Moonrise Kingdom, 10 anni del film diverso di Wes Anderson
Con Moonrise Kingdom Wes Anderson segna una variazione più ampia del solito, rinuncia a molto e abbraccia un romanticismo finalmente serio
In una filmografia caratterizzata da piccole variazioni su una poetica molto rigida (non solo visivamente) Moonrise Kingdom è la più grande delle variazioni su quei temi, quelle strutture e quelle idee. Girato dopo Fantastic Mr. Fox e il suo insuccesso è uno dei film a budget minore di Wes Anderson, pensato in fretta e realizzato con poco (nonostante la solita massa di volti e nomi noti). Dopo averci girato molto intorno, finalmente usa come protagonisti i suoi bambini maturi e acculturati. Soprattutto, per la prima volta, Wes Anderson mette in secondo piano la consueta storia di genitori in difficoltà e rapporti di paternità complicati e sposta sul primo piano una storia d’amore estremamente convenzionale (due amanti in fuga dalla società che non li vuole insieme) in cui dimostra una capacità e un tocco di rara delicatezza.
Adulti bambini o bambini adulti
I personaggi dei film di Wes Anderson sono adulti, spesso infantili nei loro atteggiamenti, oppure bambini con interessi e atteggiamenti da adulti. Spesso prevedono o la prima o la seconda categoria in azione, raramente interagiscono tra loro (avviene ad esempio in Rushmore o in L’isola dei cani). Moonrise Kingdom è però, tra tutti, il film in cui adulti e bambini si incontrano a metà strada, in un punto intermedio nel quale sono rimasti fermi i grandi e sono arrivati i piccoli bruciando le tappe. Qui, sullo stesso piano, adulti e preadolescenti lottano come si fa nei melodrammi classici, gli uni per tenere vivo un amore, gli altri per osteggiarlo con l’arma delle regole, delle istituzioni e della morale. Questo meccanismo è quello che rende il film un unico nella produzione di Anderson, la sua opera più sfacciatamente sentimentale, più truffautiana (in una carriera intera che strizza l’occhio a Truffaut) e capace di mettere sullo schermo meglio di tutti le sue idee sul mondo e sulle persone.
A battere sotterraneo c’è il tema base di tutto il cinema di Wes Anderson: guardare i propri genitori separarsi e cercare di non andare in pezzi nel frattempo. Stavolta però l’approccio è così laterale che viene schiacciato dal romanticismo perduto tra i due protagonisti, in fuga per amore come i preadolescenti di Black Jack, vivi in un mondo di coetanei che hanno una loro dimensione autonoma dagli adulti come in Gli anni in tasca, ribelli in fuga e felici di esserlo come in La rabbia giovane. Questi i tre poli cinematografici dichiarati, ma in realtà come sempre Wes Anderson somiglia solo a Wes Anderson, dalla scenografia fino ai dialoghi e alla maniera in cui i sentimenti esplodono all’improvviso, inattesi, mai annunciati, mai sottolineati.
L’orologio che ticchetta
È il mondo degli scout la cornice più normativa del solito, le regole, la repressione, ciò che sì può fare e non si può fare, i servizi sociali e tutto un mondo di adulti che cerca i due amanti sotto la pressione di un altro espediente che non è per niente usuale nella filmografia di Wes Anderson: l’orologio che ticchetta. Un narratore esterno alla vicenda ma interno alle inquadrature, ci spiega subito che sta per arrivare una bufera come mai è capitato, tra tre giorni. Sappiamo quindi che tutto culminerà con il fragore di una situazione di vita e di morte, ma sappiamo anche che (come sempre) nulla è davvero serio perché questo narratore è il tipo che se l’inquadratura è troppo scura accende personalmente una luce per illuminarsi. Mai come nei film di Wes Anderson ci viene ricordato di continuo che stiamo guardando un film, senza però che questo infici il nostro coinvolgimento. L’accettazione sfacciata che è tutto finto come in uno spettacolo di marionette ci assorbe.
