Massacro a Venezia
Venezia 67, Giorno 6 - Pesanti buuuh (meritatissimi) al film di Vincent Gallo Promises Written in Water, una storia senza capo né coda, con un protagonista/regista totalmente fuori di testa. Convince invece il documentario italiano Ward 54...
Rubrica a cura di ColinMckenzie
Promises Written in Water
Ci vuole un bel coraggio a portare in concorso un film diretto da Vincent Gallo. Per chi non se lo ricordasse, la sua ultima fatica The Brown Bunny, passata al Festival di Cannes qualche anno fa, era stata massacrata da tutti (compreso Roger Ebert, che l'aveva definita la peggiore pellicola della storia della manifestazione), complice anche una scena di fellatio con Chloë Sevigny.
Curiosamente, Promises Written in Water arriva lo stesso giorno del documentario su Joaquin Phoenix I'm still here. Parlo di curiosità, perché Vincent Gallo sembra andato fuori di testa come il suo collega attore, con la differenza che almeno Phoenix sembra che ci faccia, mentre l'autore di Buffalo 66 pare proprio esserci. Normalmente, per film del genere si parla di masturbazione intellettuale, peccato che qui l'intelletto sia stato lasciato a casa da un 'autore' che si segnala sui titoli di testa una decina di volte per tutti i suoi 'straordinari' contributi.
Descrizione di due delle prime scene del film, giusto per dare un'idea. Per cinque minuti, Gallo va in giro per casa a sistemarsi e guardarsi allo specchio, poi si butta sul letto e sbuffa (esattamente la reazione degli spettatori).
Ancora meglio la seconda sequenza. Dialogo del protagonista con un'amica al ristorante. Lui le parla di una donna che si è trasferita in Thailandia con un uomo di 55 anni. Dopo aver ripetuto la stessa storia in diverse occasioni, Gallo sembra rivolgersi al pubblico e prenderlo per il culo dicendo "lo dirò un'altra volta". E lo fa. Ma non finisce qui, perché poi lo stesso racconto viene ripetuto, con l'unica differenza che in questo caso la donna si sarebbe trasferita a Taiwan. Geniale.
Poi che abbiamo? Discussioni sulla maionese, una donna nuda nella vasca da bagno, il protagonista che lavora fotografando cadaveri e poi un'incredibile sequenza in cui un corpo femminile viene esplorato per diversi minuti: l'orecchio, poi la bocca, i seni e ovviamente, alla fine, la vagina (in due occasioni, nel caso ce la fossimo persa la prima volta perché addormentati).
Sulla carta, sembra incredibile che un film di 75 minuti possa risultare lunghissimo e provocare un'infinita serie di defezioni anticipate in sala. Ma questa totale spazzatura ci riesce benissimo e meritatamente si prende una bella selva di buuh, mentre 4-5 persone (difficile dire se ironici o malati di mente) si mettono ad applaudire. Direi che il Leone di film più brutto del Festival è stato assegnato senza se e senza ma...
Ward 54
Ward 54 della giornalista della Rai Monica Maggioni dimostra ancora una volta che, piuttosto che cercare di inventarsi pellicole di fiction traballanti, è molto meglio guardare in faccia la realtà senza filtri. In questo caso, si tratta del racconto (spesso in prima persona, talvolta per mano di familiari) di quanto le ferite fisiche e psichiche dei soldati siano difficili da rimarginare, anche a guerra finita.
Infatti, come ci viene detto in questo documentario, ormai sono più gli ex militari che si suicidano ogni giorno di quelli che perdono la vita in guerra. E questa tendenza non sembra avere soluzioni semplici, visto quanto l’esercito tenti di negare il fenomeno e i fondi a disposizione per le cure siano drammaticamente insufficienti.
Magari la mancanza di una direzione precisa e alcuni momenti troppo lunghi (la spiegazione della prima Guerra del Golfo) non funzionano troppo bene. Ma difficile rimanere indifferenti a queste vicende così forti e autentiche...
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