Il massimo della finzione per ottenere il massimo del realismo. Come i fratelli Dardenne hanno cambiato il cinema

Introduzione a due maestri che hanno rivoltato quello che pensiamo del cinema d'autore: i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne

Critico e giornalista cinematografico


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Nei film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne quando le cose vanno male poi solitamente peggiorano.
La loro realtà, così concreta e apparentemente documentaristica (spoiler: non lo è per niente, anzi per arrivare a quest'impressione si servono del massimo della tecnica del cinema di finzione) è un mondo in cui tutto va storto e gli eventi sembrano congiurare contro i protagonisti, spesso già non troppo fortunati di loro, per metterne alla prova le capacità di giudizio. Nel campionario di personaggi che popolano i loro film ci sono molti ragazzi e alcuni adulti che convivono con terribili decisioni o devono prenderne di improvvise. La loro firma in ogni storia è un'ambiguità morale fortissima, costruita a tavolino come un puzzle, un modo scientifico di confondere le acque e non fornire nessuna chiave di lettura del mondo. Come se con la loro intera filmografia volessero dimostrare che più si guarda con attenzione una situazione, un evento o un problema meno è possibile giudicarlo. La loro forza però sta in come arrivino a questo risultato senza usare le parole ma sfruttando immagini e recitazione.

È noto che dopo molti documentari e un paio di film di finzione tra il ‘78 e il ‘92 i Dardenne sono approdati a quello che riconosciamo come il loro stile attuale. Come avessero sciacquato i panni in Arno, dopo aver militato nel documentario sono arrivati alla finzione con un linguaggio completamente diverso dagli altri, una bomba per il mondo del cinema d'autore europeo dell'epoca. Con La Promesse nel 1996 sbancavano la Quinzaine des realisateurs senza bisogno di nessuna sofisticazione che non fosse di scrittura e ripresa. Cosa far accadere sommato a come guardarlo.
Macchina a mano, ambienti reali, storie che si sviluppano tutte negli ultimi minuti su personaggi messi a fuoco lungo tutto il film, il loro stile diventa subito una regola e decine di altri cineasti si adeguano. La storia era quella di un ragazzo sfruttato dal padre per la tratta dei cittadini senza permesso di soggiorno, una trama che sembra arenata per tutto il film, piena di scene che non servono l'economia della storia e non mandano avanti l'intreccio ma sono utili solo a descrivere sentimenti e carattere dei personaggi. Un'ora passata a parlare di niente di utile ad osservare scenette quotidiane, e poi una chiusa rapida, dinamica, in cui tutto precipita e a quel punto ci sembra che qualcosa di terribile stia accadendo a qualcuno che conosciamo da una vita, di cui comprendiamo ogni esitazione e ogni reazione.
Diventerà la regola per tantissimo cinema (non sempre riuscito) degli anni 2000 e formerà una generazione che in Mungiu, Zonca, Zvyagintsev e molti altri ha i suoi esponenti maggiori.

[caption id="attachment_199934" align="aligncenter" width="509"]Rosetta Rosetta[/caption]

Sembra la negazione del cinema, non c'è colonna sonora, non ci sono scelte artistiche di fotografia, non c'è calligrafia, buona scrittura, grandi dialoghi o montaggio audace. Anche la recitazione è improntata al naturalismo. Rifiutando ogni abbellimento però i Dardenne compiono uno sforzo filmico pazzesco con il fine di imitare la vita anche nella sua ordinarietà.
In realtà nelle loro inquadrature con macchina a mano sono sempre attenti a cosa guardare, quanto stare sui protagonisti (tantissimo, anche contro ogni logica, tenendoli inquadrati pure quando sono altri a parlare). Scelgono spesso i piani sequenza invece del montaggio classico per rendere l'idea del tempo che passa, usano i silenzi come un'arma. Sembrano film spontanei, che si formano da sè ma sono l'esatto contrario: costruzioni micidiali immaginate e messe in scena per apparire spontanee per far "scomparire" ogni impressione di artificio. I registi dalla mano più pesante di tutti che fanno finta di non esserci.

Solo tre anni dopo quella che era una rivoluzione per addetti ai lavori esplode definitivamente. Da che avevano partecipato alla Quinzaine i Dardenne sono accolti nel concorso principale di Cannes e lo vincono con Rosetta, film mirabolante che svela Emily Dequenne, giovanissima protagonista dotata di quell'espressione vuota di chi dalla vita non si aspetta niente. Lei è una ragazza che sopravvive a stento, con una madre alcolizzata e ottenuto un lavoro si troverà di fronte ad una decisione terribile per mantenerlo. Storia come sempre non interessante, sinossi noiosissima di un film in realtà appassionante, fondato non su quel che accade ma sulla persona cui accade. Quella prossimità ai caratteri che qualsiasi film insegue, anche quelli di genere, i Dardenne la raggiungono in maniere nuove. Battendo proprio un'altra strada arrivano a destinazione prima degli altri.
È una novità così evidente e rinfrescante che quell'anno superano Tutto Su Mia Madre, Ghost Dog e Moloch nell’opinione della giuria capitanata da David Cronenberg e vincono la prima Palma D'oro. Per 4 film non vanno sopra i 100 minuti con le loro storie che bruciano nel finale. Il Figlio e L'Enfant non si discostano dal modello ma sono ancora diversi, prima un ragazzo che scopre all'ultimo di chi è figlio in un mondo infame, e dopo un padre che vende il suo neonato per poi pentirsene subito. Altra Palma d'Oro. È il 2005 e in 10 anni tutto è cambiato.

