Festa del cinema di Roma 2022, la classifica: i migliori e i peggiori film che abbiamo visto

La classifica senza vie di mezzo dei film migliori e peggiori visti alla Festa del cinema 2022, secondo la nostra redazione

Critico e giornalista cinematografico


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Dopo 10 giorni di festival abbiamo messo insieme i film più amati e quelli più odiati dalla redazione tra quelli visti a Roma (Bianca Ferrari, Gabriele Niola, Luca Sottimano) per creare una lista (pseudo) definitiva di cosa ha messo più d’accordo in un senso o nell’altro. Il meglio e il peggio senza vie di mezzo. Inoltre vi segnaliamo la video classifica dei film del concorso di Francesco Alò.

I MIGLIORI FILM VISTI ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2022

What's Love Got To Do With It

Prendete una commedia romantica di Richard Curtis. Poi unitela a Il mio grosso grasso matrimonio greco, aggiungeteci un po’ della passione di Bollywood nel fare film multigenere (con dentro dramma, commedia, musical) e otterrete What’s Love Got To Do With It? di Shekhar Kapur. Un film non solo divertentissimo ma anche emozionante, intelligente, acuto, dotato di una leggerezza e di una semplicità di visione che solo le più grandi commedie riescono ad ottenere.

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Louis Armstrong: Black & Blues

Con Louis Armstrong: Black & Blues il documentarista Sacha Jenkins costruisce un vero e proprio universo-Armstrong dove gli elementi della vita di “Satchmo”, trombettista e cantante leggendario, si fanno suggestioni per immagini (i pezzi sparsi di giornali che intervallano le fasi di racconto) e spunti narrativi che costruiscono un’immagine di Armstrong di talento enorme, sommessamente tormentato, sempre in bilico tra la sua immensa popolarità presso il grande pubblico e una blackness che sarà per lui non un limite ma una qualità con cui ha sempre dovuto misurare i suoi gesti pubblici e le sue decisioni lavorative.

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Lola

L’esordio di Andrew Legge è prima di tutto un interessante miscuglio di diversi filoni: da una parte, le due sorelle sfruttano la possibilità di viaggiare nel tempo con alcuni accorgimenti che omaggiano la saga di Ritorno al futuro (comprano un’auto grazie alle scommesse sui cavalli, insegnano ai locali brani celebri non ancora usciti). D’altra parte, l’unione di mockumentary e found footage fa sì che sullo schermo si alternino materiali d’archivio (ricostruiti o rielaborati) e scene che appaiono come filmati privati e intimi della vita delle due ragazze, dove prevale l’uso della macchina a mano e di inquadrature “sporche”. Questi sono state (nell’escamotage narrativo) realizzati da loro stesse, che riprendono cosa accade. Ma poi il contatto col futuro avviene come se fossero spettatrici (passando da una posizione passiva a attiva nell’azione filmica): non viaggiano fisicamente, ma ricevono suoni e immagini, che decidono di conservare. Grazie a questi loro intervengono sugli eventi, i quali ci vengono mostrati alterati, come fossero riprese dal vero, finché non le protagoniste non rimangono vittime del loro stesso ingegno. Così, di riflesso, il film manifesta il potere del Cinema (insieme di fotogrammi e audio) di manipolare la Storia, modificandone gli eventi, ma poi anche quello di salvarla. Di come questo possa rivelare la verità ma anche la sua manipolazione, come strumento mai innocente.

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Bros

I toni sono quelli alleniani, newyorkesi frenetici e verbosi (ma che diverimento!), i dialoghi sono affilatissimi (quant’era che non si vedeva una commedia romantica che faccia ridere per davvero?) e la satira dell’industria dello spettacolo è una maniera acuta per spiegare che esiste un’equivalenza tra come i gay sono rappresentati e come la società li vede in quelle rappresentazioni e quindi come ognuno si formi un’idea su quella comunità attraverso la loro messa in scena erronea. Fare film e fare serie è politica. 

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The Fablemans

In questo film dotato di una nostalgia per il cinema degli anni ‘40 e ‘50 ancora più forte del solito, in cui le inquadrature sembrano composte come faceva Gregg Toland, in cui madre e figlia se devono sbirciare da una tenda l’arrivo di un vecchio zio lo fanno affacciandosi una sopra e una sotto, come in un momento leggero di western di Howard Hawks, poi però c’è un montaggio modernissimo che alle volte procede a strappi, alle volte accarezza dolcemente il passare del tempo, altre ancora è il classico montaggio interno di Spielberg che dice tutto quel che c’è da dire (bellissimo il piccolo movimento che svela la presenza anche di Seth Rogen in un viaggio in auto). Non è solo celebrato il cinema in questo film, ce n’è proprio tantissimo dentro, così tanto da appassionare e infiammare l’animo di chi lo ha a cuore e forse distrarre un po’ dal fatto che questo film molto bello, dolce e importante di certo non è il migliore di Spielberg come l’esaltazione all’uscita può portare a pensare.

