I migliori film su piattaforma streaming del 2021
La classifica dei migliori film usciti in streaming nel 2021 racconta di una realtà non troppo diversa dalla sala per varietà e provenienze
Una delle molte ragioni per le quali il mondo del cinema ricorderà il 2021 è per essere stato l'anno in cui le uscite su piattaforme di streaming hanno cominciato ad essere un mondo parallelo, un numero sufficiente a iniziare a somigliare alle uscite in sala. Per la prima volta quindi è possibile ragionare anche solo sui film che ci sono arrivati grazie alle piattaforme e capire nei migliori e nei peggiori casi che differenze ci siano, che mondo del cinema raccontino Netfilx, Apple TV+, Disney+ Prime Video e Sky.
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10. Notizie dal mondo (N)
Stupisce davvero come questo regista inglese riesca a girare un western che non è un western fino a che non lo diventa. Tradendo l’idea che a definire il genere non siano cavalli e sparatorie ma un modo di approcciare le storie, Notizie dal mondo a lungo sembra una ricostruzione storica, un film in costume, e solo quando arrivano fucili, sparatorie, praterie e cavalli entra (e bene) nei panni giusti. Inoltre adottando uno stile essenziale, fordiano, contemporaneamente tradisce anche L’uomo che uccise Liberty Valance, affermando che la verità è un potere maggiore della leggenda.
Di tanto ben di Dio è un peccato non godere e una volta tanto può essere un piacere passare sopra ad una sceneggiatura troppo instant, troppo didascalica e troppo esile per farsi conquistare dal cinema classico hollywoodiano realizzato a regola d’arte.
9. First Cow (MUBI)
Mente e braccio, King-Lu e Cookie sono però più che semplici figure metaforiche: non simboleggiano una mera unione votata alla produzione, ma un’allineamento spirituale di due uomini che fanno della solidarietà, dell’amicizia e della lealtà il loro credo, anche a costo di perdere. Il loro capitale è un valore umano. Una sorta di capitalismo naïf, non volto certo all’onestà ma dall’irresistibile cuore al latte. Ecco perché First Cow è una fiaba e non un mito o una sua revisione (diversamente dal western): racconta sì un’origine attraverso una parabola, ma non fissa prototipi né li ridiscute. Annuncia per poi annullare, con il suo epilogo, un stato di cose irripetibile, avulso dal tempo. Un exemplum che non è un monito ma un mondo a parte. La nave cargo che attraversa il fiume nella prima inquadratura, una vista dal futuro, sembra annunciare allora proprio come la Cultura abbia spazzato via la Natura in modo definitivo.
8. Tick tick… boom! (N)
L’intuizione iniziale di ragionare su molteplici livelli discorsivi il film, purtroppo, la mette subito da parte, mostrando una gran paura di spingere l’acceleratore sia sull’uso più creativo delle immagini che sulla tristezza e il disincanto. Lin-Manuel Miranda subito si nasconde in inquadrature fisse, (dove il dinamismo è solo quello del campo/controcampo) lasciando fare tutto all’istrionico Andrew Garfield che – per fortuna – si mangia letteralmente la scena, confermando non solo come la vena comica sia quella a lui più congeniale ma anche quanto sia perfettamente in grado di fare il performer.
6. Pieces Of A Woman (N)
La cosa cruciale che Pieces Of a Woman centra rispetto a tutti gli altri drammi che girano intorno a questi argomenti, è il mondo vicino a questi due amanti in difficoltà costante. La storia dura un anno, e il tempo è scandito dalle fasi di costruzione di un ponte che solo alla fine vedremo completo (costruirlo è il lavoro di lui, che facilmente possiamo immaginare essere sovrapponibile alle fasi di costruzione di un film), in quell’anno i due litigano più che altro con madri, cugini, fratelli e cognati. Inseguono relazioni difficili cercando di farsi una ragione di quel che è successo, cercando di essere autonomi. C’è un livore intorno a loro, è un livore per fatti che li riguardano e che vuole fomentare la loro rabbia. Nonostante tutto i due (specie lei) non riescono mai a condividerlo in pieno ma questo lo stesso sembra non lasciarli mai in pace. Momenti di ordinaria violenza psicologica come amici dei genitori che li assalgono nei supermercati per partecipare al loro dramma sono quelli che Mundruczo e Weber riescono a scrivere e poi mettere in scena con la giusta miscela di distanza e disprezzo.
