Mattia Torre, l'eterna promessa incompresa della scrittura per lo schermo

Mattia Torre è morto, addio a un grandissimo della scrittura che non è mai riuscito a trovare il successo che meritava

Critico e giornalista cinematografico


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Mattia Torre era bravissimo e ora che è morto rimarrà come il più grande sceneggiatore incompreso dei nostri anni. Eterna promessa della scrittura in attesa di conferma, adorato nel giro degli addetti ai lavori e di chi seguiva la sua produzione ma largamente sconosciuto al pubblico.

Incompreso infatti non lo era certo dai suoi colleghi (che fin troppo bene conoscono il suo lavoro!), non certo dagli attori e nemmeno dai produttori, ma incompreso era semmai dal pubblico e da buona parte della stampa. Incompreso perché nonostante Boris, la creatura cui ha dato vita con Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico, è stato uno dei più grandi successi sottobanco della televisione degli anni 2000 (non ha mai fatto picchi di ascolto ma la quantità di repliche, passaggi, clip online e la capacità di influire nella percezione comune e nel parlato sono incalcolabili), lo stesso il suo genio assieme a quello dei suoi due soci non ha mai più incontrato il successo. E non perché non si fosse ripetuto a livello, ma lo stesso non riusciva a piacere.

MATTIA TORRE: UNA CARRIERA POLIEDRICA

Mattia Torre ha iniziato nel teatro e al teatro è sempre tornato, è stato anche scrittore di libri, autore televisivo di produzioni dimenticabili (tutta materia per Boris), poi con un gruppo di amici e attori ha iniziato a far girare i suoi monologhi (uno dei primi fu In mezzo al mare con Valerio Aprea). Il suo umorismo aveva una qualità profonda e unica, era davvero un genio della scrittura. Non tanto della gag e nemmeno della battuta fulminante (qualità più proprie dei due soci con cui tanto ha lavorato) ma della creazione di situazione incredibili, incastri di caratteri che davano profonde letture della realtà.

Non lo si vede solo in Boris o in Ogni Maledetto Natale (commedia straordinaria, ennesimo tonfo commerciale solo parzialmente rivalutato con il tempo in televisione) ma anche nelle sue opere teatrali come 4,5,6, poi trasposto per la televisione. Nella sua scrittura c’è una qualità passata e una moderna, c’è il gusto per le situazioni da sketch di Aldo Fabrizi e l’essenzialità della comicità moderna.
Mattia Torre aveva la rarissima qualità di non appoggiarsi ai soliti personaggi ma di creare i propri. Non usava le consuete maschere e se lo faceva le piegava così tanto che non erano riconoscibili, plasmava il suo piccolo universo di maschere e caratteri prendendoli da aree della contemporaneità che nessuno usava.

Così con Corrado Guzzanti ha spesso costituito una coppia incredibile. Insieme hanno creato Dov’è Mario?, anche lì un successo solo parziale a fronte di alcune idee fantastiche e di un personaggio unico. Le sue erano produzioni che, anche nei casi meno riusciti, erano dotate di un respiro decisamente maggiore di molta della commedia di incasso migliore.
Era da tempo malato ed era riuscito a raccontarlo in La Linea Verticale, non certo l’apice della sua carriera, ma comunque mandata direttamente su Rai Play (e solo poi su Rai Tre) nonostante la partecipazione nel ruolo di protagonista di Valerio Mastandrea (che il genio di Mattia Torre l’aveva capito da tempo, da sempre).

Con Mastandrea aveva portato in teatro Il Migliore e a lui affidava spesso dei monologhi che online potevano anche spopolare (è il caso di quello sui figli recitato da Cattelan a cui reagì in maniera tipica da eterno perdente stupito dal successo).

Tutti quelli che nel settore lo apprezzavano si chiedevano quando davvero sarebbe esploso, non era certo più un ragazzino ma la vita è strana, e troppo assurdo era che uno così non riuscisse a sfondare, che una penna simile, con una vivacità simile e un’inventiva simile non riuscisse a centrare il progetto capace di metterlo in bella vista.
Forse ora verrà celebrato di più proprio perché deceduto, in una specie di risarcimento che non è tale davvero ma è sempre meglio di niente, o forse nemmeno quello. Forse davvero la sua condanna è quella di aver scritto alcuni dei dialoghi o delle situazioni migliori della produzione culturale italiana ma che dovranno sempre rimanere per pochi.

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