Milanoir raccontato dai membri di Italo Games
A Milano, tra un talk e un'intervista, abbiamo avuto la possibilità di farci raccontare le varie fasi dello sviluppo di Milanoir dai suoi stessi creatori: Emmanuele Tornusciolo e Gabriele "Giga" Arnaboldi, di Italo Games
Il cuore di Italo Games (il nome del team deriva dalla italo disco, genere musicale in voga quarant’anni fa che rielabora in chiave nostrana i classici della disco music) composto dalle felice unione tra discipline umanistiche e scientifiche: Emmanuele, che ha alle spalle una formazione da antropologo culturale, ha curato la storia e il game design di Milanoir. Gabriele (già autore, tra le altre cose, di A Pixel Escape, platform/puzzle in prima persona pubblicato per PC e Xbox 360), ingegnere informatico, ha tenuto a bada soprattutto il codice e la direzione tecnica. A trasformare in pixel art le idee dei due ragazzi è stato invece l’artista pugliese Giuseppe Longo, che a detta loro è "uno dei migliori nel suo campo" (e visti i risultati, non c’è ragione di dubitarne).
[caption id="attachment_183197" align="aligncenter" width="1920"] Milanoir è ispirato ai film "poliziotteschi" italiani degli anni settanta, come Milano calibro 9[/caption]
Una volta scelti genere e taglio, Gabriele e Emmanuele hanno iniziato a valutare quali zone di Milano rappresentare nel gioco. A fianco di landmark classici e per certi versi obbligatori a livello simbolico come il Duomo e il Naviglio Grande, i due hanno voluto rappresentare anche sezioni della città un po’ meno note e turistiche, come la basilica di San Lorenzo o le varie corti milanesi. C’è anche un intero capitolo di Milanoir, piuttosto drammatico, ambientato tra le mura di San Vittore: in quel caso, tuttavia, considerata la rarità di materiali e immagini relativi agli interni al carcere (questioni di sicurezza), il team ha dovuto lavorare su dei cliché di genere.
Per quanto riguarda la grafica e le animazioni, il team si è rivolto a Giuseppe Longo. L’artista e grafico pugliese ha lavorato a Milanoir prevalentemente in remoto, passando comunque nel Nord Italia almeno una volta al mese per esplorare la città, recuperare materiali e scattare foto. Lo stesso Giuseppe ha svolto tutte le ricerche necessarie per impostare correttamente l’inconografia del gioco, i cui livelli ospiteranno cabine telefoniche a gettone della SIP, televisori Brionvega, Alfa Romeo Giulietta e altri oggetti di design inconfondibili e tipicamente seventy.
[caption id="attachment_183198" align="aligncenter" width="1920"] I ragazzi di Italo Games, assieme all'artista Giuseppe Longo, hanno rivisitato attraverso la pixel art alcuni punti chiave della città di Milano[/caption]
Infine, riguardo alla colonna sonora che rielabora il funk degli anni settanta in chiave elettronica, Gabriele ha spiegato: "La musica funk all’epoca era analogica. Il videogioco, di contro, è un mezzo elettronico, digitale: così ci siamo divertiti a mescolare le carte".
Milanoir sarà distribuito in tutto il mondo in versione digitale da Good Shepherd, lo stesso publisher che ha lanciato il recente Where the Water Tastes Like Wine. Il lavoro è filato liscio, anche se all’estero, sulle prime, alcuni tester hanno scambiato i tavoli da biliardo all’italiana – quello di Fantozzi – e il bidet per dei misteriosi bug. Anche il discorso sulla violenza presente nel gioco (17+) è stato gestito in completa serenità. Il publisher non ha imposto nulla, si è giusto limitato a fornire qualche indicazione di massima al team di sviluppo cercando conseguentemente di spuntare con gli enti deputati il rating più basso possibile.
Alla fine del talk, abbiamo avuto la possibilità di scocciare Emmanuele Tornusciolo e Gabriele Arnaboldi con qualche domanda.
Cosa significa essere sviluppatori indipendenti, di questi tempi?
Emmanuele: Oggi è difficile parlare di sviluppo indipendente nei videogiochi. Rispetto a dieci anni fa le cose sono molto cambiate: capita che nella scena entrino anche grossi nomi con grossi budget, e i confini si fanno sempre più sfumati. Se lo chiedi a me, considero indie tutte quelle produzioni che si sforzano di proporre qualcosa di nuovo attraverso dei concept sfrontati.
Diversi game designer provengono dalle discipline umanistiche. Tra le loro fila si nascondo fissati del folklore, della mitologia e delle anticaglie: penso a Lorne Lanning o a Dan Greenawalt, il producer di Forza Motorsport, che insospettabilmente è laureato in religioni comparate. Tu stesso, Emmanuele, sei un antropologo. Pensi che i videogiochi attirino un certo tipo di profili per via del loro miscuglio di mito e rito?
Emmanuele: Potrebbe essere. Non ci ho mai riflettuto in quest’ottica. Forse, più banalmente, chi si laurea in certe discipline ha nel suo DNA accademico la necessità di barcamenarsi e collezionare esperienze più varie rispetto a chi bazzica facoltà già indirizzate verso il lavoro. Io, ad esempio, in seno a Milanoir mi sono concentrato sul design narrativo, sulle ambientazioni e sul contesto. Ho anche lavorato al game design e al level design, in concerto con Gabriele e Giuseppe.
