Ma Lebanon merita il Leone d'oro?

Secondo Ang Lee, presidente di giuria al Festival di Venezia, il Leone d'oro a Lebanon è stata una scelta condivisa da tutti. Ma francamente, dopo averlo visto, mi permetto di esprimere forti dubbi...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Non c'è dubbio che spesso le scelte dei Festival sono fortemente politicizzate, magari verso dei prodotti che prendono posizione contro le guerre, i tiranni, l'inquinamento e tante altre (brutte) cose. E' un atteggiamento dovuto spesso anche alla composizione delle giurie, che oltre ad addetti ai lavori in campo cinematografico, vedono presenti anche artisti e intellettuali vari.

Ho il sospetto che qualcosa del genere sia successo anche per Lebanon, la pellicola dell'esordiente Samuel Maoz che ha sbancato a Venezia, suscitando un'unanimità nella giuria che non si è ripetuta per nessun altro premio assegnato. D'altronde, non è difficile capire quali siano i meriti di questo prodotto. Intanto, un regista israeliano che, dopo l'ottimo Valzer con Bashir, affronta nuovamente con sguardo critico la guerra del Libano di quasi trent'anni fa, senza aver paura di mostrare per esempio l'utilizzo di bombe al fosforo (proibite dalla convenzione di Ginevra). Inoltre, il lavoro registico è sicuramente di primo livello, considerando le difficoltà di realizzare una pellicola quasi completamente dall'interno di un carro armato. E una certa ironia e disincanto di fondo sicuramente sono apprezzabili, quantomeno per allentare un po' la tensione (che però, va detto, non raggiunge quasi mai i picchi sperati).

Ma diverse cose importanti non funzionano. I primi venti minuti, in questo senso, sono i peggiori e forse sono anche quelli che mi hanno fatto uscire quasi immediatamente dalla pellicola. Mi riferisco soprattutto a una sequenza in cui all'interno del carro armato bisogna fare delle scelte importanti, cosa che dà vita a una serie di risultati assolutamente scontati e didascalici, come se il regista ci volesse fare una lezioncina sulle vittime della guerra. E non va molto meglio di fronte all'assedio di un palazzo, dove alcune sequenze sembrano un po' gratuite.

Soprattutto, a forza di vedere il mondo esterno dal mirino, hai la sensazione di essere un guardone. Mi viene da pensare che questa riflessione metacinematografica abbia eccitato i giurati, ma io ho avuto l'impressione che spesso sia stata utilizzata a a sproposito, tanto da far uscire il pubblico dalla vicenda. E, nonostante i 90 minuti di durata, la trama è comunque un po' troppo esile, tanto che in un paio di casi il brodo viene allungato con aneddoti poco convincenti. Per non parlare della credibilità dei soldati nel carro armato, che per certi loro comportamenti dovrebbero finire davanti alla corte marziale. Di sicuro, se questo è il livello dei militari, non si capisce bene come Israele sia potuta rimanere sulle mappe in questi ultimi quarant'anni.

In fin dei conti, ci troviamo di fronte a un esordio interessante e che sicuramente in condizioni normali farebbe aspettare con grande curiosità i prossimi titoli del regista. Ma Leone d'oro? Spero proprio che non sia il miglior film della rassegna, altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi...

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