L’ultimo boy scout è un gran film ma è soprattutto un miracolo

L’ultimo boy scout di Tony Scott esiste nonostante una delle produzioni più travagliate di sempre, e a noi va benissimo così

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L’ultimo boy scout va in onda su Iris questa sera alle 21:00 e in replica sabato alle 11:06

L’ultimo boy scout è un film che esiste, e già di questo dovremmo rendere grazie alle divinità del cinema, perché se aveste fatto un salto sul set del film nel 1991 avreste passato tutto il viaggio di ritorno a chiedervi “ma pensano davvero di portarla a casa?”

L’ultimo boy scout atto 1: Shane Black

Sesto film del compianto Tony Scott, arrivato ad appena un anno dal successo di Giorni di tuono e dal flop di Vendetta, L’ultimo boy scout (guarda il trailer) è un punto di svolta e un’evoluzione di quel genere che fin lì era stato definito “buddy cop”, e che Shane Black decise di decostruire e rimontare da capo in un periodo particolarmente buio della sua vita.

Black, sceneggiatore-prodigio che aveva dato tantissimo al genere già a 22 anni scrivendo Arma letale – in un periodo nel quale aveva anche scritto il film di Halloween perfetto cioè Scuola di mostri, peraltro –, veniva, come racconta lui stesso, dalla tormentata fine di una lunga relazione, che lo fece precipitare in un buco nero creativo ed esistenziale dal quale uscì solo scrivendo la prima stesura di una sceneggiatura che aveva deciso di chiamare Die Hard.

ultimo boy scout Willis

L’ultimo boy scout atto 2: Bruce Willis e Marlon Wayans

Die Hard (il titolo ovviamente finirà altrove, e al suo posto il film diventerà L’ultimo boy scout) è la storia di un tipico personaggio shaneblackiano, un detective fallito, il tipo di persona che si guarda allo specchio la mattina e si dice “non piaci a nessuno”, il quale si trova a lavorare controvoglia insieme a un tizio che è apparentemente il suo opposto polare e con il quale sviluppa, esplosione dopo esplosione, una virilissima e assolutamente non omoerotica amicizia (è proprio per questo che i due sentono la necessità di ribadire “non sono gay” tutte le volte che possono) che permetterà loro di trionfare sul cattivo di turno, che come da tradizione hard boiled e come piace sempre fare a Shane Black è al centro di una cospirazione intricata e stratificata che coinvolge l’intero spettro sociale, dai pesci più piccoli ai senatori.

Quello che distingue però la sceneggiatura di L’ultimo boy scout, che Black riuscì a vendere per la cifra record di 1,75 milioni di dollari, dalle sue opere precedenti e dagli altri rappresentanti del genere è la volontà dell’autore di allontanarsi da certi archetipi per stravolgerli e reimmaginarli. I protagonisti dei film di Black sono sempre stati dei simpatici perdenti con la battuta sempre pronta, ma Joe Hallenbeck, il detective privato interpretato da Bruce Willis, è uno sgradevolissimo perdente con la battuta sempre pronta; è antipatico, è uno sconfitto e consapevole di esserlo, e che prende la cosa non con ironia e ottimismo ma con quel nichilismo che solo una persona che raccoglie da un vicolo un mozzicone di sigaretta mezzo calpestato per fare l’ultimo tiro può esprimere.

E anche l’altra parte dell’equazione del buddy cop tradizionale viene ribaltata dalla presenza di Jimmy Dix (Damon Wayans, che al tempo era noto soprattutto come comico), non un poliziotto ma un civile che viene trascinato in un vortice di corruzione e violenza dopo che i criminali di turno gli ammazzano la fidanzata Cory (Halle Berry, in un debutto cinematografico caratterizzato da poche parole e ancora meno vestiti: i film di Shane Black non hanno mai brillato per femminismo, e L’ultimo boy scout è forse l’apice della sua misoginia). La formula tradizionale del buddy cop prevede due poliziotti molto diversi nei metodi e nel carattere che trovano il modo di lavorare insieme nonostante le differenze; L’ultimo boy scout prevede invece un poliziotto e un civile che scoprono di essere molto più simili di quanto pensassero.

