Mank, a dispetto di David Fincher: chi ha scritto davvero Quarto potere
Mettendo insieme tutte le fonti, le polemiche e le revisioni sulla storia di Mank abbiamo ricostruito i meriti di Welles e i meriti di Mankiewicz
Il clima, già nel 1941, non era dei migliori. Del resto, come si vede nel film di Fincher, uno era uno sceneggiatore navigatissimo che a soli 43 anni ne aveva viste di tutti i colori, aveva scritto scemenze senza senso e avuto idee giganti (sua quella di fotografare il Kansas in bianco e nero prima del passaggio ai colori in Il mago di Oz) frequentando le persone più potenti di Hollywood, si era bevuto tutto il bevibile ed aveva anche una malattia per il gioco che lo portava a guadagnare per spendere. L’altro a 24 anni era il re del mondo dei media che Hollywood aveva in antipatia prima ancora che girasse Quarto potere, era arrogantissimo (a ragione) e voleva dimostrarlo.
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Dopo quell’articolo però ce ne furono altri di risposta, ugualmente se non più documentati. Vi presentiamo qui tutte le parti della polemica e una sintesi alla fine.
Dalla parte di Mank: Pauline Kael, “Raising Kane”, 1971
La tesi di Kael è secca: il film non l’hanno scritto in due, l’ha scritto solo Mankiewicz, fin dall’idea.
Quarto potere non fu infatti il primo progetto di Welles. Aveva già girato un film (Too Much Johnson) ma questo sarebbe stata un’altra storia. Aveva in mente di adattare Cuore di tenebra di Conrad e voleva farlo tutto in soggettiva, la soggettiva di Marlow (interpretato da lui) che va a trovare Kurtz (interpretato sempre da lui). Un progetto con un budget senza senso, fallito prima di iniziare davvero. Più facile farne un altro, più attuale, su un complotto fascista nel cuore dell’America. Era questo il film per il quale chiese aiuto a Mankiewicz, all’epoca disoccupato dopo aver lasciato mille lavori e quindi bisognoso. Naufragò anche quel progetto e Mank tirò fuori l’idea della biografia di un uomo potente visto da punti di vista diversi. Quell’uomo ad un certo punto doveva essere John Dillinger, il criminale, ma poi si optò, sempre su suggerimento di Mank, per Hearst. Perché lo conosceva bene.
Come si vede nel film Mank scrisse tutto lo script in isolamento imponendo la sua volontà, combattendo con tutti ma partorendo alla fine il capolavoro di una carriera. Welles poi lo filmò, con tutte le battaglie del caso per il riconoscimento della paternità.
L’articolo di Kael era però pieno di falle, di tesi aggiustate, interviste tagliuzzate per il proprio comodo e testimoni citati che erano infuriati per come le loro parole erano state travisate.
Contro Mank: Peter Bogdanovich, The Kane Mutiny, 1972
Già l’anno dopo era Peter Bogdanovich, che prima di essere regista fu critico e storico del cinema molto legato ad Orson Welles, a cercare di rimettere tutto a posto su Esquire. Scrisse un articolo fondato sul debunking di quello di Pauline Kael. Dimostrò prima che Kael non aveva parlato con nessuno che avesse effettivamente collaborato con il reparto sceneggiatura, poi lui andò a sentire Charles Lederer, amico di Mankiewicz (all’epoca morto e sepolto da decenni al contrario di Welles), che ricordava chiaramente le lamentele di Mank sui molti tagli e cambiamenti portati dal regista. Ma del resto anche la segretaria dell’epoca di Welles ricordava di avere continuamente materiale da stenografare che riguardava la sceneggiatura.
Veniva poi smontata una delle fonti usate da Pauline Kael, la ricerca su Quarto potere del prof. Howard Stuber della U.C.L.A. Il professore sosteneva che Pauline Kael avesse distorto le sue conclusioni, ovvero che non fosse chiaro a chi appartenesse la paternità della sceneggiatura.
