Metal Gear Solid, vent’anni da metro di paragone

Il 4 settembre di vent’anni fa, esordiva sul mercato giapponese Metal Gear Solid.

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Amato, ammirato, emulato, usato come termine di paragone, ovviamente citato di continuo da esperti, studiosi, appassionati, fan della prima ora, neofiti desiderosi di conoscere l’origine, una delle tante fonti d’ispirazione degli attuali e recenti capolavori. Le basi del gaming moderno, del resto, risiedono anche (soprattutto?) in Metal Gear Solid, action in terza persona, sequel di una serie invero praticamente sconosciuta sino a quel momento, apprezzata da pochi, gli stessi che non avevano tardato ad intravedere in Hideo Kojima talento e puro genio.

Su MSX, a dire il vero,  si trattò di piccoli lampi, espedienti annacquati in un oceano ben più ampio, che tuttavia metteva già in risalto le capacità dello sviluppatore nipponico come game designer, esaltando una visione d’insieme che non trascurava nessun elemento, dal gameplay, all’art design, ad una trama che, strizzando l’occhiolino all’agente britannico 007, ambiva già a farsi cinematografica, postmoderna, faustiana.

[caption id="attachment_189106" align="aligncenter" width="1000"]Metal Gear Solid screenshot Con le sue inquadrature fisse, Metal Gear Solid spingeva il videogiocatore a costruirsi delle mappe mentali per sapere quando e come attaccare, o dribblare, le guardie nemiche[/caption]

Più di ogni altra cosa, a sorprendere i videogiocatori nipponici che a partire dal 4 settembre del 1998 poterono mettere le mani su Metal Gear Solid, fu proprio l’evidente stacco, il divario, abissale, con qualsiasi altra produzione che aveva tentato di battere strade simili. Laddove Tomb Raider promuoveva lo stile e la caratterizzazione della sua protagonista, esaltandone la fisicità, l’atletismo, emancipandola in quanto donna ed avventuriera in grado di cavarsela in qualsiasi situazione; mentre Resident Evil tentava di tradurre in chiave videoludica stilemi, tematiche e convenzioni  ereditate dagli zombie di Romero; Metal Gear Solid riusciva nell’impresa di non rinunciare a nulla, di puntare sul fascino del personaggio (dei personaggi a dire il vero), riutilizzando efficacemente un linguaggio prettamente cinematografico, impreziosendo il tutto con trovate di game e level design che ancor oggi non sembrano affatto superate."La fortuna di Metal Gear Solid si lega indissolubilmente allo spessore dei suoi villain"

A stordire critica e utenza, fu la consapevolezza con cui la produzione Konami giocava con le specificità del medium, la maturità con cui certi risvolti narrativi venivano affrontati, la sfrontatezza con cui metteva in discussione il ruolo dello spettatore stesso.

La fortuna di Metal Gear Solid, in questo senso, si lega indissolubilmente allo spessore dei suoi villain, molteplici oppositori all’operato di Solid Snake, nonché fulcri attorno al quale, spesso e volentieri, tanto la trama, quanto il gameplay, si ricaricano di energie sempre nuove. Esemplari i casi di Sniper Wolf e Psycho Mantis. Lo scontro con l’affascinante cecchino curda mette in rilievo tutte le dicotomie di una guerra che non può conoscere fine, una macchina che travolge e trascina qualsiasi cosa trovi lungo il suo corso, un processo che non risparmia, né risparmierà, il prode Snake, ennesima pedina di uno scacchiere di cui è solo l’ennesimo soldato sacrificabile. Psycho Mantis, dal canto suo, non solo si faceva carico di un espediente ludico entrato di diritto nelle pagine di storia, per inciso quella che ci costringeva a cambiare slot del controller per impedirgli di anticipare le nostre mosse, ma sfondava senza alcun problema la quarta parete, “scoprendo” i nostri gusti in fatto di videogiochi, sentenziando su alcuni titoli i cui salvataggi erano custoditi nella memory card collegata alla console.

Due boss fight che indicano i punti salienti di Metal Gear Solid e tracciano il proseguo della serie, nonché dell’intera carriera di Hideo Kojima, il quale, lo ricordiamo, nel 2001, con Sons of Liberty, avrebbe esasperato la tematica metareferenziale con un finale per alcuni incomprensibile, per altri semplicemente indigeribile, per altri ancora semplicemente geniale e meraviglioso.

[caption id="attachment_189105" align="aligncenter" width="1000"]Metal Gear Solid screenshot Il momento della tortura è uno dei tanti highlights di Metal Gear Solid, nonché l’ennesimo espediente con cui Kojima ha messo in discussione il ruolo dell’utente[/caption]

Metal Gear Solid è un titolo che non sembra affatto invecchiato, superato, ingiocabile, un capolavoro senza tempo che solo sul piano prettamente tecnico mostra gli inevitabili e devastanti effetti del tempo. The Twin Snakes, remake per Game Cube, ingiustamente disprezzato da molti, amato da pochi, tra cui figura fieramente il sottoscritto, raggira parzialmente anche questo handicap, problematica che tuttavia non mortifica in alcun modo lo stile, né tanto meno il gameplay di una pietra miliare che, ridendo e scherzando, ha compiuto ben vent’anni, un’eternità nel mondo dei videogiochi.

Scoprirlo oggi, quasi come allora, non altererebbe quel senso di sincero stupore che colpì tutti noi, veterani della prima ora, già sull’ascensore che conduceva all’ingresso principale della base di Shadow Moses, mentre la regia virtuale ci mostrava da ogni angolazione un personaggio che da lì a poco sarebbe entrato nei nostri cuori.

Vent’anni e non sentirli dunque, come si confà ad un capolavoro autentico, padre, per certi versi ancora insuperato, di un preciso modo di intendere e di fare i videogiochi.

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