Mare Fuori: le ragioni di un fenomeno tutto italiano 

La serie fenomeno Mare Fuori torna oggi con la sua quarta stagione: ecco le ragioni di un successo tutto italiano

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Nun v’ preoccupat’ uagliù, l’attesa è finita: Mare Fuori è tornato (le prime 6 puntate della stagione 4 sono disponibili da oggi su RaiPlay). 

Il clamoroso successo di Mare Fuori è un dato di fatto che non è più possibile ignorare. Interazioni social che superano il miliardo, più di 105 milioni di visualizzazioni su RaiPlay alla messa in onda degli ultimi 6 episodi della scorsa stagione e milioni di ore di fruizione totali: numeri impressionanti da oggi pronti a triplicarsi e che potrebbero costare un blocco dei server alla piattaforma streaming.

Partita nel 2020, Mare Fuori è riuscita ad insinuarsi nel cuore degli italiani, soprattutto di quelli più giovani, diventando a tutti gli effetti un cult generazionale dall’engagement mostruoso. Ma come ha fatto una serie tv nostrana a diventare un simile fenomeno, di quelli che in Italia non si sono mai visti, incredibile se pensiamo che stiamo parlando di un prodotto targato Rai?

Tutto merito di Netflix (o quasi)

Per gli appartenenti alla Gen Z, prima di Mare Fuori probabilmente la Rai non esisteva. Il pubblico giovane, esterofilo e dalla abitudini mediali frammentate, ha un pensiero di default che pregiudica qualsiasi cosa sia italiana, figuriamoci generalista. Ma proprio la tv tradizionale per antonomasia è riuscita nell’impossibile impresa di accalappiarlo. Non però senza un piccolo aiuto. 

Il progetto Mare Fuori nasce 15 anni fa, dopo un seminario tenuto dagli sceneggiatori Cristiana Farina e Maurizio Fareddu al carcere minorile di Nisida. Inizialmente accantonato, fu poi ripresentato dalla casa di produzione Picomedia a Rai Fiction, che con lungimiranza lo distribuisce su Rai Due, il canale deputato a ringiovanire il servizio pubblico, con prodotti “rischiosi” che non mirano a colpire un target ampio ma piuttosto uno specifico. Per gli standart Rai l’obbiettivo viene raggiunto ampiamente, con le prime due stagioni che, trasmesse rispettivamente a settembre 2020 e novembre 2021, raggiungono risultati sorprendenti, soprattutto nei dati demografici (7% di share la prima, 13% la seconda, con una maggioranza di pubblico di età compresa fra i 15 e i 25 anni). 

È a questo punto che subentra il cosìdetto “Effetto Netflix”: come risultato di un accordo commerciale (chissà se strategico o casuale), nel 2022 le prime due stagioni di Mare Fuori finiscono nel catalogo del colosso americano e qui il destino della serie cambia definitivamente. Il passaggio alla piattaforma che più di tutte orienta le scelte audiovisive di un pubblico non avvezzo alla programmazione lineare non genera il successo del prodotto, ma ne modifica la percezione: improvvisamente Mare Fuori perde lo stigma della fiction Rai e diventa cool, accattivante, la serie del momento da bingewatchare

Questa esplosione di popolarità porta la Rai a sfruttare al meglio l’uscita della terza stagione (febbraio 2023), e con una mossa coraggiosa si decide di optare per una distribuzione inedita che ha portato alla ribalta una piattaforma fino a quel momento ritenuta di serie B: Mare Fuori è infatti la prima fiction Rai a uscire prima su RaiPlay (a blocchi di sei episodi) e solo successivamente sui canali lineari (sempre Rai Due). Attribuire quindi il successo di Mare Fuori solo a Netflix è una lettura superficiale, perché, seppure se ne sia accorta in ritardo, è giusto dare a mamma Rai quello che è di mamma Rai

Un maremoto virale

Il successo di un prodotto mediale si misura dalla sua popolarità sui social e i numeri di Mare Fuori confermano questa regola: più di 10 milioni di interazioni durante la messa in onda dell’ultimo episodio della terza stagione, 53% provenienti da TikTok, chiaro indice della natura generazionale del fenomeno. Il paragone con SKAM Italia è automatico, ma sul piano comunicativo i due prodotti non potrebbero essere più diversi (anche se entrambi condividono il push di Netflix). Dove infatti SKAM godeva del successo della serie originale e la strategia di promozione era strutturata e ben pianificata, il percorso di Mare Fuori è stato del tutto organico e spontaneo, dove gli strumenti social di Netflix e la capacità del pubblico di produrre contenuti hanno lavorato in perfetta sinergia. 

