Midsommar è un modo diverso di fare folk horror
Apparentemente tradizionale e figlio di The Wicker Man, Midsommar è in realtà un folk horror diverso, almeno per tematiche
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Solitamente il folk horror è un genere che parla di scontro tra culture. C’è sempre una comunità più o meno isolata che è rimasta alle “vecchie tradizioni”, e uno o più estranei che arrivano nella comunità e la turbano, o ne vengono turbati. Quasi sempre il conflitto è di carattere religioso o comunque spirituale: può essere un classico scontro tra vecchi e nuovi dèi come in The Wicker Man, oppure uno tra razionalità e fede come nel più recente The Endless. Ma l’essenza dello scontro rimane la stessa: il vecchio mondo, le tradizioni che si difendono dall’assalto della modernità, e sfoderano le unghie e il terrore. In alternativa, può essere il vecchio mondo a fungere da cacciatore e ad attirare le sue vittime: il risultato finale non cambia granché.
Midsommar è invece un folk horror che sceglie un approccio abbastanza diverso da mettere a rischio le sue credenziali. Certo, gli ingredienti di base del “film sul culto” ci sono tutti: una comunità isolata, riti pagani, edifici chiusi dove vengono custoditi oscuri segreti, e quell’irrinunciabile aria di “va tutto troppo bene perché non ci sia qualcosa di storto” che è una delle fondamenta di tutto il folk horror. Ma rispetto ai più noti rappresentanti del genere, qui la tradizione, il culto, i riti, sono tutti elementi secondari e al servizio di un’altra storia: quella di una donna in una relazione tossica che prende consapevolezza della situazione e trova la forza per uscirne.
Ari Aster non è nuovo a scherzetti di questo genere: anche Hereditary usava gli elementi dell’horror con i fantasmi e le streghe per imbastire una riflessione sulla famiglia e sui suoi legami. Midsommar sembra la storia della comunità di Hårga e di quattro turisti americani che ne scoprono i segreti più turpi, ma è in realtà prima di tutto la storia di Dani (Florence Pugh). Dani ha una sorella con disturbi mentali e tendenze suicide, e per questo non sta benissimo neanche lei: vive nella paranoia e nel dubbio che la sorella possa fare qualche gesto estremo, e tende a cercare conforto tra le braccia del fidanzato Christian (Jack Reynor).
Christian però è un Maschio Tossico Patentato™ che non ha la maturità emotiva per gestire la relazione e che preferisce passare il tempo con gli amici (altrettanto tossici) a fantasticare sul momento in cui finalmente mollerà Dani e sarà libero. Il suo piano perfetto viene definitivamente ostacolato dall’omicidio-suicidio di sorella e genitori di Dani, in seguito al quale Christian mette in soffitta ogni desiderio di libertà e continua a sopportare la compagna, senza mai dimenticarsi di farglielo pesare. Forse un’occasione per fare pace c’è: Pelle, l’amico svedese, ha invitato Christian e la cumpa a celebrare una qualche festa tradizionale nella sua piccola comunità off grid nelle foreste svedesi. Dani riesce in qualche modo ad autoinvitarsi, e Midsommar è la storia di questa gita fuori porta nella quale si odiano più o meno tutti di un odio segreto ma bruciante, e per una lunga lista di motivi che verranno esplorati nel corso del film.
Il tradizionale scontro ideologico tra tradizione e modernità è quasi assente in Midsommar. Certo ci sono momenti nei quali “gli americani” si trovano a scontrarsi con gesti e usanze per loro incomprensibili (per esempio il fatto che nessuno nel villaggio vive oltre i 72 anni, come insegna la scena più violenta e d’impatto del film), ma questi incontri sono utili solo a far proseguire la trama, non a provocare un qualche scontro o a generare epifanie. La tensione vera corre in parallelo all’elemento folk, ed è quella tra Dani e Christian, tra Christian e Josh (entrambi vogliono fare la tesi su Hårga), tra Dani e Pelle (che odia segretamente Christian per come tratta Dani, verso la quale ha evidenti mire), e occasionalmente tra uno o più di loro e qualche membro della comunità, ma raramente per motivi legati al culto (a meno di non voler considerare tali il fatto che gli anziani del villaggio si arrabbino con il quarto turista, Mark, perché ha pisciato sul loro albero sacro).
I conflitti tra Dani, Christian, Mark, Josh e Pelle, che sono lo scheletro del film e la causa dietro ad alcune delle scene più d’impatto, potrebbero essere trasportati in qualsiasi altra location – da un appartamento di New York a una casa nel bosco – e non cambierebbero di una virgola. È questo che rende Midsommar un folk horror diverso: solitamente il genere prevede che i protagonisti si portino dietro i loro problemi e, nel corso della storia, si rendano conto della loro futilità, e di quanto sopravvivere sia molto più importante. Nel film di Aster il bagaglio dei protagonisti non li abbandona mai, e anzi è il motivo per cui non si accorgono davvero (almeno fino a che non è troppo tardi) che c’è qualcosa di molto sbagliato a Hårga. Midsommar è un film di gente che si guarda le scarpe mentre intorno a loro un branco di persone vestite di bianco immacolato si dedicano al suicidio rituale, al cannibalismo e allo sbudellamento di orsi, un folk horror che nasce e muore con l’ignoranza dei propri protagonisti. Un folk horror diverso, e per questo da applaudire.