Mondiali di calcio: sedici film per sedici squadre
Sedici film, uno per ogni nazionale qualificata agli ottavi di finale dei Mondiali, selezionati con criteri altamente scientifici
Evviva! Ci siamo! Tra violazioni dei diritti umani, migranti nascosti sotto il tappeto, censura di Stato e birre analcoliche, il Mondiale di calcio del 2022 è finalmente arrivato alla fase finale, quella dove le partite contano davvero, quella dove se perdi 2-1 contro il Giappone te ne torni a casa con la coda tra le gambe.
- Argentina – Enter the Void (Gaspar Noé, 2009)
- Australia – Razorback (Russell Mulcahy, 1984)
- Brasile – Tropa de Elite (José Padilha, 2007)
- Corea del Sud - Parasite (Bong Joon-ho, 2019)
- Croazia – Ne gledaj mi u pijat (Hana Jusic, 2016)
- Francia – La Haine (Mathieu Kassovitz, 1995)
- Giappone – Ran (Akira Kurosawa, 1985)
- Inghilterra – A Field in England (Ben Wheatley, 2013)
- Marocco – Casanegra (Nour-Eddine Lakhmari, 2008)
- Paesi Bassi – Basic Instinct (Paul Verhoeven, 1992)
- Polonia – Possession (Andrzej Żuławski, 1981)
- Portogallo – Ritorno a casa (Manoel de Oliveira, 2001)
- Senegal – La noire de… (Ousmane Sembéne, 1966)
- Spagna – Toc Toc (Vicente Villanueva, 2017)
- Stati Uniti d’America – Rocky (Sylvester Stallone, 1976)
- Svizzera – La mia vita da zucchina (Claude Barras, 2016)
Argentina – Enter the Void (Gaspar Noé, 2009)
Girato tutto in prima persona, è la storia di uno spacciatore americano a Tokyo che muore, esce dal suo corpo e ha molta paura, ma soprattutto molta droga. Sperimentale almeno quanto l’idea di perdere l’esordio contro l’Arabia Saudita per dare un po’ di pepe al girone.
Australia – Razorback (Russell Mulcahy, 1984)
La nazionale australiana è una squadra di (calcisticamente parlando) cinghiali, con il tasso tecnico più basso delle sedici della fase finale ma una gran voglia di arare il campo con arroganza, ottenendo il massimo risultato con il massimo del fare brutto. A loro dedichiamo questo eco-horror di culto che parla, appunto, di cinghiali.
Brasile – Tropa de Elite (José Padilha, 2007)
Fin troppo facile: la nazionale brasiliana finora (NB questa parte del pezzo viene scritta prima dell’ultima partita del girone, con la qualificazione verdeoro già sicura) si è comportata come una tropa de elite, non nel senso che sono uno squadrone della morte ma che sono il meglio del meglio, all’apparenza superiori a (quasi) tutte le concorrenti. Vediamo se regge.
Corea del Sud - Parasite (Bong Joon-ho, 2019)
Troppo facile? Forse sì, ma Parasite è il film che ha fatto scoprire a una buona fetta di mondo che il cinema coreano è, per usare un'espressione tecnica, una figata pazzesca, e questo rende Bong Joon-ho un po' il Son Heung-min del cinema e questo film il suo Puskas.
Croazia – Ne gledaj mi u pijat (Hana Jusic, 2016)
La Croazia ha meno di quattro milioni di abitanti ed esiste nella sua forma attuale solo dal 1995, ed è quindi probabilmente la nazione con meno storia cinematografica delle sedici finali. Segnaliamo quindi questo film di Hana Jusic passato anche a Venezia, e segnalato (ma non selezionato) agli Oscar 2017 come Miglior film straniero.
Francia – La Haine (Mathieu Kassovitz, 1995)
Perché proprio “l’odio”? Perché se c’è una cosa che la nazionale francese fa meglio di giocare a calcio è generare drama, e anche quest’anno, prima ancora dell’inizio del Mondiale, si parlava delle rivalità interne allo spogliatoio preannunciando una guerra senza quartiere. Per ora in realtà la tregua ha retto, e la Francia si sta godendo il ruolo di favorita senza troppi grattacapi.
Giappone – Ran (Akira Kurosawa, 1985)
Nel senso letterale del termine (“ran” significa “caos”), ma anche letto in inglese come passato remoto di “to run”: una delle cose che abbiamo imparato in questo Mondiale è che i giapponesi corrono. Fortissimo. Sempre. Non mollano un centimetro. Pressano come se da ogni recupero palla dipendesse il futuro della loro nazione. Sono loro gli indiscussi idoli di questa prima metà di torneo.
