Il mistero della casa del tempo è una delicata introduzione all’horror
Il mistero della casa del tempo sembra un film fatto da Eli Roth per spiegare l’horror a suo figlio (che non ha)
Nel momento in cui scriviamo, Il mistero della casa del tempo, l’unico (ad oggi) film non rated-R della carriera di Eli Roth, è (nel momento in cui scriviamo) al nono posto tra i più visti nella sezione Bambini di Netflix, e ci piace pensare che se il suo regista lo sapesse ne sarebbe felice. All’apparenza diverso da qualsiasi cosa mai girata prima dal suo regista/attore (che sia Hostel o Bastardi senza gloria), questa avventura magica tratta da un romanzo del 1973 di John Bellairs è in realtà una delicatissima, quasi innocua, introduzione all’horror e ad altri generi limitrofi. Che però va benissimo per i bambini, come Piccoli brividi; ed è uno dei film ideali da far vedere ai c.d. “più piccoli” se li si vuole avvicinare allo spavento senza traumatizzarli.
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Lo stesso vale per la fonte – il romanzo di Bellairs è perfetto se volete introdurre le vostre creature alla letteratura a base di, be’, creature di altro tipo – e per la persona incaricata di trasformarla in film – Eric Kripke ha inventato Supernatural ma ha anche prodotto, scritto e persino diretto un episodio di The Boys, ed è quindi uno che sa maneggiare registri molto diversi – e in generale per tutta la confezione. Poi però c’è quel nome che racchiude in sé un brivido, un senso di rischio e di “potrebbe andare tutto storto” che non provavamo da quando George Miller passò da Mad Max a Babe maialino coraggioso (con le debite proporzioni, ovviamente).
Quello che è diventato famoso con Hostel, storia di gente che va nell’Europa dell’est e finisce torturata male, e che prima ancora aveva esordito con Cabin Fever, un film nel quale a un certo punto una delle protagoniste si fa una ceretta e si strappa intere strisce di pelle dalla gamba. Eli Roth quello che nel già citato Bastardi senza gloria si prendeva la soddisfazione di crivellare di colpi la faccia di Hitler, che ha fatto un film ambientato tra i cannibali dell’Amazzonia, che ha preso Keanu Reeves e l’ha messo alla mercé di Ana de Armas e di sua moglie desnude e assassine. Cosa c’entra Eli Roth con Jack Black, con Cate Blanchett, con la Amblin Entertainment, il cui logo è la primissima cosa che si vede quando mettete su il film?
La risposta la trovate qui, ed è la più facile del mondo: «Era da tanto tempo che sognavo di fare un film come quelli che mi piacevano da bambino: I banditi del tempo, Dark Crystal, Labyrinth». Ecco spiegato tutto quanto (tranne quello che è successo a Roth che l’ha fatto passare dalle creature di Jim Henson al torture porn), logo Amblin compreso: anche un sadico come Eli Roth ha avuto un’infanzia, e come chiunque sia cresciuto con Spielberg e lo Spielbergverso gli è rimasta una gran voglia di provare a contribuire anche lui – in fondo è lo stesso motivo per cui, per esempio, JJ Abrams ha fatto Super 8. La cosa più importante è che è chiaro che Roth prova un amore vero verso quei film, e quel modo di raccontare l’avventura mettendo al centro gli occhi innocenti e pieni di stupore di un bambino (o più bambini). E quindi Il mistero della casa del tempo non sembra un’operazione-nostalgia fatta per sfruttare il buon nome della Amblin, ma è abbastanza fedele al modello, e insieme abbastanza personale, da essere a pieno titolo un film Amblin – forse addirittura il migliore dai tempo di Le avventure di Tin-Tin.
Eli Roth non ha figli, ma ci piace immaginare Il mistero della casa del tempo come il film che avrebbe fatto, se ne avesse avuti, per avvicinarli ai suoi generi preferiti senza traumatizzarli – che è un po’ la stessa cosa che si può dire dei vari Goonies, Gremlins e persino E.T.. A partire dalla storia intimamente lovecraftiana: dopo la morte dei genitori, Lewis va a vivere dal bizzarro zio Jonathan, che incidentalmente è anche un mago; e che vive in una casa che era un tempo la dimora di un altro mago malvagio, che ha nascosto da qualche parte un orologio incantato in grado di riavvolgere la tessitura dello spaziotempo e cancellare l’umanità dall’esistenza. È orrore cosmico puro, impacchettato però in una confezione accogliente e quasi disneyiana, tra poltrone parlanti e chimere a forma di siepe che passano tutto il film a emettere deiezioni foliari in faccia a chiunque.
È questo costante alternare tra momenti di ingenua poesia, incursioni nella comicità scatologica e attimi di vero terrore che fa funzionare così bene Il mistero della casa del tempo. Un film stracolmo di entità inquietanti, Kyle MacLachlan su tutte, il cui impatto viene sempre stemperato da una battuta o da un momento di azione avventurosa. La burtoniana storia di un escluso che scopre nella sua stranezza il suo più grande punto di forza, e che deve usare questa consapevolezza per salvare l’universo e sconfiggere la repulsione di fronte all’orrore più grande di tutti (cioè la testa di Jack Black innestata su un corpo da neonato). Un’opera che non poteva che uscire dalla mente di qualcuno che da piccolo amava le fiabe e la magia e da grande ha scoperto di adorare le viscere e le interiora. Peccato solo che il film perda un po’ di forza sul finale, paradossalmente quando smette di buttarla sul ridere e si concentra esclusivamente sull’epica. Ma anche questa (all’inizio sembra tutto perfetto, poi sul finale cominciano i problemi) può essere vista, se volete, come una grande metafora della vita, e un bel messaggio da lasciare al figlio inesistente di Eli Roth.