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As Bestas

Grazie al cielo c’è Sorogoyen! Qualcuno che sembra così dedito al cinema da studiare visivamente ogni momento, progettare le sue svolte di sceneggiatura a partire da come possono essere mostrate e racconta tanto una storia con la trama quanto una (diversa) con le immagini. Perché questa è una trama di poveri e ricchi, di mondi diversi che convivono nei nostri paesi e che sono sempre pronti a scontrarsi, livorosi. Mondi tra i quali Sorogoyen non ha il minimo dubbio su chi scegliere o da quale parte stare (ed è davvero rinfrescante vedere per una volta qualcuno che non ha sudditanza per i marginali ma li teme tanto quanto li compatisce, come insegna Non aprite quella porta). Tuttavia la storia raccontata dalle immagini è quella dell’unione dell’uomo con una natura priva di poesia, come ne è priva l’agricoltura e una vita intera di schiena spaccata. Nelle immagini c’è solo odio, caos, disordine, povertà, livore e rabbia animalesca. La storia degli animali come bestie.

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Rheingold

Fatih Akin non ha nessun bisogno di andare a pescare le storie dove le prendono tutti, nei soliti bacini, ma anzi le trova dove sta, nel suo mondo, la sua Germania e la sua passione tanto per la musica quanto per quello che fa alle persone. E anche le sue ispirazioni non le prende mai dove sarebbe più facile immaginare. Rheingold racconta la storia del rapper Xatar, una storia che è prima politica, poi criminale e solo alla fine musicale. Invece di fare un musical sceglie di girare uno Scarface tedesco (storia di ascesa di immigrato), invece di ispirarsi a Scarface direttamente però sembra guardare al cinema europeo d’autore, e poi invece che copiare il cinema d’autore fa di nuovo il giro e torna al genere con un pugno di sequenze di eccezionale livello.

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I PEGGIORI FILM CHE ABBIAMO VISTO ALLA FESTA DEL CINEMA 2022

The Land Of Dreams

Abbatangelo lavora sull’atmosfera più irrealistica possibile, tra sfondi cartonati, fotografia dai colori accessi, anche sullo stesso immaginario di un’epoca (la ricostruzione della celebre foto del pranzo degli operai sul grattacielo). Il background storico dell’intreccio (l’immigrazione, la povertà in una New York alle soglie della modernità) resta però mero sfondo perché tutto confluisce nei toni favolistici e a una visione cupa della realtà si sostituisce presto una luminosissima. Il mondo raffigurato è fatto di emozioni semplici ed esasperate, veicolate da esclamazioni come “I sogni sono un’illusione” (quando è chiaro che sarà il contrario) a “Non abbiamo niente da mangiare”, di personaggi candidi e ingenui che si scontrano con altri incarnazione del male. La consapevolezza di proporre con sincerità una confezione non originale avrebbe potuto anche creare una rasserenante e rassicurante comfort zone, in un livello accettabile di produzione. Esatto, avrebbe potuto.

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Bassifondi

L’esordio alla regia di un lungometraggio di Trash Secco, noto come videomaker, si sporca le mani nel degrado della realtà in cui vivono i due personaggi, non lesinando in particolari di sangue, denti cariati, effetti del bere latte scaduto. L’obiettivo è mettere lo spettatore in una zona di disagio vicino a quella in cui ci porta spesso Gaspar Noè, ma purtroppo qui siamo più vicini al suo ultimo Vortex, nel modo sfacciato in cui immagini forti ci sono proposte per l’effetto di shock, senza nei fatti costruirci nulla sopra

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L'ombra di Caravaggio

L’ombra di Caravaggio è un film dalla produzione plateale, abnorme e magniloquente che per quanto bella nella sua realizzazione e nei suoi dettagli scenici viene schiacciata da tutto il resto. Michele Placido salva il salvabile, crea delle buone dinamiche in scena (anche se esagera un tantino con i primi piani) ma anche il montaggio fa la sua parte in questa débacle, con un’effetto-accumulo laddove la semplicità, invece, sarebbe stata l’arma vincente.

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Amsterdam

È però davvero sconvolgente, a tratti inspiegabile, come tutto questo potenziale narrativo vada gettato a calci fuori dalla porta principale da una sceneggiatura (sempre di David O. Russell) che della detection se ne frega altamente per più di un’ora, concentrandosi su delle trame traverse e dei tempi morti nei quali lo spettatore viene riempito di parole e battute senza che il film vada da nessuna parte. L’impressione è infatti quella di rimanere letteralmente fermi al punto di partenza, in attesa che il film cominci. Non è neanche così male la parte ad Amsterdam, quella dove viene costruita l’amicizia tra i due protagonisti e l’infermiera Valerie (Margot Robbie) dove anzi Russell ci riporta indietro nella storia stessa del cinema (qua si vede l’ispirazione e la posizione di questo autore), in un intermezzo alla Jules et Jim e quasi alla Ernst Lubitsch (quello di Partita a quattro) dove il cinema del presente si diverte a giocare con quello del passato.

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La stranezza

Senza girarci troppo intorno La stranezza è un film senza qualità dotato di un’idea di intrattenimento vecchissima, una che separa rigidamente i livelli di lettura e che non sa ridere (o anche solo sorridere) del contesto e delle figure ritratte ma gli affianca dei personaggi-macchietta, i buffoni che saltellano intorno al mostro sacro. Questo è il cinema delle scuole: quello che non si azzarda a toccare ciò che mette in scena, che non lo mette in discussione, che non lo contamina, rivede e ripensa, semmai lo racconta con dovizia di date, dettagli e realtà storica come un buon manuale. Un cinema innocuo, gentile e celebrativo che non ha un punto di vista personale, non ha un’idea di mondo di cinema stesso dentro di sé, ha solo trucchi di sceneggiatura per dare mordente ad una pagina di sussidiario.

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