Martin Scorsese: l’uomo, le ansie, il tempo che non basta più e le rinunce al superfluo

Martin Scorsese a cuore aperto: conoscere la persona, le sue paure e le gioie, per capire il suo cinema e le sue battaglie

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Un film come Killers of the Flower Moon, normalmente, sarebbe stato promosso dall’incredibile cast. In tempo di sciopero a portarsi sulle spalle il perso di far conoscere l’opera al pubblico è stato solo ed esclusivamente il suo autore, Martin Scorsese. Una coincidenza di tempi sfortunata che, in questo caso, sembra capitare al momento giusto. I riflettori puntati sul regista hanno permesso di viaggiare sui temi a lui cariche. Sono uscite le più prevedibili dichiarazioni sullo stato dell’industria cinematografica, gettando ulteriore sale sulla classica ferita dei “cinecomic”, e qualche significativo aneddoto riguardante il suo rapporto con l’industria hollywoodiana.

Eppure in questo giro di interviste è emerso qualcosa d’altro. Sin dal profilo dedicato al regista dal Time, Killers of the Flower Moon è rimasto quasi ai margini del discorso. Le parole e le immagini di Martin Scorsese hanno sempre raccontato ciò che vedeva dalla finestra, il mondo nella sua crudeltà, i dubbi e i peccati delle persone. Ora il nuovo protagonista di questi racconti è l'interiorità di un regista di ottant’anni che non vuole smettere di fare film, ma sente che il tempo sta per scadere.

Martin Scorsese alla ricerca di Martin Scorsese

Quando Martin Scorsese parla, è già chiaro che farà discutere. Perché il suo pensiero è non solo autorevole, ma anche chiaro, netto, privo di ogni riverenza verso un’industria che osserva dai margini. Il lungo speciale dedicatogli da GQ parte proprio da questo senso di solitudine. E se le notizie che contiene al suo interno (e che vi abbiamo riportato nei link qui sopra) sono bene o male parte del gioco promozionale, quello che è sorprendentemente inedito è il ritratto umano che ne emerge. Un maestro che sente ancora il bisogno di fare cinema.

Scorsese, si racconta come fuori dal tempo, un lascito di un'epoca diversa del cinema che può ancora esprimersi, pur andando per la propria strada. Un punto di riferimento in un'epoca che ha altri punti di riferimento. Alla fine di questa confessione a cuore aperto lo potremmo definire bonariamente uno “Steve Rogers cinematografico”. Lui probabilmente non lo sa, ma le analogie sono parecchie. 

Nessuno più di lui è riuscito a restare costante nei decenni che ha attraversato. Eppure confessa di faticare a comprendere le dinamiche moderne di una Hollywood che non frequenta più. Oppure è solo stato prudente nell'intervista e la realtà è un'altra: le dinamiche le capisce bene, ma non le approva e l'industria che non frequenta è un'industria che lo vive come una stella luminosa, ma isolata e difficile da collocare.

Dare un senso a questo tempo

Gran parte del suo gruppo di amici, dice, non c’è più. Martin Scorsese, il grande regista, parla di sé con grande fragilità. Si sente come in Gangs of New York, dove i corpi dei giovani che hanno speso sangue per la città sono diventati sostanza vitale per il terreno su cui sono sorte le strade e i palazzi di oggi. “Hanno sofferto e lottato così tanto, e poi la vita è finita”. Solo che lui è ancora vivo e, proprio come uno dei suoi personaggi, vuole dare un senso a questa unica esistenza.

La vecchiaia è un periodo interessante, con emozioni diverse, e con occhi formati dal tempo. Ora ciò che è importante è diverso rispetto a un tempo. Racconta l’incontro con un’amica che non vedeva da anni e un lungo abbraccio nel caso non ci fosse la possibilità di rivedersi. Odia viaggiare in aereo, eppure il suo cinema lo porta ancora in giro per il mondo lontano da casa. Un’esigenza, quella di girare, nata da un bambino che veniva portato nelle sale chiuse dai genitori per via dell’asma, e diventata una professione irrinunciabile. Una ragione di vita per trovare un senso e trovare se stesso. 

È molto esplicito, sia nelle parole che nei suoi film (come i temi del recente The Irishman): il tempo sta scadendo, le forze vengono meno. Il desidero, però è quello di avere ancora energia per un film in più. E poi uno ancora. Fino a che la sua troupe e il suo cast non lo raccoglieranno da terra. Guerriero del cinema instancabile, Scorsese rifiuta l’idea di avere dedicato la vita solo ai film. È orgoglioso della sua dualità: della sua vita vera e quella raccontata sul grande schermo.  

