Maxxxine: il concetto di final girl spiegato in cinque film

In occasione dell’uscita di Maxxxine, ripercorriamo il trope della final girl attraverso cinque film che l’hanno definito

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Maxxxine esce in sala il 28 agosto

Come tutti i generi, e forse ancora più degli altri generi, l’horror si basa su regole precise – che si possono poi infrangere, piegare, interpretare, ma che rimangono sempre lì, come riferimento intorno al quale costruire la propria storia. Vale in particolare per gli slasher, forse il sottogenere più codificato: serial killer con la maschera, adolescenti protagonisti, giudizi morali, e soprattutto il concetto di final girl. Formalizzato in questo libro nel 1987, sta a indicare l’unica protagonista che sopravvive al massacro del film, e che ha l’occasione di confrontarsi con il killer e sconfiggerlo, oppure fuggire, oppure venire salvata – insomma farla franca. Quello che succedeva al personaggio di Mia Goth in X, e che ora le succederà di nuovo (forse? Forse no?) in Maxxxine, terzo ma probabilmente non ultimo film dell’universo narrativo inventato da Ti West e la stessa Goth in X, Pearl (il prequel) e ora, appunto, questo sequel in arrivo.

Per spiegare nel dettaglio il concetto di final girl servirebbe un intero libro, e bisognerebbe entrare in discorsi complessi che riguardano anche il femminismo, le figure femminili negli horror e la natura del genere in quanto tendenzialmente maschile – soprattutto durante l’epoca d’oro degli slasher, iniziata timidamente negli anni Settanta ed esplosa definitivamente negli anni Ottanta. Ma siccome libri del genere esistono già, abbiamo pensato a un approccio diverso: raccontare la storia del trope tramite cinque film, ciascuno in qualche modo decisivo per codificare l’idea della “ragazza finale” che, essendo virtuosa e virginale, viene premiata dal film che le assegna il ruolo di unica sopravvissuta al massacro. Cominciamo con…

Psyco

Lo segnaliamo perché è il film che viene spesso indicato come il primo proto-slasher, e in quanto tale ha anche una sua prima proto-final girl. Ovviamente parliamo di un’opera che predata la formalizzazione del concetto di quasi vent’anni, e ci sono ottimi motivi per sostenere che Lila Crane in realtà non sia una final girl: le mancano alcune delle caratteristiche principali, una su tutte il suo essere casta e pura, e alla fine del film non sconfigge il killer, ma viene salvata da un uomo. È quello che succede con le proto-cose: contengono elementi del prodotto finale, ma ci vuole tempo e lavoro (altrui) per rifinirle. Crane è comunque una sopravvissuta, l’unica alla strage, ed è una donna: diciamo che è l’anello di congiunzione tra la classica “principessa da salvare” e la final girl da horror.

Non aprite quella porta

Ne abbiamo parlato qui e qui, senza però soffermarci troppo sul fatto che è uno dei primi film in assoluto a contenere una final girl: Sally Hardesty ricade in pieno nella definizione, per quanto non sia lei a uccidere il killer. Che in realtà non viene proprio ucciso: una delle sfortune delle final girl è che gli horror sono film fatti per avere dei sequel, e spesso quello che sembra un trionfo è in realtà solo un piccolo ostacolo che il killer supererà nel capitolo successivo. A parte questi dettagli, ci sono pochi dubbi che il film di Tobe Hooper sia l’antesignano del concetto di final girl, insieme ad altri due classici di quegli anni come Silent Night, Deadly Night e Un Natale rosso sangue.

Halloween

Se Sally Hardesty è la prima (o una delle prime), Laurie Strode è forse la più famosa final girl della storia dell’horror, per quanto anche lei abbia bisogno, sul finale, di un aiuto esterno per trionfare. Halloween è anche il primo slasher a dedicare un po’ più di tempo alla costruzione del personaggio, e a farci conoscere Laurie anche al di fuori del contesto “c’è un serial killer mascherato che ti insegue”. Il franchise è anche la dimostrazione perfetta di quanto dicevamo sopra sulle vittorie parziali delle final girl: Laurie è dovuta arrivare al tredicesimo capitolo per uccidere definitivamente Michael Myers.

Scream

In un film (anzi, in un franchise) costruito apposta intorno a tutti i trope possibili e immaginabili dello slasher, Sidney Prescott è una final girl da manuale. È pura e virginale, a differenza delle amiche. È perseguitata da un killer che ammazza altra gente, ma che ha come obiettivo finale lei e solo lei. Ed è abbastanza sfigata da non riuscire a liberarsene alla fine del primo film in cui lo incontra: questo perché Ghostface non è un personaggio ma un concetto tanto quanto lo è Sidney, e quindi i due sono destinati a inseguirsi e scontrarsi in continuazione, film dopo film, indipendentemente dalla faccia che si nasconde sotto la maschera. C’è poi chi sostiene che anche Gale Weathers sia, a suo modo, una final girl, soprattutto dopo gli ultimi capitoli del franchise: questo renderebbe Scream l’unica serie horror con due diverse rappresentanti del trope.

Quella casa nel bosco

Forse il film definitivo sul concetto di final girl (sicuramente più di quanto lo siano sciocchezzuole come The Final Girls con Taissa Farmiga), ma d’altra parte il film di Drew Goddard vuole essere il film definitivo sugli slasher in generale. È facile identificare da subito chi arriverà a vedere la luce in fondo al tunnel e chi invece morirà male, ma l’aspetto più interessante, per quanto un po’ didascalico, è il finale, nel quale Sigourney Weaver in persona si manifesta e spiega all’ultima sopravvissuta (e al suo amico fattone, raro caso di final guy) per filo e per segno le regole dello slasher, il ruolo che ognuno dei morti ricopriva, e l’investitura di Dana a final girl, un ruolo che, dice il film, è essenziale non solo per i meccanismi narrativi, ma per tenere in piedi il mondo intero.

Articolo in collaborazione con Lucky Red

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