Michael Moore sempre più diva

Abbiamo visto il nuovo documentario di Michael Moore, Slacker Uprising, distribuito gratuitamente online per i residenti negli Stati Uniti e in Canada. E abbiamo capito perché non costa nulla...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Va dato atto a Michael Moore di aver reso cool un genere, quello del documentario, che di solito era indirizzato soltanto agli studenti di cinema e ai cinquantenni. La sua energia e il suo umorismo non possono lasciare indifferenti, tanto che quando si usa il termine polarize (polarizzare, spaccare in due il Paese), il nome di Michael Moore di solito compare nella stessa riga.

Detto questo, non è difficile capire perché Slacker Uprising sia stato distribuito gratuitamente online negli Stati Uniti e in Canada (quindi, in tutto il mondo, perché è ovvio che con una copia digitale gratuita fornita dai produttori, in cinque minuti chiunque può procursene una) attraverso il sito ufficiale. La spiegazione ufficiale è che dovrebbe contribuire a far votare i giovani, ma è evidente che questo documentario, per come è stato pensato e costruito, non ha molte potenzialità commerciali nei circuiti 'normali'. In effetti, vedere la campagna di Moore per far votare i più giovani nel 2004 adesso non è proprio il massimo.

I primi minuti sarebbero anche interessanti, con una feroce presa in giro dei democratici e delle conferenze stampa simpatiche. In breve tempo, però, la formula diventa insopportabile. Vediamo i discorsi di Moore alle folte platee di giovani, che danno una sensazione straniante, considerando come è andata (e d'accordo che i giovani hanno votato per Kerry, ma è una magra soddisfazione). E soprattutto, ci sono i tanti amici famosi di Moore (che passa il suo tempo ad abbracciarli), come i Rem, Eddie Vedder, Tom Morello, Joan Baez, Viggo Mortensen e Roseanne Barr, che intervengono alle sue iniziative (e che fanno pensare che per avere la parola bisogna essere ricchi e celebri, considerando che il pubblico compare pochissimo). Ad un certo punto, quando Steve Earle intona una canzone contro la guerra e i ricchi che sarebbe sembrata retorica anche negli anni sessanta, ci si chiede se non si è finiti in una puntata parodistica di South Park.

L'impressione è che il lavoro al montaggio sia stato molto frettoloso e poco selettivo. Ci ritroviamo con tutto quello che ci si aspetta: la donna che ha perso il figlio in Iraq, i soldati che danno il loro appoggio a Michael Moore, le solite prese in giro dei repubblicani e le parodie delle pubblicità di Bush. Tutto, francamente, poco interessante e meritevole di un documentario, soprattutto quando magari va avanti per 5 o 10 minuti.

Ma dove si affonda, è nel difetto che colpisce spesso questi comici/persone di spettacolo, discorso che può valere anche per i nostri Beppe Grillo o Sabina Guzzanti. In effetti, ad un certo punto non è più in gioco la presidenza degli Stati Uniti o la democrazia, gli ideali dietro a queste azioni, ma è lo stesso Michael Moore la questione centrale. I repubblicani chiedono di censurarlo e/o cercano di comprare il silenzio degli organizzatori degli eventi? Le televisioni parlano delle sue 'intemperanze' e dimenticano cosa c'è veramente in gioco? Insomma, si passa dagli ideali ad una sorta di culto della personalità che non ammette repliche (se non con dichiarazioni idiote e francamente fastidiose - per come sono state scelte - di chi lo detesta e che ovviamente viene così preso in giro). Visto il talento del personaggio, ci sono comunque dei momenti notevoli, come quando Moore invita un gruppo di contestatori repubblicani ad arruolarsi nell'esercito, visto che sono a favore della guerra. Ma purtroppo, dopo i discreti risultati di Sicko (che sembrava una ripresa da un certo calo qualitativo), qui si torna su livelli di mediocrità, che interesseranno solo a chi è già convinto delle tesi sostenute da Moore e Co.

Ma forse il punto è tutto qui...

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