Willis Wayans

Interruzione (ispirata a Boris)

Abbiamo detto di com’è stato scritto il film, e abbiamo detto di come sono stati caratterizzati i due protagonisti – se vi state chiedendo come siano stati scelti, Willis ha accettato a patto che la sceneggiatura venisse cambiata e il suo personaggio non dovesse più salvare la moglie come inizialmente previsto, perché non voleva rifare Die Hard, mentre Wayans ha ricevuto la proposta e ha accettato. Il vero problema di L’ultimo boy scout, però, è com’è stato girato, perché il set era, nelle parole dell’aiuto regista James Skotchdopole, “ripieno di maschi alfa”.

La storia delle riprese di L’ultimo boy scout è una storia di piedi pestati, confini superati e di gente che vuole fare il mestiere di altra gente. Shane Black dovette riscrivere più volte intere sequenze, compreso tutto il terzo atto, per accomodare le richieste di Bruce Willis e della produzione. Willis e Damon Wayans, che sullo schermo hanno un’alchimia perfetta che è un misto di affetto e fastidio per la presenza sulla Terra dell’altro, sul set lasciavano da parte l’affetto e passavano il tempo a odiarsi. E poi c’era Joel Silver, produttore con il vizio di voler dire la sua su tutto, che secondo Taylor Negron (che nel film è Milo, il capo degli scagnozzi del cattivo) era “un pazzo, con qualche momento di lucidità”, e che passò metà delle riprese a spiegare al regista come avrebbe dovuto girare ogni scena.

ultimo boy scout coppia

L’ultimo boy scout atto 3: Tony Scott

E per fortuna che su quella sedia c’era Tony Scott, il vero motivo per cui L’ultimo boy scout sta in piedi nonostante sia uno degli edifici creativi più traballanti degli interi anni Novanta. Scott si era innamorato del progetto perché gli avrebbe consentito di mettere alla prova il suo stile barocco e massimalista in un contesto per lui nuovo, più cupo e violento; e quindi se ne fregò di Silver, dei litigi tra Willis e Wayans, di Shane Black che continuava a lamentarsi che gli facevano riscrivere lo script, per concentrarsi esclusivamente sul film, e applicare la sua filosofia creativa a questa storia di football, corruzione e tredicenni che dicono le parolacce.

E la filosofia creativa di Scott, se lo conoscete già lo sapete, è che non esiste una sequenza che si possa girare con una macchina da presa che non possa venire migliorata dall’utilizzo di altre tre o quattro macchine da presa; non esiste eccesso che non si possa far ulteriormente eccedere con l’utilizzo di un’esplosione ben piazzata, né limite ai punti di vista su uno scontro frontale tra due macchine lanciate a tutta velocità che non si possa superare frantumando ulteriormente l’immagine. Tony Scott era un cubista, uno che guardava la realtà da tutti i punti di vista contemporaneamente e così si immaginava la narrazione cinematografica; e L’ultimo boy scout gli diede l’occasione di esprimersi al meglio, in quello che a livello puramente spettacolare è forse il suo film migliore (o quantomeno il più divertente).

La bulimia creativa di Scott è anche il motivo per cui L’ultimo boy scout richiese così tanto tempo, e così tanta gente, in post-produzione (il montaggio originale venne catalogato come “inguardabile” dalla produzione): la versione che abbiamo oggi mostra ancora qui e là qualche cicatrice dovuta a questo o a quel taglio, e alla fatica di assemblare l’immensa quantità di materiale che era stato girato per il film. Eppure se il film fosse stato diverso, più misurato, meno estremo, magari meno violento, magari montato meglio, se avesse avuto un protagonista più simpatico, se la trama fosse stata più meno volutamente intricata e più comprensibile, non sarebbe stato L’ultimo boy scout, ma solo un altro bel film action.

ultimo boy scout Chelsea Field

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