Man of Tai Chi, l’anello di congiunzione tra Matrix e John Wick

Man of Tai Chi è un dimenticatissimo film di arti marziali che nasce grazie a Matrix e aiuterà Keanu Reeves a diventare John Wick

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Man of Tai Chi va in onda su Italia 2 questa sera alle 21:15 e in replica domani sera alle 23:16

Quando un film costa 25 milioni di dollari e ne incassa poco più di 5 è facile indicarlo come un flop. Come si fa però quando un film costato 25 milioni e che ne ha incassati 5 è bello, e non solo, è anche un passaggio importante nella carriera di uno degli attori più amati di questi ultimi anni? Man of Tai Chi è piaciuto a pochissime persone: John Woo, per esempio, e gran parte della critica, mentre il pubblico in sala l’ha ricevuto con molto meno entusiasmo. Ed è un peccato, perché se uscisse oggi, dopo l’esperienza di John Wick e la ritrovata fama dell’attore, forse verrebbe accolto in tutt’altro modo, e avrebbe finalmente la fama che si merita; invece è uscito nel 2013, e rimane solo un capitolo un po’ sconosciuto, ma non per questo meno decisivo, della parabola del fu Neo.

Partiamo dall’inizio: Man of Tai Chi esiste grazie a Matrix e alle sorelle Wachowski. Questi sono i passaggi:

  • Yuen Woo-ping, regista e coreografo di Hong Kong specializzato in arti marziali, passa la carriera a lavorare con i migliori marzialisti del mondo, da Jackie Chan in Drunken Master a Donnie Yen in Iron Monkey. Hollywood lo nota solo nel 1994 quando coreografa i combattimenti di Fist of Legend, il remake di Dalla Cina con furore con Jet Li al posto di Bruce Lee

  • Tra le persone che lo notano ci sono le sorelle Wachowski, che lo ingaggiano per le coreografie dei combattimenti del primo Matrix

  • Tra gli assistenti di Yuen c’è anche Tiger Chen, 24enne artista marziale che aveva già tentato la fortuna a Hollywood prima di tornare a Hong Kong a studiare proprio sotto Yuen

  • Durante le riprese, Tiger Chen e Keanu Reeves fanno amicizia, e il primo comincia anche a fare da insegnante di arti marziali per il secondo

  • Yuen Woo-ping prosegue la sua carriera lavorando in filmoni di enorme successo tipo La tigre e il dragone e Kill Bill

  • Anche Tiger Chen prosegue la sua carriera, ma con particine minori, fino a che nel 2013 Keanu Reeves gli propone un ruolo da protagonista nel suo primo film da regista, Man of Tai Chi, una produzione cinese ma scritta da un americano che racconta una storia di arti marziali e criminalità organizzata

Keanu

Se da un lato quindi le Wachowski, e Hollywood tutta, uscirono da Matrix innamorate del wire-fu, come raccontavamo tra l’altro qui, dall’altro quello che Keanu Reeves ricava da quell’esperienza è la gioia di un sano combattimento ben coreografato, ben girato e soprattutto realistico, naturale – non gente che saltella in giro per il set come se avesse le molle sotto i piedi, ma persone esperte di arti marziali che se le danno di santa ragione in favore di camera. E in Man of Tai Chi la gente se le dà davvero di santa ragione, e spessissimo: per essere un film con un’intricata trama criminale e almeno tre storyline separate che alla fine convergono, il rapporto tra tempo dedicato ai combattimenti e tempo dedicato a tutto il resto è sorprendentemente a favore dei primi.

La storia è un grande classico dei film di arti marziali che Keanu Reeves ama tanto e ai quali deve tantissimo per questa sua recente rinascita. Tiger (Tiger Chen non si preoccupa neanche di presentarsi con un nome di finzione: interpreta sé stesso) è un praticante del Tai Chi che è convinto di poter usare una disciplina tradizionalmente associata con la meditazione, la guarigione e al massimo l’autodifesa per combattere su un ring e vincere contro un avversario che vuole spezzargli le ossa. Il suo maestro lo mette in guardia contro l’abuso di un’arte marziale non pensata per l’offesa, ma lui ha bisogno di soldi e accetta l’offerta della seconda storyline del film. Che è quella che coinvolge Keanu Reeves, in un allora inedito ruolo da cattivo cattivissimo, un tizio straricco che gestisce un giro di incontri di lotta, clandestini e senza regole, da venire venduti a un pubblico selezionato ed esigente che gode a vedere lo sconfitto morire e il vincitore che è anche un killer. A investigare su questo complicato giro di botte underground c’è una detective della polizia di Hong Kong e terza storyline del film: Sun Jing Shi era a tanto così dal mettere le mani su un lottatore pentito che avrebbe testimoniato contro Keanu Reeves, ma si è ritrovata a mani vuote e il caso dichiarato chiuso, e ora vuole vendetta.

Man of Tai Chi HONOR

Non è difficile immaginare in che modo queste tre storie si intreccino, ma il bello di Man of Tai Chi non sta certamente nella sua scrittura o in chissà quale rivoluzione narrativa – Michael G. Cooney, lo sceneggiatore, ha fatto un lavoro semplice e lineare, competente e che omaggia i classici al punto giusto senza scadere mai nel plagio; la figura di Keanu Reeves, unico occidentale in un cast tutto orientale, aiuta in questo senso, e il film non ha bisogno di molto di più che una scusa per inscenare una serie di combattimenti via via sempre più assurdi. Ed è qui che il nostro eroe Keanu dimostra di saperci fare, o quantomeno di aver studiato approfonditamente i modelli a cui si ispira.

Reeves conosce la grammatica dei film di arti marziali e lo dimostra nel modo in cui compone le inquadrature e muove la macchina da presa intorno ai due (tre, a un certo punto, in quello che è senza dubbio il combattimento migliore del film) lottatori. Sa che in un film come Man of Tai Chi la chiarezza dell’azione è fondamentale, e usa questa consapevolezza a suo vantaggio: i primi combattimenti, nei quali Tiger rispetta la regole impostegli dal maestro e dal suo stesso onore, sono tutti girati con movimenti lenti e armoniosi, e man mano che il film procede e Tiger perde il contatto con la forma per avvicinarsi pericolosamente a diventare un semplice killer che mena bene, anche le riprese diventano più dinamiche, mosse, sfocate, confusionarie – salvo raddrizzarsi quando il protagonista ritrova il suo equilibrio interiore.

Tiger Chen

È lo stesso approccio con cui Chad Stahelski ha trasformato una storia semplicissima (criminali ammazzano cane, padrone di cane ammazza criminali) in uno dei capisaldi dell’action moderna: lasciar parlare la fisicità degli attori, i loro movimenti, mettere il film al servizio delle botte e non il contrario. Non citiamo John Wick per caso: esteticamente, nella scelta delle ambientazioni e delle luci e dei colori, Man of Tai Chi è molto poco cinese e molto americano, e fa un uso/abuso di neon, silhouette e contrasti fortissimi che non può non ricordare proprio il film che ha definitivamente trasformato Keanu Reeves in una star dell’action. C’è un lungo filo rosso che parte da Matrix e arriva fino a quel momento, e Man of Tai Chi è uno degli snodi decisivi di questo percorso; peccato che così poca gente se ne ricordi.

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