[caption id="attachment_199935" align="aligncenter" width="1024"]Il Ragazzo con la Bicicletta e l'arrivo del sole nei film dei Dardenne Il Ragazzo con la Bicicletta e l'arrivo del sole nei film dei Dardenne[/caption]

Alle volte i premi sono una casualità, alle volte sanciscono qualcosa. Ang Lee è riuscito a vincere due volte il Leone d'Oro a breve distanza ma uno con un film molto dimenticabile (Lussuria) che fu utile a mettere daccordo una giuria che non si metteva daccordo. I fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno vinto due palme a strettissimo giro con film memorabili che hanno cambiato il corso della storia del cinema d'autore.
Con le loro prime quattro storie morali, diventano dei cantori di periferia, favolisti neri i cui paesaggi narrativi sono fatti di periferie di ordinaria semplicità. Non la miseria ostentata o la durezza espressiva dei polizieschi, niente prostitute dal buoncuore, terribili gangster o povertà estrema, solo gente in tuta con poca conoscenza di tutto e tantissima ingenuità, lavoratori umili che faticano a tirare avanti. Le stesse persone che servono da mangiare o costruiscono le case e lo stesso mondo periferico di tutti i giorni, solo guardato e seguito da vicino come fosse il loro. Tutto simboleggiato dall’un unico volto ricorrente: Olivier Gourmet, faccia ordinaria e spesso maschera di cattiveria indicibile, di piccineria, cinismo e egoismo umano.

Dopo L'Enfant però qualcosa cambia. Il Matrimonio di Lorna e Il Ragazzo con la Bicicletta sono due film diversi (per i loro standard). Nel primo una donna si deve sposare per acquistare la cittadinanza ma gli eventi non sono concentrati tutti nel finale, nel secondo addirittura un bambino non vive un'esistenza problematica ma è un monello di quelli truffautiani, dotato di un suo mondo sue idee e di una testardaggine unica nel perseguirle, in una storia quasi solare (quasi!). È qui ancora più evidente che narratori sublimi siano, quanta bravura abbiano nel filmare il superfluo in realtà dosandolo con grande misura in film che non durano un minuto in più di quanto dovrebbero e che si chiedono sempre cosa sia giusto fare. Come tantissimo cinema hanno una vicinanza e una fascinazione fortissima per il crimine ma dal loro punto di vista non è mai una questione di violenza quanto una di sopraffazione economica, il crimine cui si è costretti, in cui si finisce, che appare come unica via d'uscita (ma non lo è mai).

Guardando questi due film si capisce come lo stile e la tecnica che hanno sempre adottato e che sembra una gabbia espressiva, in realtà sia sempre stata una scelta precisa. Capaci di girare e narrare diversamente i Dardenne hanno affinato per anni l'arma delle storie che si cibano di istanti "non importanti", di tutti quei momenti noiosi della vita che alla fine si dimostrano in realtà fondamentali per capire le persone più che gli eventi.

[caption id="attachment_199936" align="aligncenter" width="624"]Mario Cotillard in Due giorni, Una Notte Mario Cotillard in Due giorni, Una Notte[/caption]

Lentamente però si muovono verso altro, Due Giorni, Una Notte ha un concept di ferro e addirittura una star, Marion Cotillard. Con la durata della storia già nel titolo, una donna è alla ricerca di voti, con poco tempo per compiere l'impresa di visitare tutti i suoi colleghi della fabbrica e convincerli a votare contro il suo licenziamento. Ogni porta una storia, ogni collega un rapporto diverso. Qui ogni scena è indispensabile e porta avanti la storia, non c'è svolta che non serva un fine e anche i momenti che sembrano meno utili in realtà si scoprirà che avevano un senso nel grande intreccio. È l'esatto opposto dello stile che avevano fondato ma con il medesimo fine. C'è una decisione da prendere, un principio morale che pare sacrosanto inizialmente e viene più volte messo in discussione da pareri diversi. Alcuni terribili, altri condivisibili e la stessa protagonista vacilla ma soprattutto il pubblico, inizialmente convinto di cosa sia giusto, vacilla. Cosa bisogna fare e quanto quel che ci appare tale lo è davvero? Chi lo può stabilire?

La Ragazza Senza Nome, al cinema dal 27 ottobre (guarda una clip esclusiva) porta quest'idea ad una vetta ancora superiore. Anche qui non c'è scena, dettaglio, suono, parola o decisione che non sia lì per un motivo, che non serva più avanti nella storia a definire l'intreccio e incastrare la protagonista, una dottoressa che non ha aperto la porta del suo studio ad un donna arrivata dopo l’orario di chiusura e scopre che questa poco dopo è morta in strada. Distrutta dal senso di responsabilità cercherà di capire cosa sia successo, in un'indagine a ritroso che è uno scavo nel senso di colpa non solo suo.
Facilissimo da guardare, elegante da vedere e sofisticato da concepire il cinema dei fratelli Dardenne, sempre diverso ma sempre così dannatamente interessante e complesso, è il più difficile di tutti da immaginare e creare, perché non si appoggia a nessuna struttura di genere, prevede personaggi che non appartengono a nessuna categoria e ogni volta inventa se stesso senza parenti a cui dovere qualcosa. Per scatenare le domande giuste dimostra di saper sempre guardare la storia dal punto di vista migliore per notare e far notare le contraddizioni, le difficoltà e suscitare in ogni spettatore un dubbio.

Quello dei fratelli Dardenne è il cinema morale più importante dei nostri anni.

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