E finalmente in Moonrise Kingdom la messa in scena così stringente che parla sempre di mondi rigidamente codificati, pieni di paletti e ordinati da un’intelligenza superiore e maniacale (il regista, ovviamente, ma nella finzione è il mondo degli adulti di mentalità per niente flessibile) viene usato per raccontare una fuga da queste strutture, un anelito di libertà per amore. È questa la volta in cui, come era avvenuto poco prima in Fantastic Mr. Fox, Wes Anderson sembra non ammirare le costruzioni che sa mettere in piedi ma scrive due personaggi che vogliono evadere da esse, non più per affermazione personale come la volpe, ma per amore. Lei leggendo libri che sembrano parlare proprio della loro storia, lui rifacendosi a modelli avventurosi perfetti. Come se aderissimo così tanto al loro punto di vista che anche la storia in sé funziona come se fosse immaginata da loro. Ma non solo, stavolta fa un cinema anche più libero e Nouvelle Vague del solito in cui come già detto anche i personaggi possono aggiustare l'illuminazione di una scena.
Algida tenerezza, duro romanticismo
Così, con questo approccio e questa sfacciataggine fatta di baci, tenerezze molto raffreddate e trovate di un romanticismo eccezionale (la bufera spazzerà via la baia in cui i due hanno vissuto per quel periodo di fuga, il loro nido d’amore è esistito il tempo in cui lo hanno abitato), Anderson riesce a ringiovanire di colpo e rinfrescare la sua poetica dell’incomprensione, cioè i suoi personaggi che anelano ad essere capiti dagli altri senza successo. Suzy sembra infatti una piccola Gwyneth Paltrow di I Tenenbaum e Sam sembra un prolungamento del personaggio di Jason Schwartzman in Rushmore. I due hanno quella medesima maniera di vivere in un proprio mondo anelando segretamente alla comprensione degli altri. Diversamente da quei personaggi però (e da moltissimi altri nei film di Wes Anderson) la loro tensione verso la comprensione non è indirizzata verso i genitori o gli adulti, e inoltre sembrano aver trovato qualcuno che li capisca!
La scena in cui si conoscono è, in questo senso eccezionale, senza dubbio una delle migliori del cinema di Wes Anderson. Sam entra dietro le quinte di uno spettacolo teatrale in cui Suzy è mascherata da uccello. Apre una serie di abiti appesi come fossero tende e la scova di spalle, come una diva degli anni ‘40 Suzy si gira svelando un trucco e un’espressione duri. La composizione rigorosa, i movimenti secchi e tutto quello che caratterizza Wes Anderson fingono algida freddezza (come in Truffaut, di nuovo) eppure è così bravo a dirigere questi due attori per trovare i quali ha impiegato 8 mesi di lavoro, che capiamo molto bene che dentro bruciano per questo primo incontro. Sì guardo in modi algidi quando quel che dicono tradiscono interesse. Il primo piano di Kara Hayward è memorabile. Coerentemente con il loro piglio da eroi romantici della letteratura ottocentesca poi il loro amore sarà cementato da un rapporto epistolare e una fotografia in Super16mm che accompagna ancora di più i colori tenui della palette.
Negli altri film di Wes Anderson il romanticismo è spesso preso in giro, gli amori sono paradossali, usati come il ralenti, per dare un colpo di grottesco. Solo in Moonrise Kingdom l’adesione è totale, la partecipazione e la serietà nel raccontare lo stordimento che porta due bambini a fuggire è senza appello. Certo saranno a loro modo ridicoli come sempre in Wes Anderson, perché troppo desiderosi di essere adulti. Eppure se mai c’è stato l’indizio che questo cineasta così votato ad un cinema riconoscibile, vincolato ad un’estetica piena di regole e paletti, sarebbe potuto essere un narratore eccezionale anche alle prese con una messa in scena più ordinaria, questo è Moonrise Kingdom.