Mafia: Definitive Edition, riflessioni sulla serie in vista del remake | Speciale
Un po' di considerazioni sparse su tutta la serie di Illusion Softwork dopo l'annuncio della Mafia Trilogy e di Mafia: Definitive Edition
Basti pensare al contesto in cui è uscito il primo capitolo, ovvero all’inizio del nuovo millennio, in cui i videogiochi cominciavano a penetrare in maniera sempre più massiccia nella società. In quel periodo, il re della criminalità organizzata videoludica era senza dubbio Grand Theft Auto, passato al mondo aperto in 3D con GTA 3 nel 2001, in seguito arricchito e caratterizzato in salsa anni Ottanta con l’iconico GTA: Vice City nel 2002. In quello stesso anno veniva pubblicato un titolo realizzato da un piccolo team con sede in Repubblica Ceca, Illusion Softworks, che riprendeva gli stilemi cinematografici di pietre miliari come Il padrino di Francis Ford Coppola e Quei Bravi Ragazzi di Martin Scorsese per raccontare la storia dell’ex tassista Tommy Angelo, ambientata negli Stati Uniti degli anni Trenta.
Mafia: The City of Lost Heaven consentiva di vivere in prima persona la gerarchia mafiosa italoamericana dall’interno. Un minestrone intrigante che univa i simboli del gangsterismo – proibizionismo, mitra Thompson, completi in gessato e agguati in auto d’epoca – a una struttura semi-open world che permetteva di godere dell’atmosfera tipica di una fittizia Chicago degli anni Trenta. Il tutto unito dal concetto di onore e rispetto che tanto piace al pubblico. Un esperimento senz’altro riuscito (su PC, non tanto su console), sia dal punto di vista narrativo che ludico.
Nel caso di Mafia II, pur raccontando la storia di Vito Scaletta, emigrato da bambino dalla Sicilia a un’immaginaria New York, il gioco si addentra ancor più in profondità nella rappresentazione della vita malavitosa, tra riti con immaginette sacre bruciate e baci sulle mani, lotte e accordi con altre gang di diverse etnie (afroamericani, irlandesi, cinesi, ebrei), scene pittoresche della Little Italy newyorkese, più un rimando alla terra d’origine del protagonista, la Sicilia, schiacciata da mafia locale (anche qui con riferimenti a criminali realmente esistiti) e fascismo. Del resto, l’arco narrativo del gioco parte proprio dalla Seconda Guerra mondiale, per poi proseguire fino agli anni Cinquanta. Forse, è per tutti questi motivi - che vanno ad enfatizzare il fascino della malavita italoamericana, che l’uscita di Mafia II, risalente al 2010, ha suscitato numerose polemiche tra la comunità italoamericana, indignata di vedere una loro rappresentazione negativa all’interno di un videogioco.
L’attenzione al contesto storico è senza dubbio la peculiarità di Mafia III, che crea un vero punto di rottura con i due capitoli precedenti attraverso tre interessanti elementi. Il primo è il periodo d’ambientazione: a differenza di Mafia e Mafia II, che spalmano la trama lungo diversi anni, le vicende del tre si snodano durante il 1968. Il secondo è il protagonista, che non è più un criminale di origine italiana dedito alla scalata tra i ranghi della malavita, ma è Lincoln Clay, afroamericano reduce della Guerra del Vietnam che opera per mera vendetta contro la famiglia Marcano. Infine, lo stile narrativo, che abbandona l’impostazione tipica delle pellicole menzionate all’inizio e adotta un approccio più documentaristico con la giusta intromissione di flashforward.
Del resto, il 1968 è l’anno delle contestazioni femministe, pacifiste, studentesche. È l’anno in cui viene assassinato Martin Luther King, e la comunità afroamericana è in fermento, nonostante nel Sud degli Stati Uniti la cosa non sia ben accetta. E infatti Mafia III è ambientata in una New Orleans rinominata in New Bordeoux per dare una rappresentazione forte su un tema delicato quale il razzismo, che ha influenze dirette anche sulle meccaniche di gioco. Tuttavia, il problema dell’ultimo capitolo della trilogia è l’aver ridotto all’osso l’interazione col mondo aperto e, soprattutto, la varietà della missioni, riassumibili in distrarre il nemico con un fischio per poi colpirlo alle spalle. Ecco quindi spiegato perché, nonostante l’eccelso lavoro di ricostruzione storica compiuto da Hangar 13, Mafia III è il capitolo meno apprezzato della serie.
L’evoluzione del brand Mafia avrà quindi ripercussioni sul remake di Mafia: The City of Lost Heaven? Il timore maggiore è quello di ritrovarsi una versione sì arricchita dell’originale dal punto di vista quantitativo (mappa più grande e numero maggiore di missioni) ma svuotata della sua essenza, all’epoca resa fascinosa dalla novità del periodo d’uscita. Per tale ragione l’augurio più grande è vedere confluire nel remake sia la maturità narrativa acquisita dal brand nel corso degli anni, sia il desiderio di osare e sperimentare che ha caratterizzato il suo l’esordio.
Visivamente il titolo sembra meraviglioso, bisogna capire se, oltre alla lucentezza delle auto d’epoca, Lost Heaven sarà pronta ad accogliere una storia ancora più matura e coinvolgente. Considerando poi che dietro lo sviluppo c’è sempre Hangar 13, è normale aspettarsi una rappresentazione del contesto storico importante. Il dubbio resta sulle meccaniche di gameplay, ancora avvolte dal mistero, dato che sinora 2K ha solo rilasciato un teaser di appena 22 secondi. Intanto, per chi non ha la pazienza di attendere il rilascio del remake e ha voglia di capire come è cambiata la serie, può già giocare alle Definitive Edition di Mafia II e Mafia III, la prima una remaster la seconda un’edizione completa del gioco uscito nel 2016, pubblicate lo scorso 19 maggio su PC e console.