Inghilterra – A Field in England (Ben Wheatley, 2013)
Il campo in Inghilterra è probabilmente quello dove ogni singolo giocatore della nazionale inglese sogna di trovarsi invece che su quelli qatarioti. Indicati, non senza una certa dose di scetticismo, come una delle squadre favorite, gli inglesi alternano momenti in cui sembrano effettivamente dei calciatori ad altri nei quali nei loro occhi si legge la nostalgia di casa – o l’assunzione di sostanze psicotrope, che è poi quello di cui parla il film.
Marocco – Casanegra (Nour-Eddine Lakhmari, 2008)
Drammone ambientato per le strade di Casablanca, Casanegra venne anche proposto per gli Oscar come Miglior film straniero (ma non passò la selezione). Parla del sogno di fuggire da una realtà oppressiva e poco accogliente, ma anche di crimini e violenza. Cosa c’entra con il cammino del Marocco ai Mondiali, caratterizzato al contrario da un’eleganza senza confini e uno strapotere che solo Eto’o aveva previsto? Nulla, però è un gran film.
Paesi Bassi – Basic Instinct (Paul Verhoeven, 1992)
“Basic instinct”, l’istinto primordiale, quello cioè che manca clamorosamente alla nazionale olandese in questi Mondiali. Vi ricordate quando “Olanda” era sinonimo di “bel calcio”, e a volte di “bel calcio di scarso successo perché a volte nel calcio è più importante essere pratici che belli”? Ecco, quest’anno sembra che gli arancioni abbiano deciso di puntare sull’efficienza, dimenticandosi come si gioca a calcio ma non come si vince.
Polonia – Possession (Andrzej Żuławski, 1981)
Possession è, come suggerisce il titolo, un film che parla di possesso palla – proprio quello che la Polonia di quest’edizione non sa fare. D’altra parte non sanno neanche verticalizzare, né pressare, né infilare tre passaggi di fila: il fatto che siano riusciti a passare il turno difendendo una sconfitta e facendo di tutto per non farsi ammonire è indicativo. Neanche loro sanno come sono arrivati agli ottavi, ma di certo non se ne lamentano.
Portogallo – Ritorno a casa (Manoel de Oliveira, 2001)
“Ritorno a casa” nel senso di “se continuiamo a giocare così, appena becchiamo una squadra semi-decente usciamo di corsa”. O forse si parla del ritorno a casa di Ronaldo, capitano disoccupato della sua nazionale che tra le tante (?) offerte ricevute annovera anche quella dello Sporting Lisbona, che sogna di riportarlo là da dove tutto è cominciato. O magari “ritorno a casa” è semplicemente la frase che ogni portoghese sogna di sentir pronunciare all’allenatore Fernando Santos.
Senegal – La noire de… (Ousmane Sembéne, 1966)
Qui è dove l’autore deve arrendersi e ammettere la sua ignoranza sul cinema africano e quello senegalese in particolare, e accontentarsi dunque di citare quello che forse è il più famoso film senegalese della storia e probabilmente il primo film africano a ricevere attenzione a livello internazionale (è uscito anche su Criterion).
Spagna – Toc Toc (Vicente Villanueva, 2017)
È il film spagnolo con il titolo più simile a “tiki-taka” che abbiamo trovato.
Stati Uniti d’America – Rocky (Sylvester Stallone, 1976)
Paradossalmente il film più difficile da scegliere vista l’egemonia culturale americana sul mondo del cinema. Scegliamo Rocky non solo perché ne stiamo parlando in questo periodo, ma anche perché gli americani si sentono un po’ come il signor Balboa: forti, ma ancora acerbi, debuttanti, e di fronte alla grande opportunità di dimostrare il loro valore, senza mollare mai, viva la libertà, viva il sogno americano! Le prestazioni sul campo non sono state sempre all’altezza di queste aspettative, ma l’atteggiamento AMERICA FUCK YEAH! della squadra è comunque da lodare. (NB: nel momento in cui esce l'articolo, gli USA sono stati eliminati dai Paesi Bassi)
Svizzera – La mia vita da zucchina (Claude Barras, 2016)
Dovevamo esserci noi al posto della Svizzera, se solo non fossimo scarsi. Ci vendichiamo nel modo più infantile e inutile che si possa immaginare: dando loro delle zucchine. Gnè gnè gnè!