La natura iconica e riproducibile della serie ha generato una mole infinita di reels, meme e trend, aiutata dagli stessi attori in veste di influencers e vicini per età al pubblico. Attorno a Mare Fuori si è creato un fandom appassionato e la Rai non ha dovuto fare altro che cavalcare l’onda (pensiamo alla fake news sui minuti in più relativi alla messa in onda in chiaro dell’ultimo episodio, mai smentita ai vertici). Andando oltre i giudizi qualitativi, Mare Fuori è un case study unico in Italia, che ha visto un connubio fra l’utilizzo dei mezzi tradizionali della tv generalista, quelli tipici delle piattaforme e soprattutto il passaparola transmediale. 

Un nuovo genere: la teen fiction

Mare Fuori racconta le vicende di un gruppo di minorenni rinchiusi nell’Istituto di pena minorile di Napoli (ispirato al carcere dell’Isola di Nisida) le cui storie si intrecciano con quelle degli adulti del personale penitenziario. Un pitch sulla carta apparentemente innocuo. A cambiare sono però le modalità narrative: i parametri del racconto tradizionale (la retorica facile, gli stereotipi, la realtà romanzata e lo stile da soap-opera) si uniscono a quelli del teen drama americano (il racconto di formazione, lo scontro generazionale, il realismo sociale) dando vita ad un ibrido affascinante

Benchè se ne dica, il modello generalista è molto più difficile da costruire rispetto a quello della prestige tv: per ottenere un successo popolare una fiction deve essere pensata per escludere meno categorie di pubblico possibile e per farlo deve tenere conto di molte più variabili che inevitabilmente condizionano il racconto. Una storia di coming of age invece si propone di raccontare un momento molto specifico, e per farlo deve trovare una chiave narrativa ed estetica vincente (e convincente) per parlare agli adolescenti. 

Inspiegabilmente Mare Fuori centra entrambi gli obbiettivi, anche grazie all'uso del prison drama, che per sua natura necessita di un discreto realismo per essere credibile (non mancano comunque risvolti di trama che definiremo ingenui per non dire altro). L’incantesimo Mare Fuori si avvale quindi di una formula magica che parte dalla realtà per poi rappresentarla il più fedelmente possibile, con un pizzico di innovazione nella messa in scena e una spolverata di buoni sentimenti che in fondo piacciono a tutti. 

Vecchie storie, nuovo modo di raccontare 

L’anima di Mare Fuori è la malinconia struggente del suo racconto corale, tipica dell’adolescenza, dove ogni dramma viene vissuto con estrema passione dai personaggi, approfonditi grazie ad una struttura temporale che con continui flashback ne rende più facile la fidelizzazione da parte del pubblico

C’è chi accusa la serie di promuovere ideali stereotipati e conservatori e di far parlare i suoi protagonisti in modo troppo consapevole e maturo: per quanto questa critica abbia il suo fondamento, bisogna però riconoscere che questi elementi sono da sempre presenti nei prodotti teen, anche stranieri, ma probabilmente la connotazione nostrana ne evidenzia la problematicità.

Anche la storia d’amore fra Carmine Di Salvo e Rosa Ricci altro non è che una versione partenopea in chiave gangsta dell’eterno mito shakespeariano di Romeo e Giulietta (si notano infatti i rimandi estetici al film di Baz Luhrmann), forse il primo vero teen drama mai scritto. Tutti i tropes tipici del genere (i rapporti travagliati, la ribellione, il bisogno di protezione e la ricerca della felicità) vengono enfatizzati da una messa in scena che sa gestire alla perfezione i picchi emotivi. 

Questo anche grazie alle intense performance del giovane cast, altra scommessa vinta dalla Rai, che con Mare Fuori consegna al panorama italiano un nuovo star system. Aiuta poi l’elemento della bellezza estetica, immancabile in ogni teen che si rispetti. Il regista Ivan Silvestrini ha rivelato che la scelta di girare sempre d’estate, così da poter mostrare più pelle possibile, non è casuale: i corpi dei protagonisti si incontrano e si scontrano, esaltati da una regia che sembra sempre stargli addosso, stuzzicando così il giovane pubblico in piena crisi ormonale. 

Un paragone troppo facile

La scelta del dramma carcerario è anch’essa vincente: sospeso tra il fuori e il dentro, il carcere diventa un micro-universo totalizzante, generatore naturale di conflitti e metafora della gabbia interiore che vivono i protagonisti e per estensione anche il giovane pubblico alle prese con il proprio disagio generazionale. Allo stesso tempo però la prigione può diventare un luogo sicuro dove riscoprire valori positivi e costruire legami più profondi e autentici, amplificati proprio dalla natura ristretta dell'ambientazione.

