Mission: Impossible - Rogue Nation codifica il franchise

Mission: Impossible – Rogue Nation è un quinto capitolo che ci si può godere senza alcun problema anche senza aver visto i precedenti quattro

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Questo speciale su Mission: Impossible – Rogue Nation fa parte della rubrica Tutto quello che so sugli stunt l'ho imparato da Mission: Impossible

Mission: Impossible – Rogue Nation è un caso sempre più raro di quinto film di un franchise che ci si può godere anche senza aver visto i quattro precedenti, e usare come trampolino di lancio per entrare nel mondo di Ethan Hunt. In un mondo dove la serialità cinematografica era sempre più orizzontale, interconnessa, crossmediale e altri termini simili, e dove già non si parlava più di “film della saga” ma di “universo condiviso”, Mission: Impossible era rimasta, prima del quinto capitolo, fieramente un'outsider, che non aveva ceduto (o aveva ceduto solo in parte) alla tentazione di trasformarsi in un costosissimo serial con puntate da due ore che escono una volta ogni tre anni e aveva continuato a regalarci splendide storie autosufficienti di spionaggio, azione, gadget letali e soprattutto tanto, tantissimo Tom Cruise.

Con Mission: Impossible – Rogue Nation, il franchise esce definitivamente dal bozzolo e trova quella che sarà la sua forma per i prossimi tot anni. Rogue Nation è prima di tutto il primo film della saga con al timone Christopher McQuarrie, premio Oscar per la sceneggiatura di I soliti sospetti, che conosce Tom Cruise per via di Jack Reacher e che qui torna a lavorare con lui in un altro film di agenti segreti ai confini con il supereroismo. È chiaro che i due si trovano molto bene insieme, se è vero che McQuarrie ha diretto anche il successivo Fallout – e dirigerà i già previsti capitoli 7 e 8 del franchise. In altre parole, una serie che fin lì era stata anche un modo per sperimentare con stili e approcci diversi acquista con Rogue Nation un’identità definitiva, e quello che perde in originalità guadagna in solidità.

Tom Rebecca

Non è difficile capire perché Tom Cruise (d’accordo, le notizie dicono “Paramount”, ma credete davvero che l’ultima parola non spetti al Nostro?) sia rimasto fulminato da McQuarrie e abbia deciso di eleggerlo regista ufficiale del franchise. Rogue Nation è il più spettacolare dei Mission: Impossible (una definizione che in tutta onestà si è potuta applicare a tutti i film della saga al momento della loro uscita), costellato delle solite pazzesche sequenze d’azione, girate con mano salda e un gran gusto per il colpo d’occhio e la visione d’insieme; pochissimi dettagli, pochi primi piani, quasi nessuna sequenza di camera a mano confusionaria ad arte come va di moda in molti action moderni: pur essendo modernissimo nel look, Mission: Impossible – Rogue Nation mantiene una certa aria d’epoca, di grande eleganza anche quando lo schermo è pieno di macchine che saltano per aria.

Il gusto vintage tempi di McQuarrie si nota in una valanga di dettagli, dall’acconciatura d’altri tempi di Ilsa Faust (Rebecca Ferguson) a una scena in cui Simon Pegg indossa una maschera di gomma che gli viene strappata con gesto un po’ teatrale un po’ alla Scooby Doo (mentre quando lo faceva Ethan Hunt era sempre un gesto drammatico e cool). Ma Rogue Nation è anche, ovviamente, ultramoderno nei set, nella fotografia, nella quantità esorbitante di piccoli/grandi gadget che viaggiano sul filo del rasoio tra innovazione e fantascienza, nel modo in cui computer, smartphone, tablet e criptazione dei dati sono parte integrante del racconto e del mondo parallelo in cui si muovono Ethan Hunt e la sua squadra – un mondo del quale il resto del pianeta sembra quasi non accorgersi, come illustrato alla perfezione dalla scena all’Opera di Vienna dove una rissa tra spie sospese a qualche metro sopra il palco mentre tre diversi cecchini stanno prendendo la mira contro il primo ministro austriaco passa completamente inosservata in un teatro strapieno. Detta più brevemente, Mission: Impossible – Rogue Nation è esattamente quello che dovrebbe essere un Mission: Impossible in questo millennio: moderno, aggiornato, ma sempre saldamente appoggiato sulle spalle dei giganti.

