Maria regina di Scozia è indiscutibilmente un film salvato solo dalle due protagoniste
Maria regina di Scozia è un film: è il massimo che si possa dire di quest’opera anonima e incolore, salvata solo dalle sue protagoniste
Dove sarebbe Maria regina di Scozia senza Saoirse Ronan e Margot Robbie? Con ogni probabilità nel dimenticatoio della storia (del cinema): nonostante tutto l’impegno profuso da Beau Willimon e il suo tentativo di trasportare certi intrighi e anche certi discorsi dai corridoi della Casa Bianca a quelli del palazzo di Holyrood, e il grande lavoro di messinscena di Josie Rourke, il film che racconta la lunga e sanguinosa rivalità tra le due cugine più famose della storia inglese è un minestrone un po’ sciapo. Troppo poco accurato per avere un qualche valore storiografico, troppo frettoloso per riuscire a respirare nell’arco dei venticinque anni che attraversa, è un film con un’agenda e un messaggio che si prendono tutto il palco a discapito della buona narrazione, e solo le sue due protagoniste lo salvano dal disastro (e anzi, sono talmente brave che lo rendono più che guardabile).
La storia probabilmente la conoscete: Maria, regina da quando ha sei giorni di vita, torna in Scozia da cattolica dopo una vita in Francia per assumere la corona, e così facendo si mette in diretta competizione con la cugina Elisabetta, protestante e regina d’Inghilterra. Nella realtà, questa rivalità si tradusse in un paio di guerre civili sfiorate e soprattutto nel fatto che Maria passò un quarto di secolo imprigionata, per volontà della cugina, in vari castelli, fortezze e altri edifici facilmente difendibili. Il film di Josie Stuart decide di derubricare questi 25 anni a una nota a pie’ di pagina, e di puntare invece tutto sui primi mesi di Maria in Scozia, e sui primi approcci con la cugina nel tentativo di trovare un accordo che le faccia felici entrambe.
Non contestiamo la tesi di fondo, ovviamente, anzi: è ovvio che la duplice battaglia di Maria ed Elisabetta (la prima che vuole farsi riconoscere come legittima sovrana, la seconda che deve proteggere il suo regno e la sua interpretazione del cristianesimo) è segnata irrimediabilmente dal loro genere, che le rende sconfitte in partenza per ragioni culturali. Sono due donne, e nel 1500 questo è un difetto imperdonabile. Sono ancora vive perché hanno la fortuna di avere sangue nobile, ma vivono nella costante manipolazione di un gruppo di maschi che dall’ombra le dirigono e che dall’ombra sono anche capaci di uscire, armati fino ai denti, quando le buone maniere non funzionano.
Quello che contestiamo è che il modo in cui questa tesi ci viene presentata. Più che personaggi, Maria ed Elisabetta sono archetipi su due gambe, figure simboliche la cui tridimensionalità esiste solo in funzione del messaggio. Maria è bella, rossa fiammante, decisa a ribadire la propria femminilità e a ritagliarsi una strada nel mondo in quanto donna, non nonostante sia donna. Elisabetta al contrario attraversa un processo di annullamento di sé stessa e del proprio genere, dichiara esplicitamente di essere ormai diventata un maschio, mette la corona al di sopra di tutto, anche del suo corpo e dei suoi desideri. Una non è regina ma vorrebbe esserlo, l’altra lo è ma preferirebbe fare altro. Ed entrambe sono condannate a essere ciò che gli è stato imposto alla nascita, intrappolate per sempre nel ruolo.
Come sappiamo tutte queste cose? Perché Maria regina di Scozia ce le dice. A parole, esplicitamente, spiegando, con voice over, con monologhi intensi. C’è pochissima storia attiva in questo film di storia, si svolge tutto in stanze chiuse e claustrofobiche nelle quali si susseguono conversazioni senza via d’uscita e dalla conclusione sempre prevedibile (il che rovina un po’ l’impatto drammatico di certi momenti). Non vediamo mai il popolo del quale entrambe le regine dicono di volersi occupare, è come se l’intero film si svolgesse in un non-luogo costruito apposta perché Saoirse Ronan possa rappresentare l’avatar della donna forte che non rinuncia al suo genere e Margot Robbie l’avatar della donna altrettanto forte ma con una capacità quasi mimetica di sopravvivere in un mondo di maschi: il che incidentalmente potrebbe anche far pensare che il messaggio del film alle donne sia “adattatevi e confondetevi perché se fate capire di essere donne fate una brutta fine”, ma questa è in realtà la morale della vita della vera Maria Stuarda e di un sacco di altre donne nella storia del mondo, quindi è difficile dare la colpa a Willimon quando il vero colpevole è il patriarcato.
Come detto, sono sentimenti nobili e questioni fondamentali, che però Maria regina di Scozia affronta didascalicamente e con un certo impaccio. A volte sembra di guardare una checklist più che un film: manca ogni forma di ritmo e di collante tra gli eventi, che esperiamo solo attraverso gli occhi delle due protagoniste, e il risultato è una collezione di scene più o meno scollegate ciascuna funzionale a comunicare un concetto ma non a raccontare una storia.
Ovviamente tutti questi discorsi volano un po’ fuori dalla finestra nel momento in cui Saoirse Ronan e Margot Robbie decidono di caricarsi il film sulle spalle e salvarlo con le loro prestazioni. È un caso classico di “lo si guarda per loro”: in particolare Ronan riesce a elevarsi al di sopra della banalità della scrittura, che le mette spesso in bocca frasi profonde come una pozzanghera ad agosto; di Robbie si apprezza soprattutto la trasformazione fisica e il modo in cui riflette la sua crescita (o decrescita interiore), e il modo in cui le basti un naso finto e un po’ di trucco per farla sembrare debole e in balìa degli eventi. Peccato che l’attesissimo incontro, che dovrebbe essere LA scena madre del film, si riduca all’ennesima occasione sprecata, durante la quale le due si scambiano trivialità e ribadiscono concetti che il film aveva appena passato due ore a illustrarci.