L'uomo delle stelle: il cinema per Tornatore è una lente che rompe le maschere

L'uomo delle stelle è tutto nelle sue domande: cosa fa il cinema alle persone? La lente distorce o toglie maschere? Un film è verità?

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Anche nella miseria, negli angoli più reconditi e nei paesi sperduti, dove la scolarizzazione è al minimo e si vive alla giornata, l’arte attrae a se come un nutrimento delizioso. L’immagine più presente dentro L’uomo delle stelle, il film di Giuseppe Tornatore del 1995, da poco disponibile su Amazon Prime Video, è quella della folla.

Sergio Castellitto è Joe Morelli, un truffatore da poco. Si spaccia come talent scout della Universalia Cinematografica. Gira con il furgone chiedendo soldi in cambio di provini. Promette fama, gloria, successo alla moltitudine di persone che si accalca di fronte a lui. Quello che gli viene dato in cambio, oltre al denaro, è invece qualcosa di molto diverso. È la sincerità.

In ogni film di Tornatore c’è una fiducia assoluta nel potere delle immagini. Altre volte sono le storie, la musica, le emozioni. Il concetto non cambia. Lui inserisce gli elementi costituenti del cinema come un oggetto che smuove le acque. Si realizza nel romanticismo nostalgico di Nuovo cinema paradiso o nella capacità del video che rendere immortali ne La corrispondenza. L’uomo delle stelle, Joe, è un uomo che sa guardare. “Che faccia!” dice a coloro che incontra. Non arriveremo mai a capire se sia un’autentico istinto o sia una strategia di sopravvivenza (o di marketing) che lo porta a lusingare l’interlocutore.

Che effetto fa il cinema sulle persone?

Siamo nella Sicilia degli anni 50. Una terra ancora allo stato essenziale, che vive di bisogni primari espressi in uno stentato italiano e fluidamente in dialetto. Joe, lo straniero che guarda le persone, attira l’attenzione ed è visto a sua volta. Intorno alla cinepresa si radunano tutte le speranze del paese. E in quel momento, come per magia, accade un qualcosa di inaspettato: si arriva alla verità.

Nella retorica (qui eccessiva) di Tornatore, l'atto di cattura dei volti sulla pellicola è ben più interessante del suo protagonista, solo abbozzato. Un semplice esecutore, che a volte sembra godere proprio dalle sequenze che riesce a inquadrare e a volte pare all’opposto, completamente ignaro del patrimonio umano che ha incrociato.

Gli attori si mettono delle maschere per fare il loro lavoro. La gente povera, invece, mantiene una spontaneità rarissima. È come se lo sguardo interrogativo della cinepresa li mettesse sotto inchiesta e loro, come reazione, svelassero la parte più autentica di sé. Le ragazze affidano i loro tormenti amorosi alle parole di Rossella O’Hara in Via col vento, energumeni crollano e ammettono balbettando il loro imbarazzo. Addirittura chi è creduto muto parla, canta i propri ideali, li confessa alla pellicola.

L'uomo delle stelle è troppo concetto e poco sviluppo

Il problema è che dietro a L’uomo delle stelle c’è un concetto molto più forte del film che lo sorregge. Così la sua spinta si esaurisce tutta nell’idea, nella sua filosofia. La poetica fatica a rinnovarsi mentre si protrae, identica a se stessa, verso il finale. Ne esce così un progetto affascinante, ma che risulta finto, nella disperata ricerca di un’emozione. È tipica dello stile di Tornatore questa carica sentimentale, lui è uno che non ha paura di portare il cinema alle sue vette melodrammatiche. Solo però quando si è investiti nella storia si può accettare però di sentire, gridato e ostentato, ciò che il regista vuole dire. 

Qui, tra i tanti caratteri che si affastellano manca proprio quello che il film vorrebbe cercare: l’autenticità. Perché nonostante si rivelino a Joe per quello che sono, tutti i paesani risultano soggetti troppo scritti e pensati per sembrare veri. Salta alla mente così una splendida scena di Uomini di domenica, di Siodmak e Ulmer. Un’opera senza attori, con stile semidocumentaristico, che segue tante esistenze in maniera discreta, allontanandosi per cercare la sincerità. La gente sta cambiando nella Germania dopo la guerra e così nasce il proposito di catturare quell’istante nel tempo. Entriamo in una macchina fotografica, assistiamo a una rapida sequenza di volti. Noi spettatori e loro soggetti ci guardiamo in faccia. Un attimo fugace, per poi tornare indagare quello che succede lontano dalla lente dell’obiettivo.

L’uomo delle stelle è invece un film esclusivamente sul cinema, unico protagonista in controllo di quello che sta succedendo. Pure lui cambia, trasportato qua e là dall’operatore. Ed è questa l’idea principale, la più bella, e quella che rende questa pellicola imperfetta ancora degna di essere osservata. Cioè che il cinema non è un oggetto fermo, immobile che immobilizza nel tempo. È piuttosto un qualcosa che si lascia plasmare, piano piano, dalle facce che incontra e che, di sovraesposizione in sovraesposizione, catturano un piccolo mondo antico in un unico, ricchissimo, fotogramma. La pellicola scade. Il cinema no.

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