uomini) o il modo in cui usa il bagliore delle luci interne alla scena (Robert Richardson e il suo lavoro con Scorsese e Tarantino ne è figlio diretto) per far capire che quest’ungherese ha cambiato la maniera in cui il cinema americano trasfigura la realtà in mito. Posizionato a cavallo della grande rivoluzione ha lavorato per mediare l’esigenza di storie dure e concrete della New Hollywood con il mito e l’esaltazione di quel che è venuto subito dopo.

cassandrasdream

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