La vita privata di Martin Scorsese

In queste interviste sta offrendo una chiave di lettura per il suo cinema più recente. Mentre l’uomo sente il tempo sfuggirgli di mano, i suoi film si riempiono di vita. Accolgono una durata fiume (i suoi ultimi quattro film durano più di tre ore) per dire di più, per dare di più, come a compensare ciò che manca all’orizzonte della sua vita vera. 

Per girare un film come Killers of the Flower Moon bisogna fare i conti con le responsabilità di casa. Sua moglie, Helen Morris, soffre di Parkinson da anni e ha bisogno di cure e di supporto, poco conciliabili con gli impegni sul set. Quello con lei è il suo quinto matrimonio. “I miei matrimoni si rompevano quasi subito”, racconta i momenti passati come cadute personali, pezzi di una vita lineare gli sono mancati. Eppure il suo cinema odia questo tipo di narrazioni. L’inizio, la parte centrale, la fine. La struttura lineare non fa per Scorsese. Forse, nella vita così come nel cinema, il centro è ovunque. 

La fede, le fragilità, la cura e poi il cinema

Il suo centro può essere la ricerca religiosa, innescata dall’incontro con padre Francis Principe. Oggi si sente come se stesse cercando l’interruttore della luce in una stanza buia. La speranza è quella, prima o poi, di trovarla questa luce. Mettersi in pace con Dio, spiega, per lui significa accettare se stessi, le proprie debolezze, e trovare il coraggio di andare avanti portando con sé tutti i conflitti interiori, le sfide e le fragilità. 

Così in studio, poco prima di verificare il montaggio di Killers of the Flower Moon, ha dovuto affrontare ancora una volta le sue ansie. Il tempo e le responsabilità. Di fronte allo schermo, prima dell’inizio di un film che conosce in ogni dettaglio, la mente si riempie di preoccupazioni quotidiane. Vedere il film avrebbe richiesto tanto tempo e tanta concentrazione. Ce l’avrebbe fatta?

Invece il cinema vince su tutto. Seduto in sala si è guardato il film come uno spettatore dall’inizio alla fine. È il vantaggio di girare solo i progetti del cuore, di avere l’età in cui ci si può permettere di fare solo i movimenti di macchina che si vuole. Perché quando il tempo è poco “l’importante è saperlo usare bene. Anche quando sembra di non fare niente, a volte basta esistere, senza fretta”, guardare fuori dalla finestra o i propri poster dell’epoca. Guardare qualcosa e perdersi in essa.

Il montaggio dell'ultima parte della vita: elimina il superfluo

Nel montaggio della sua vita Martin Scorsese sta eliminando tutto il superfluo. Via le influenze esterne, i condizionamenti esterni. Non significa ignorarli, ma non impedire che questi cambino la tua voce. Come produttore vuole sostenere altre voci ribelli come quella che fu la sua e che sono per lui garanzia di un futuro per il cinema. Di un cinema diverso, fuori dalle logiche commerciali o degli algoritmi. È disponibile a spendersi anche in prima persona per sostenerle, come ha fatto di recente con Ari Aster

Si è liberato anche del bisogno di inseguire quello che padre Principe definì l’idolo d’oro. L’Oscar, spesso perso e ottenuto solo una volta. Il gesuita glielo descrisse da bambino come il simbolo di quello che non va nella società moderna: la ricerca di successo anche a costo di perdere il senso di ciò che si fa, il bisogno di status, di essere dentro una comunità, di essere riconosciuti. “Ero contento di essere nominato dall’Academy, ma ho capito che non era il mio destino, soprattutto dopo che avevano ignorato Taxi Driver”. Togliersi dalla testa l’idea di fare un film per vincere un premio fu una liberazione ma anche una scelta che oggi lo mette a parte di quella comunità che è l’industria hollywoodiana. Gli sta bene, dice, “mi faccio solo gli affari miei”

Martin Scorsese racconta la violenza, ma sostiene di non avere nemmeno più tempo per la rabbia nella sua vita. Ha rinunciato a ripetersi per avere un successo sicuro, ma anche alla sperimentazione solo per il gusto di sperimentare. Quello che vuole fare è andare avanti a raccontare le storie, e dare una mano a far emergere nuovi registi che possano prendere la torcia, un film alla volta, finche gli è concesso. Senza paura e quindi in totale libertà.

FONTE: GQ

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