Rogue Nation Rebecca

Ovviamente, un altro motivo per cui Cruise e McQuarrie si trovano benissimo a lavorare insieme è che McQuarrie non ha il coraggio di dire a Cruise “no, questo non puoi farlo perché rischi di morire”. Cruise è ormai diventato il simbolo di una passione per il cinema talmente divorante che rischia di, be’, farlo fuori; è l’attore di blockbuster miliardari che ha l'ardire di fare da sé tutti i suoi stunt, e che per ogni nuovo film impara a fare qualcosa di più assurdo pur di alzare la posta in gioco. Mission: Impossible – Rogue Nation è “quello dove Tom Cruise si è appeso a un aereo a 1,5km dal suolo”, che al tempo era ancora una delle cose più impressionanti che avesse tentato.

Quanti registi accetterebbero di lavorare sapendo che la loro star rischia letteralmente la vita ogni giorno per girare scene che con ogni probabilità alcuni stuntmen rifiuterebbero perché troppo pericolose? Qualche anno fa ne ha parlato anche Simon Pegg, confermando che sì, chiunque stia sul set quando Tom Cruise compie una delle sue imprese vive nel terrore di stare assistendo alla sua ultima. Quanta gente, dopo aver assistito alle riprese di Rogue Nation, avrebbe detto “d’accordo, rifacciamolo anche per il prossimo film ma peggio!”? Mission: Impossible è diventato ormai anche un veicolo di autopromozione per Tom Cruise, e McQuarrie sembra averlo accettato, e aver capito come fare a sfruttarlo per avere dei film migliori.

Rebecca Tom

Arrivati a questo punto potreste legittimamente chiedervi “ma di cosa parla Mission: Impossible – Rogue Nation?” Be', è inutile mettersi a raccontarlo nel dettaglio, perché come in ogni buon thriller la trama di Rogue Nation è estremamente complicata e a rischio spoiler. Sappiate solo che c’entrano spie, controspie, spie ribelli ed ex spie, tutte coinvolte in una gigantesca partita a scacchi multidimensionali nella quale tutti fanno il possibile per dimostrarsi i più intelligenti del gruppo. E per farlo mettono in scena infiltrazioni, inseguimenti, sparatorie e tutto quello che ci si aspetta da un film che ha “Mission: Impossible” nel titolo.

Soprattutto, lo ribadiamo, non è fondamentale avere visto i primi quattro film per godersi il quinto. O meglio, è necessario se volete avere una visione più approfondita della situazione, se volete conoscere i dettagli dell’universo di Ethan Hunt, capire chi è chi, cogliere gli inevitabili riferimenti disseminati qui e là nel corso del film. Ma non è importante per godervelo, in quanto film e in quanto inizio di una nuova fase per il franchise: Rogue Nation si regge benissimo in piedi da solo e non in quanto pezzo di un puzzle. Tutto quello che serve per capire la fabula e seguire l’intreccio è presente nel film, e quel minimo di backstory necessaria a comprendere certi passaggi viene comodamente riassunta da questo o quel personaggio. È come guardare un sequel di trent’anni fa, quando ancora i film all’interno di un franchise non erano capitoli di una storia più ampia ma nuove avventure con gli stessi personaggi; certo, in Mission: Impossible c’è anche la storia più ampia, ma è un di più, non un elemento essenziale. Se non sapete nulla di Mission: Impossible e volete godervi due ore di azione di altissimo livello, non fatevi spaventare dal fatto che Rogue Nation è un quinto capitolo.

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