MIA 2017: come esportare le produzioni italiane all'estero?

Il MIA si interroga sulle produzioni televisive italiane: "gigante addormentato" o "nano morto"? Quali sono le produzioni nostrane che funziona all'estero e perché.

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L'appuntamento con il MIA – Mercato Internazionale Audiovisivo al quale noi di BADTV eravamo puntualmente presenti (anche in qualità di partner della manifestazione) è cominciato questa mattina con un interessante panel in cui si è discusso di come esportare le produzioni televisive italiane all'estero ed i cui relatori e moderatori sono stati nell'ordine (nella foto in evidenza da destra a sinistra) Davide Valentini, produttore EIE Film, Nicole Morganti, vice presidente Talent e Production di Discovery, Paolo Ruffini, direttore di TV2000, Alessandro Grieco, direttore Comedy Central, Fabio Toncelli, regista, Dante Sollazzo, capo del dipartimento format di Endemol e Chiara Salvo, fondatrice & amministratrice delegata di Kimera Produzioni.

Nell'ambito dei tre settori dell'audiovisivo di cui il MIA si occupa, Cinema, TV e Doc, l'incontro di questa mattina rientra nella sezione DOC, motivo per cui si è parlato di quei programmi/format (non serie televisive) che vengono prodotti in Italia ed esportati all'estero. Nello specifico il panel è stato introdotto con una sorta di provocazione sulla quale il moderatore Davide Valentini ha invitato i suoi ospiti a riflettere, secondo cui il nostro paese, in termini di distribuzione televisiva, sarebbe stato definito come un "gigante addormentato".
Sebbene l'Italia sia riconosciuta come un paese dalla grande espressione creativa, in concreto, soffrirebbe a causa di una disparità tra produzioni importate ed esportate, dimostrandosi non particolarmente attiva nell'esportazione, soprattutto quando messa a confronto con Inghilterra, l'Olanda e gli Stati Uniti, notoriamente abilissimi in questo campo o, negli ultimi anni, con con paesi come la Turchia ed Israele che sono diventati dei veri e propri modelli da imitare.

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Di fatto, chiunque faccia zapping in Italia può rendersi conto senza troppi giri di parole del vero problema: il nostro paese ha lunga storia di protezionismo nei confronti di quello che è stato un monopolio televisivo prima ed un duopolio poi, finendo poi per politicizzare talmente tanto il mercato dell'audiovisivo da renderlo sostanzialmente stantio e molto restio all'innovazione, ma questo significa forse che non c'è speranza e che siamo destinati a rimanere imprigionati dal nostro stesso provincialismo? Niente affatto!

Al di là della presentazione che ognuno degli ospiti presenti ha fatto dei prodotti di maggior successo di cui si sono occupati, l'incontro si è fatto davvero interessante quando si è parlato di quale sia il genere di modello italiano che ha funzionato all'estero e del perché.
La chiave per il successo, per Discovery, sarebbe per esempio la potenzialità di un prodotto di viaggiare, la sua universalità ed adattabilità e di conseguenza la sua forza in quanto prodotto concretamente vendibile. Altro punto importante è lo storytelling, l'arte italica del raccontare, come lo è la comprensione che non è necessario investire sempre milioni di euro per ottenere un prodotto di successo, ma che un programma semplice che ha dietro una buona struttura narrativa o un'idea solida, può rivelarsi estremamente remunerativo.

L'Italia, all'estero, è sinonimo di "napoletanità", storie di colore, folclore o boss criminali, ma dai produttori esteri viene sempre rappresentata in maniera fortemente caricaturale, non genuina, finendo per apparire poco attuale e molto fuori dal tempo, un'osservazione sulla quale alcuni dei produttori presenti hanno riflettuto, chiedendosi il motivo per cui ci siano così tante storie che raccontano il nostro paese e così poche produzioni italiane che esportino la verità, la versione non macchiettistica di ciò che di noi piace all'estero. Il che ci sembra un interessante interrogativo da porsi, nonché la chiave giusta per cercare programmi di successo: è in quest'ottica che nascono infatti prodotti come "Il boss delle cerimonie", che per quanto possa sembrare kitsch e sopra le righe, è stato comprato da ben 141 paesi facendo di questo programma un notevole successo che non si è affievolito nemmeno quando il suo protagonista, Antonio Polese, è morto qualche tempo fa, passando il testimone al resto della sua famiglia.

L'aspetto più interessante di questo discorso è stato sostanzialmente quello di dimostrare come sia oggettivamente possibile trasformare la nostra provincialità, vissuta spesso da noi come un difetto, in un grande successo televisivo, appropriandoci molto semplicemente di quello che è già nostro, senza doversi invece accontentare di una versione riveduta, corretta e irrealistica di quello che il nostro paese può offrire.
La chiave del successo sono quindi programmi con storie adattabili ad altre realtà o che raccontino di personaggi conosciuti (come per esempio Kings of crime, narrato da Roberto Saviano) o, ancora, che esaltino le nostre specifiche peculiarità. Il problema vero, secondo la Morganti, non sarebbe in conclusione legato all'incapacità dei produttori italiani di creare format di qualità, ma capire che è importante cambiare il punto di vista da cui il problema viene affrontato, imparando a capire quale siano le storie che hanno una certa fascinazione per il mercato estero.

I problemi veri, secondo Alessandro Grieco di Comedy Central, si incontrano però quando si ha a che fare con un genere molto culturale e difficile da esportare come il comedy che essendo legato a doppio filo alla notorietà di un attore/comico, difficilmente ha carattere internazionale. In Italia, tra l'altro, la comicità ha persino una forte connotazione regionale, rendendo ancora più complessa la questione dell'esportabilità del prodotto. Ciò che funziona in questo caso sono prodotti estremamente adattabili, come Comedy Central News che è andato anche in onda in Spagna, Germania, Sud Africa e forse, prossimamente, in Medio Oriente e che un po' per fortuna e congiunzioni di eventi, un po' per le sue stesse caratteristiche di esportabilità, si è tramutato in un successo internazionale.

Si è infine anche parlato di come il mercato estero percepisca quello italiano, come un mondo che pecca troppo spesso di pigrizia e che non sfrutta sempre le proprie potenzialità, emblematico in questo senso un particolare caso in cui un produttore americano si chiedeva come mai non esistesse un programma italiano sulla moda, considerando quanto questo mercato conti nel nostro paese e quanti nomi abbiamo a disposizione su cui raccontare una storia.

La questione del "gigante addormentato" o "del nano morto" - per usare le divertenti parole di Toncelli - hanno continuato a tenere banco per tutta la durata del panel, per comprendere se il mercato nostrano sia effettivamente morto o vivo e pulsante, nonché degno di essere esportato e di attrarre l'attenzione del pubblico internazionale.

E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le considerazioni fatte da alcuni degli ospiti dell'evento? Avevate mai preso in considerazione l'idea che proprio la provincialità del nostro paese potrebbe diventare un punto di forza ed un argomento capace di interessare un vasto pubblico? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti!

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