Loki: cosa deve fare un attore o un’attrice per interpretare il Dio dell’Inganno?

In Loki 1x03 il confronto tra Tom Hiddleston e Sophia Di Martino ci fa scoprire gli elementi imprescindibili per dar vita al personaggio

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Con l’ingresso nella serie di Sophia Di Martino (nei panni di Sylvie), Loki si confronta con una versione alternativa di se stesso. Non è la prima volta che l’MCU propone interpretazioni differenti dello stesso personaggio. Captain America, Gamora, Thanos, Visione, dopo anni di lotte contro chiunque è il momento di fare i conti con il passato.

Nessuna nuova versione ha però la portata di Sylvie. 

Il primo motivo è che, nella serie di Loki, il protagonista stesso è una variante, una versione diversa da quella che abbiamo conosciuto. Sylvie non è quindi la seconda, ma (almeno) la terza interpretazione del Dio dell’Inganno. Tom Hiddleston ha dato consistenza tra i film e la serie, pur modificando alcuni tratti della sua interpretazione. Ma quello è. Grossomodo è lui che abbiamo imparato ad amare e, pur con qualche differenza caratteriale, non ci sono particolari sconvolgimenti. 

Sophia Di Martino ha invece un altro compito: nemmeno lei deve cambiare direzione, ma deve essere un personaggio completamente nuovo pur restando coerente con il nome che porta. Per la sua Sylvie deve trovare i tratti che segnano Loki e poi farli suoi. Deve essere diversa ma avere un'ombra in comune con tutti gli altri. Che cosa non può mancare nel portare in scena il figlio di Laufey e Odino? Il colore verde, le corna, qualche potere… ma c’è molto altro!

Paragonando le performance di Di Martino e Hiddleston si può trovare il minimo comune denominatore. Quello che ci fa vedere Loki anche quando ha un corpo diverso da quello che conosciamo. Attenzione però, la nuova attrice non imita, ma coglie alcuni tic e posizioni per poi reinterpretarli abilmente.

Loki è bisessuale la conferma nell'episodio 1x03

Per prima cosa a un (o una) Loki non può mancare il sorriso. È la barriera più forte, una poker face di chi, anche nelle situazioni più difficili, sembra sapere esattamente cosa fare. Non è un sorriso di sfida, nemmeno uno a piena dentatura esposta. Non deve per forza sembrare saccente. È uno sguardo furbo, acuto, di chi ne ha passate tante e ne è uscito sempre indenne. 

Le emozioni dei Loki non sono mai chiare. I sentimenti sono vulnerabilità per il Dio dell’Inganno. Per questo, paradossalmente, continua a mostrarli in maniera esagerata!

È teatrale e quindi il più delle volte artificiale. Non gli si crede quando sta bene (in Thor: The Dark World usa la magia per nascondere il suo dolore). Ancora di meno gli si crede quando si dichiara affranto o pentito. Egli sa generare compassione, è abilissimo nel trovare la simpatia dell’interlocutore. Ma è manipolativo, quasi mai rispettoso del vissuto altrui. Non sa come gestirlo se non usarlo per i propri scopi. Le sue parole sono inaffidabili, ma c’è un’altra via per accedere alla sua vera personalità. In Thor: Ragnarok il fratello avrà prova del suo affetto tramite un gesto (la palla fermata grazie alla presenza concreta di Loki nello spazio) e non con parole o lacrime di commozione. Le azioni sono più autentiche dei molti proclami retorici. Il suo sacrificio con Thanos è vero, quello che gli dice prima di colpirlo no.

I movimenti di Loki sono quelli di un serpente e sono scattanti come un mago. Non è armonioso, spesso è quasi goffo, sembra sempre sul punto di inciampare o toccare qualcosa di sbagliato. Ma sono trucchi di un prestigiatore. Il passaggio dalla posa “A” alla posa “B” è rapidissimo. Ma poi, come un mimo, si ferma. Si attorciglia quasi strisciando intorno all’interlocutore. Gli parla all’orecchio destro e poi a quello sinistro. Ed è rapidissimo, freddo, essenziale. È il suo trucco di magia. Sia Sylvie che Loki tirano fuori le carte nella manica, fanno i loro inganni, saltando rapidamente da uno stato all’altro con piccoli cambiamenti impercettibili. Stordiscono e vincono.

Anche la parola è rapida. Non è mai di troppe parole, a parte quando si sta divertendo. Ci sono i grandi discorsi pomposi ed esagerati, ma quando la situazione rischia di andare fuori controllo i Loki sono minimali. Lasciano che sia l’avversario a parlare. Chi si espone di più ha più possibilità di rivelare qualcosa che non dovrebbe. Chi cerca l’inganno invece resta abbottonato e non concede una vera conoscenza.

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L’accento british di Tom Hiddleston ha charme, è seduttivo. Sylvie parla allo stesso modo, con un’impostazione teatrale volutamente artificiale. Gesticola spesso, ma c’è parecchio controllo a livello di braccia e mani. Non sono questi però i principali punti di espressività, ma le sopracciglia. Lo sguardo fisso sull’interlocutore significa sicurezza ed è un modo per intimidire. L’arcata occhi, naso, bocca è quasi robotica. Le sopracciglia invece si contraggono e si alzano con un’impressione molto cartoonesca. È tipico di chi imita le emozioni osservandole negli altri, ma non le vive appieno. 

Loki ha una personalità così strabordante che lo impegna 24 ore al giorno. È introverso, possiede un ego smisurato, conosce benissimo quello che è e sa i propri limiti e le doti. Per una persona che passa la vita a macchinare trame segrete non è semplice fidarsi. Fatica a credere che il pensiero altrui possa essere lineare, non “curvo” e trasversale come il suo. Per questo Loki è fondamentalmente un timido. Come dice nel primo episodio della serie la violenza è la sua arma di difesa. Vuole regnare, brama il successo, ma fino ad allora non può essere al centro della scena. Deve passare inosservato per poter raggiungere i suoi loschi scopi. 

Entrambi i Loki si nascondono: Sylvie lo fa celandosi nelle apocalissi. Il suo omologo invece applicando il principio morettiano del “mi si nota di più se vengo e resto in disparte o se non vengo per niente?” Ovviamente per Loki è il contrario: non vuole farsi vedere, deve mimetizzarsi. Il Dio dell’Inganno scompare così nella folla integrandosi camaleonticamente. È uno di loro. Beve, fa festa (da buon Asgardiano), prende il controllo di quello che sta succedendo e, così facendo, guida la situazione ed elimina ogni variabile. O forse anche ogni variante.

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