Malèna è un film sull’amore e sulle biciclette 

Malèna non è invecchiato bene. L'erotismo manicheo lascia il posto a un oggetto simbolo della crescita ben più interessante: la bicicletta

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Ora sei un uomo pure tu” dicono gli amici al dodicenne Renato Amoroso dopo che si presenta a loro con la sua nuova bicicletta. Può così seguirli nell’attività con cui si intrattengono nei lunghi e soleggiati pomeriggi di Castelcutò. In questa cittadina immaginaria della Sicilia c’è una bomba ad orologeria: Malèna (Monica Bellucci). La donna di cui tutti si innamorano, un fantasma che si aggira, aliena, distante e bellissima. I ragazzi la guardano passare per dare un senso alle loro giornate.

Malèna è una bomba in attesa di scoppiare, proprio come accede ne La spina del diavolo di Guillermo del Toro, che uscirà un anno dopo nel 2001. Lì un ordigno inesploso sì è incastrato al centro di un orfanotrofio sul finire della guerra civile spagnola. Nel film di Tornatore, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, la donna più bella del paese resta senza marito dato morto in guerra. Diventa oggetto di uno sguardo colpevole senza più vergogna, voyeurismo che diventa azione, stupro, invidia. Malèna cammina e basta, parla pochissimo, con le sue forme distrugge il velo di perbenismo dei suoi concittadini. Fa sognare, e mentre la gente sogna, l'equilibrio della società implode.

L'erotismo nostalgico di Malèna

Sempre attratto dal tema del sogno e del cinema, Tornatore prende le mosse dal ricordo del suo sceneggiatore Luciano Vincenzoni. Inizia così l’ennesimo flashback nostalgico della sua filmografia. L’educazione allo sguardo di Renato, che scopre la sessualità da una distanza cinematografica. È un osservatore mai protagonista della scena. Forse è anche lui un fantasma. O forse siamo noi, spettatori paganti, curiosi e ingordi, che esercitiamo il pieno potere dei nostri occhi. 

Mentre scopre i propri desideri, tra grottesche masturbazioni e sogni ad occhi aperti, il piccolo Renato è accompagnato dalla sua bicicletta. Gira nella scena come un regista va da un’inquadratura all’altra solo grazie al suo mezzo di trasporto. Un oggetto quasi erotico. 

La accarezza, la cura, sputa nella catena con passione per oliarla e la comanda come se fosse un’estensione di sé. Non più bambino, non ancora uomo, Renato vuole i pantaloni lunghi. Il suo desiderio carnale va oltre l’essere soddisfatto nel piacere: vuole invece sostituirsi al marito del suo sogno erotico, darle quello che lui non può.  E per farlo si tiene attaccato alla sua bicicletta, con cui compie piccoli furterelli della biancheria, incontra amici, entra in luoghi proibiti. Grazie alle due ruote riesce persino a seguire come in un lungo dolly, tutte le vicende del paese. Pedalando riesce ad essere più veloce dei suoi compaesani. Ascolta tutto, capisce come funziona il mondo. Prima prende in giro il professore, padre di Malèna, come tutti i suoi compagni. Però poi simpatizza per lui, quando scopre che la casa frequentata dalla ragazza è quella del genitore, invece che quella di un temuto amante.

Hai voluto la bicicletta... ora vivi!

La bicicletta è così un insolito simbolo fallico, legato alla libertà dello sguardo. Quando puoi andare dove vuoi, puoi anche vedere tutto quello che desideri. Non è solo questo: il film di Tornatore è profondamente imperfetto, come L’uomo delle stelle si incarta sulla sua stessa idea, fatica a procedere, ad evolversi oltre la situazione di partenza. Si innamora così tanto della sua forza simbolica che, proprio come il protagonista, ne rimane ossessionato e immobilizzato. Capisce la sensualità di Monica Bellucci e la usa nel modo giusto, lasciandola però sempre troppo distante. È impossibile empatizzare con lei più di come si potrebbe farlo con un'ideale di donna perfetta cantata dai poeti. Lei, angelicata, esclude però tutte le altre, che non sono libere ma succubi del patriarcato. Le invidiose. 

Però Malèna è soprattutto un film di sensazioni, acuite dalla fotografia morbida di Lajos Koltai e dal ferro e dalla polvere che circonda Renato.

Il suo piacere è fatto di cigolii della rete arrugginita del letto, di mancanza di lubrificante, di movimento ma anche di mancanza di interazione corporea. La bicicletta è quello che fu il cinema per la generazione della guerra: la scoperta di poter riempire gli occhi di tutto il mondo, senza interagire con esso. Il sesso passivo, disincarnato, messo in scena da Tornatore nell’anno del 2000 è anche quello del futuro. Quello che viviamo oggi. 

Così, sempre caricato dall’eccessiva voglia di costruire scene madri, il film è oggi una riflessione un po’ inattuale e troppo manichea rispetto al mondo maschile. Il punto di vista soggettivo e la fantasia avrebbero richiesto un terzo soggetto, che potesse raccontare la sua storia, cioè la donna stessa.

Resta ancora molto valido invece come romanzo di formazione: nel cinema contemporaneo la crescita è raccontata molto meno come uno sviluppo affettivo. I registi tendono a usare i valori acquisiti, le avventure trascorse, come catalizzatore di un cambiamento. Invece, come dice correttamente Tornatore, quando si cresce cambiano i sentimenti, molto più delle cose che si fanno.

Perciò Malèna è un film retto dalla presenza affascinante di Monica Bellucci e da una bicicletta. Regalata all’inizio, è lo strumento con cui alla fine Renato si avvicina alla ragazza di cui era stato infatuato. La aiuta a raccogliere le arance cadute e le tocca, per la prima volta, la mano. Il cinema finisce qui, per lui inizia la vita vera. Rimonta in sella, grato per quella relazione avvenuta solamente nei suoi sensi più astratti, e si allontana nella direzione opposta verso l’età adulta. Abbandona la fantasia infantile e va avanti. Sempre in bicicletta, ovviamente.

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