Mike Nichols, la fonte dell'unica grande rivoluzione di Hollywood

Nome meno noto di altri ma autore di film cardinali come pochi. A Mike Nichols dobbiamo l'inizio della svolta realista di Hollywood, la scoperta dei volti strani, complessi, non usuali

Critico e giornalista cinematografico


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Due gangster realmente esistiti che sparavano e uccidevano senza filtri (ma faticavano a far sesso) e un ragazzo che non sa scegliere tra l'angelica figlia e la ben più sexy, materiale e audace madre è quello che ha cambiato il cinema americano nel 1967, nuovi modi di guardare la violenza e il sesso. Uno era un film di Arthur Penn, l’altro era Il laureato di Mike Nichols, morto ad 83 anni.

Nichols apparteneva al cinema tanto quanto al teatro, il suo nome non è tra i più noti (ma i suoi film si: Il laureato, Una donna in carriera, Conoscenza carnale, Closer...), lo stesso ha cambiato la maniera in cui si concepiscono i film assieme ai pionieri del nuovo cinema americano. Sul grande schermo non faceva film, faceva incursioni: arrivava, cambiava e tornava a fare teatro per qualche altro anno. Per farlo usava prevalentemente gli attori, a tutto tondo, li sceglieva, li cambiava, li plasmava e rivoluzionava quel che pensavamo del loro corpo proprio grazie alla sua esperienza teatrale, il luogo in cui un attore non è una serie di inquadrature (un primo piano, un piano americano, un piede, una mano ecc. ecc.) ma un blocco unico in cui le gambe contano quanto i capelli.

Dopo aver raggiunto la fama in teatro con commedie tradizionali come era quelle di Neil Simon contemporaneamente ad Arthur Penn iniziò l’unica vera rivoluzione mai avvenuta all’interno di Hollywood, quel passaggio tra un cinema di luoghi e figure idealizzate e uno fatto di carne e sostanza, di realismo e asperità. Con Il laureato (mentre Penn girava Gangster Story) dimostrò che si potevano fare film su altri soggetti, con altri attori, che trattassero altre materie in altri modi e creare un successo.

Il ruolo del protagonista era destinato a Robert Redford, allora un giovane molto in linea con la tradizione hollywoodiana: bello, bravo, convenzionale. Nichols invece volle Dustin Hoffman, sconosciuto, brutto e scricciolo e gli insegnò personalmente a recitare. Lo stesso vale per Anne Bancroft, la prima MILF di sempre, inadatta alla parte per gli standard dell’epoca, troppo vera, troppo sexy, troppo proibita. Dopo che Il laureato dimostrò che si poteva incassare anche con queste idee poterono arrivare (anzi diventarono di moda) i De Niro, gli Stallone, i Pacino e tutta quella schiera di attori protagonisti non particolarmente belli, con lineamenti non solo caucasici ma tremendamente reali. L’invasione delle persone vere.

Con Conoscenza Carnale (che, coincidenza, in questi giorni è uno dei fiori all’occhiello della retrospettiva “New Hollywood” del Torino Film Festival) ha sconvolto tutti, a partire da Tarantino, all’epoca ragazzino, che più volte ha detto di essere rimasto rapito da tutto quel modo di concepire il sesso, così vero, passionale ed esplicito, fino al resto del cinema che scoperchiato un tabù avrebbe abusato della possibilità di parlare e raccontare anche la sessualità da vicino invece che per metafora.
Erano gli anni in cui c’era terreno fertile per cambiare, quelli in cui a registi di successo e poco convenzionali come lui veniva data gran fiducia, libertà e mezzi. In quel periodo Nichols spaziava e rivoltava.

Nel decennio successivo invece si dedicò a film molto diversi cominciando un’altalena clamorosa tra lungometraggi che hanno segnato la storia e altri dimenticabilissimi, scialbi già a partire dal soggetto. Con Una donna in carriera per primo prendeva atto del nuovo ruolo della donna, mostrava le ingiustizie del sistema degli yuppies e metteva in scena ragazze dalla sessualità spregiudicata i contesti di lusso prima di Sex and the city, dimostrava che Sigourney Weaver, a saperla usare, non era solo buona per film d’azione, che quel suo fisico imponente aveva anche altre ragioni d’essere, che il mondo del cinema più convenzionale che ci sia (la commedia romantica) poteva essere animato anche da volti e corpi curiosi come il suo e quello di Harrison Ford. Con lui ha poi realizzato uno dei suoi molti film “convenzionali”, A proposito di Henry.

È passato attraverso gli anni ‘90 con follie tipo Wolf - La belva è fuori (Jack Nicholson mascherato da lupo però era un'idea forte) e Piume di struzzo (il remake di Il vizietto), operazioni senza ambizioni per anni in cui le sue idee non trovavano spazio sul grande schermo. Invece nel cinema dell’ondata di indipendenti degli anni 2000 sembrava avesse ricominciato a vivere. Prima I colori della vittoria e poi Closer, in cui rilanciava la carriera adulta di Natalie Portman e faceva scoprire al cinema americano Clive Owen. Ancora una volta il sesso, ancora una volta una maniera diversa di vederlo e raccontarlo per anni in cui non esistono più i tabù.

Il suo ultimo film è La guerra di Charlie Wilson, uno di quelli convenzionali ma in questa categoria forse il più riuscito. Unisce Tom Hanks a Julia Roberts sotto l’egida di Philip Seymour Hoffman (di cui ha scoperto il talento camaleontico) e gli fornisce il tamburo battente di sottofondo che è lo script di Aaron Sorkin. Il risultato è un fluidissimo thriller di guerra che abbatte la barriera del “rosa” per farlo entrare senza scadere nella melassa.
Ci mancherà.

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