Il punto però è che Welles era noto per avere un rapporto molto stretto con Bogdanovich e soprattutto per rivedere tutto ciò che scriveva. Tanto che nel 1998 Bogdanovich stesso ha raccontato che nonostante lui avesse fatto il lavoro sporco di sentire le fonti, poi Orson Welles ha ampiamente riscritto l’articolo finale. Insomma era più o meno la risposta di Orson Welles in persona con le pezze d’appoggio fornite da Bogdanovich.
Robert L. Carringer, The Scripts of Citizen Kane, 1978
Sei anni dopo Bogdanovich e Welles, lo storico del cinema Robert L. Carringer su Critical Inquiry dava la sua versione, anche lui screditando completamente le tesi di Pauline Kael riguardo il fatto che Orson Welles non avesse scritto per nulla Quarto potere.
Secondo Carringer nel suo articolo Pauline Kael non dava conto del fatto che Welles e Mankiewicz passarono settimane a lavorare alla struttura e ai personaggi del film prima che Mank iniziasse il lavoro di scrittura in solitudine, non parlava della bozza a cui Welles lavorava parallelamente a Mankiewicz, non parlava delle frequenti visite di Welles a Mankiewicz in fase di scrittura e infine non teneva mai conto delle continue revisioni che Welles fece alla sceneggiatura, molte delle quali anche durante la fase di riprese.
Sempre secondo Carringer il vero contributo di Mankiewicz sarebbe quello di aver gettato le fondamenta di tutto: la trama, la struttura, gli snodi principali e i personaggi cruciali, oltre ad una serie di battute e scene fondamentali che sono presenti nel film. Ma alla sua versione mancava la statura di Kane, cioè il personaggio che poi è. Inoltre Carringer scrive che nelle 8 settimane tra la consegna della sceneggiatura di Mankiewicz e la versiona definitiva dello script, Welles ha dato basi più solide alla storia, ha trasformato Kane e “ha pianificato il capolavoro”.
Guardando la storia oggi, con la consapevolezza che abbiamo sia di come funzioni il cinema, sia di quel che ha fatto poi Welles in seguito e della sua di personalità, sembra evidente che è una forzatura attribuire solo a Mankiewicz la sceneggiatura. Charles Foster Kane è il personaggio wellesiano per antonomasia, in continuità con quel che aveva fatto fino a quel momento nella sua carriera (adattare lavori altrui con un grande interesse nella tragicità delle figure imponenti) e avrebbe fatto dopo.
Dall’altro lato quello su cui tutti concordano è il lavoro fondamentale di Mankiewicz, che Hearst lo conosceva bene, l’ideazione di alcune dinamiche eccezionali come Rosabella e il ritratto di una persona a partire da più voci diverse che risulta nel fatto che nessuno lo conoscesse davvero. Oltre come già detto a battute fondamentali e scene importantissime.
Aveva ragione Pauline Kael a voler sminuire la politica degli autori francese e l’effetto che stava avendo in America. Ma il suo prendere Welles come bersaglio era più fuori fuoco che altro. Una tipica dinamica dell’epoca, quando Welles era ancora largamente odiato ad Hollywood per tutto quel che rappresentava, per il suo essersi sempre creduto migliore di tutti, per il suo farsi i film da solo, autofinanziati (pare incredibile ma era fonte di odio, invidia e acredine), per il suo successo intellettuale e per come poi si finanziava facendo l’attore in progetti infami e spot pubblicitari, degradando l’immagine da nobile intellettuale dell’artista, così cara al mondo del New Yorker.
Nei suoi anni Hearst aveva combattuto Welles in tutti i modi, facendolo accusare di essere un comunista e mettendogli alle calcagna sia J. Edgar Hoover e il suo FBI, sia Louella Parsons, una delle più grandi giornaliste di gossip dell’epoca, vera insider di Hollywood capace di distruggere carriere con pettegolezzi e voci, che su ordine del suo padrone contattò anche l’ufficio di leva locale per far chiamare Orson Welles a fare il servizio militare, pur di impedirgli di girare quel film. Non riuscì nel suo obiettivo, Quarto potere fu girato e anzi diventò uno dei film più longevi e considerati di sempre. Hearst però riuscì a rendere Welles un nemico di Hollywood, e non c’è da stupirsi quindi se decenni dopo, per demolire la politica degli autori, Pauline Kael abbia usato proprio lui come totem da abbattere.