5. La vetta degli dei (N)
Una volta tanto ci troviamo di fronte ad un film che ha capito alla perfezione la propria storia (tratta dal manga omonimo di Jiro Taniguchi a sua volta tratto dalla storia di Baku Yumemakura). Vale la pena ripeterlo un’altra volta: è una storia fasulla. Perché in realtà l’impressione che sia qualcosa di vero è potente in questa produzione francese che incrocia la linea chiara con il character design nipponico e la passione dell’animazione nipponica per il calco di una realtà naturalistica che poi viene piegata dalle sensazioni individuali. Come negli anime infatti quello che provano i personaggi si riflette nel mondo intorno a loro (l’assideramento ad esempio fa diventare tutto rosso, con un’idea genialmente controintuitiva) e come negli anime poi i momenti più delicati, di serenità sono comunicati da cibo e bevande, da silenzio e contemplazione.
4. Don’t Look Up (N)
In un cinema di maschere come quello di Adam McKay, Don't Look Up è l'eccezione e insieme la conferma della poetica del suo autore. In un mondo di macchiette, stereotipi e caricature che davanti alla cruda verità si aggrappa con ostinazione all'opinionismo e ad una comunicazione il più rassicurante possibile (quella del divertimento, delle battute e dei meme), McKay crea due personaggi semplicemente "normali" la cui vera tragedia è l'impossibilità di cambiare le cose ed essere eroi: quel potere è banalmente da un'altra parte e non ha niente a che fare con l'eroismo. Sì, la satira può essere angosciante, demenziale e serissima allo stesso tempo. Ed è proprio quello che fa McKay. Chi lo ama lo segua.
3. The Disciple (N)
Attraverso riprese a camera fissa o con leggeri movimenti di macchina (sempre tensivi, a zoomare verso la faccia perennemente delusa di Sharad) seguiamo il personaggio nel suo triste viaggio verso la disfatta, esplorando con lui quasi tutti gli aspetti della macchina dello spettacolo. Perché c’è la dimensione del musicista, quella della critica musicale (che racchiude la scena più bella, sulla distruzione degli idoli), quella dell’editoria e anche del talent show. Sharad è fissato con una sua filosofia, con una certa idealizzazione della musica e della sua vita: ma nel suo ossessivo culto dell’idolo – la guru musicale Maai, di cui custodisce nastri introvabili – Sharad non si rende conto che nel frattempo la vita gli sta scivolando addosso, e si ritrova presto adulto a guardare i suoi vecchi amici fare successo dopo essere passati dall’altra parte della barricata.
2. Being the Ricardos (A)
Dopo il dimenticabile Molly’s Game e il controllatissimo Il processo ai Chicago Sette, con Being the Ricardos Aaron Sorkin arriva forse alla sua quadra registica: porta avanti la sua direzione di ferro e senza pochi fronzoli, si concentra totalmente sugli attori e non perde mai di vista la necessaria drammatizzazione della messa in scena. In poche parole, riesce finalmente a rendere giustizia alla sua scrittura dandole quel poco in più di visivo che le basta (un’inquadratura, un certo ritmo) per farla andare da sola.
1. È stata la mano di dio (N)
La formazione di Paolo Sorrentino (che qui si chiama Fabietto) dall’estate in cui si mormora che arriverà forse Maradona, tra chi ci crede e telefonate nella notte, fino all’eiaculazione di questo rapporto, il primo scudetto, è la ricerca di un senso per sé. A dominare è il desiderio sessuale, inappagato ovviamente ma capace di piegare la famiglia e i conoscenti, eppure l’impressione è che quella sia un’illusione. Quel godimento che tutti inseguono, incluso il protagonista, sottende molto altro. Il padre fedifrago in realtà costruisce un amore eccezionale con la madre (e l’idea cinematografica di usare il fischio per richiamarlo come fosse il campanello di Pavlov è inusuale per Sorrentino e fantastica, e che bravi Saponangelo e Servillo a dare la spallata necessaria per sfociare nella tenerezza!) mentre la zia con un corpo troppo attraente che impazzisce sembra Anita Ekberg di La dolce vita, l’ideale irraggiungibile.