Gabriele (ridendo): In realtà, credo che Emmanuele sia un po’ troppo drastico. Da quando lo conosco ha sempre nutrito interesse verso la scrittura, i dialoghi e storie, e ha sempre voluto lavorare nel mondo dei videogiochi. Non penso si sia reinventato “a caso”, bensì che nel corso degli anni abbia praticato un percorso non necessariamente lineare, ma coerente. Alla fine, tutti i suoi interessi e i suoi studi sono confluiti nello sviluppo.
L’anno scorso ho avuto modo di giocare a Wheels of Aurelia, dei Santa Ragione, sempre ambientato nell’Italia degli anni Settanta e dalla vocazione fortemente politica. In Milanoir c’è stato modo di raccontare il clima degli anni di piombo?
Emmanuele: All’inizio volevamo caratterizzare a livello storico - e conseguentemente politico - i vari quartieri di Milano presenti nel gioco, eventualmente ricorrendo anche a simboli espliciti. Poi però, senza nessuna ingerenza da parte del publisher, ci siamo orientati spontaneamente verso la componente di fiction. In fondo, i film che ci hanno ispirato sono piuttosto superficiali a livello di argomentazioni politiche, e non ce la siamo sentita di trattare con leggerezza tematiche complesse e ancora piuttosto attuali, né di confinarle tra gli elementi di contesto. Piuttosto che fare male, abbiamo preferito fare senza.
Oltre al cinema italiano, avete raccolto ispirazioni dal cinema americano?
Gabriele: In Milanoir sono presenti diversi riferimenti al cinema americano. Alcuni dettagli di gioco provengono dritti dritti dai film dell’ispettore Callaghan, e c’è addirittura un achievement legato a Die Hard: ambientato nel Pirellone, ovviamente.
Come avete elaborato la meccanica di sparo e il gameplay di Milanoir?
Gabriele: All’inizio ci siamo ispirati a Westerado: Double Barreled. Ci piaceva l’idea delle linee rette al posto delle pallottole; con Milanoir abbiamo preso quella meccanica e l’abbiamo aperta a trecentosessanta gradi. Nel gioco sono presenti anche un sistema di coperture e dinamiche stealth: sulle prime volevamo addirittura offrire al giocatore la possibilità di risolvere ciascun livello attraverso il fuoco aperto, oppure agendo completamente nell’ombra. Poi, al di là delle difficoltà di design che una simile scelta avrebbe comportato, banalmente abbiamo notato che le persone che provavano Milanoir durante i vari eventi preferivano di gran lunga le sparatorie. :D
[caption id="attachment_183201" align="aligncenter" width="512"] Il gameplay di Milanoir prevede un sistema di coperture e persino delle dinamiche stealth[/caption]
Come è stato gestito, in fase di localizzazione, lo slang tipico della mala milanese?
Gabriele: Il gioco è stato scritto in italiano con una discreta dose di slang. Il publisher, intuendo questa variabile e per evitare una traduzione per l’estero letterale e monocorde, ci ha messi in contatto con uno sceneggiatore esperto che ha sostituito il gergo della malavita del Nord Italia con quello della criminalità americana.
Per certi versi, a livello simbolico e di sintesi, la pixel art sta alla grafica fotorealistica come le pitture rupestri alle fotografie in alta definizione. Eppure, da un po’ di anni è tornata in auge. Cosa ne pensate?
Emmanuele: Si può inscrivere il ritorno della pixel art nel filone contemporaneo del nostalgismo, che da qualche tempo sta prevalendo in parecchi campi, ma soprattutto in quello digitale. E non mi riferisco solo alla grafica, ma anche alla musica: penso ad esempio alla sinthwave. Detto questo, nel mondo dei videogiochi il gusto per la nostalgia è arrivato prima che altrove. Il boom della pixel art ormai ha già avuto il suo picco, ed è entrato in una fase discendente. Oggi un gioco in pixel art ha meno impatto rispetto a qualche anno fa, senza contare che questo stile caratterizza molti titoli sviluppati frettolosamente e magari scadenti. Questa è una delle nostre principali criticità in termini di promozione: non vorremmo che Milanoir venga percepito a pregiudizio come "l'ennesimo videogame in pixel art".
Secondo te, da dove deriva tutto questo nostalgismo?
Emmanuele: Credo che il nostalgismo sia un sentimento che emerge in periodi non propriamente sereni: di crisi, o di post-crisi. Oggi siamo nella fase finale di una crisi economica iniziata circa dieci anni fa, e guardiamo agli anni ottanta come a un’età dell’oro. Eppure, ricordo che già all’epoca gli americani rimpiangevano gli anni cinquanta.
Potrebbe entrarci in qualche modo la Seconda Guerra Mondiale?
Emmanuele: Potrebbe, sì, per il modo in cui la vittoria dell’universo capitalistico sul blocco sovietico ha trasformato la società occidentale in una società di massa. Forse la Seconda Guerra Mondiale è tra le cause di questa particolare fase di riciclo culturale, ma senz’altro per affrontare il discorso come si deve sarebbe necessario tener conto di molti altri fattori sociali e economici.