In questo senso il paragone più sensato è quello con Orange Is The New Black, mentre noiosa è l’associazione con Gomorra: dove in quest’ultima si narrava la criminalità e la sua fascinazione, in Mare Fuori se ne raccontano le conseguenze, svelando che dietro al male si cela sempre un bisogno d'amore inascoltato, un desiderio di speranza rappresentato da quel mare fuori tanto agognato e cantato. 

La colonna sonora: l’irresistibile canto di una sirena 

“Na na na na…appicc’ n’ata sigarett’…” poche note ed è subito mano sul cuore. Una sigla ormai inconfondibile, per molti davvero un secondo inno nazionale, che abbiamo sentito risuonare sui social, nelle piazze, allo stadio e persino sul palco dello scorso Sanremo, e che di recente ha superato i 45 milioni di ascolti su Spotify. E pensare che il suo ideatore ed interprete, Matteo Paolillo (che nella serie interpreta Edoardo Conte) l’ha timidamente proposta dopo averla composta sotto la doccia. 

Complice il fermento e la rinascita su scala nazionale della nuova scena musicale underground partenopea (pensiamo ad artisti come Liberato e Geolier), il compositore Stefano Lentini costruisce un’opera che unisce la musica classica al rap, passando per il pop e l’elettronica fino alle melodie più spiccatamente popolari. Particolare è la presenza di artisti che rivestono anche il ruolo di attori, come il cantante degli Almamegretta Raiz o la giovane trapper Clara, che in un gioco metamusicale compongono ed interpretano brani che diventano hit sia fuori che dentro la serie. 

La colonna sonora di Mare Fuori è quindi una sorta di personaggio invisibile che entra ed esce continuamente dalla narrazione, amplificandone l’anima malinconica anche grazie alla bellezza della lingua napoletana, da sempre capace di viaggiare oltre i propri confini. 

Fuori c’è Napoli

Il mare non può che essere quello di Napoli, una città che da sola è scenografia naturale, nel bene e nel male, un universo a sé che riesce ad essere locale e allo stesso tempo nazionale. La città ha da sempre questa benedizione (e maledizione) di avere un’anima fortemente identitaria e quindi per questo facilmente feticizzata, con un sistema linguistico e culturale molto riconoscibile, fatto di parole, modi di dire, gesti e stereotipi che dal pubblico vengono percepiti come più autentici. 

La popolarità di Mare Fuori può essere quindi spiegata come il risultato di una fascinazione verso tutto ciò che è partenopeo a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, dal calcio alla musica fino all’intrattenimento. Grazie alla sua autonomia produttiva (che si pone in alternativa a quella romano-centrica), Napoli ha saputo utilizzare l’audiovisivo come soft power per promuovere sé stessa (su tutti il successo di Sorrentino e de L’Amica Geniale), e i dati turistici lo confermano. 

Un mare che diventa oceano 

Tra le mete turistiche ormai imperdibili della città c’è anche il Molo San Vincenzo, la base navale della Marina Militare che fa da set a Mare Fuori, preso d’assedio dai fan durante le riprese estive. Uno spettacolo a cui ha assistito persino un corrispondente del New York Times, inviato a passare una giornata sul set della quarta stagione per studiare da vicino il fenomeno.

Ad oggi Mare Fuori viene trasmesso in 25 paesi del mondo (tra cui Francia, Spagna, Germania, America Latina e nei paesi nordici), molti dei quali hanno già chiesto i diritti per il remake, mentre qualche mese fa Variety annunciava in esclusiva la messa in onda della serie con il titolo The Sea Beyond sulla piattaforma streaming statunitense MHz Choice. Un mare le cui onde non sembrano volersi fermare, con altre due stagioni confermate, un film in fase di scrittura e un musical, diretto da Alessandro Siani, attualmente in giro per l’Italia (tra i suoi interpreti anche Maria Esposito, Rosa Ricci nella serie). 

In conclusione, Mare Fuori è un oggetto curioso da analizzare, il cui successo è il risultato della potenza di diversi fuochi incrociati che come abbiamo visto vanno ben oltre la sua qualità intrinseca. Fatto sta che nella serialità, o se preferite nella fiction italiana, ci sarà un prima e un dopo Mare Fuori

Dopo aver presentato in anteprima i primi due episodi alla scorsa Festa del Cinema di Roma, la quarta stagione della serie è da oggi disponibile su RaiPlay con i primi sei episodi, mentre l’intero box set arriverà il 14 febbraio, quando sarà trasmessa anche in chiaro su Rai Due. 

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