Lo Hobbit: trilogia sì o trilogia no?

Con La Battaglia delle Cinque Armate giunge a conclusione la trilogia dello Hobbit. Opera, operazione? Ecco cosa ne pensiamo

Mi occupo di Badtaste dal 2004 con l'aiuto di un grande team.


Condividi
Con l'uscita della Battaglia delle Cinque Armate si chiude la trilogia dello Hobbit, adattamento in tre parti del romanzo di J.R.R. Tolkien conosciuto in tutto il mondo.

Sin da quando venne annunciata la realizzazione di due film, in molti si chiesero se avrebbe avuto senso dividere in due l'adattamento di un libro di poco più di 300 pagine. Nell'estate del 2012, però, a pochi mesi dall'uscita del primo film, la Warner Bros. e Peter Jackson annunciarono di voler realizzare una trilogia e che qualche mese più tardi si sarebbero svolte alcune riprese aggiuntive.

I tre film sono usciti, e ora siamo finalmente in grado di giudicare l'opera complessiva. Ecco quindi il nostro giudizio sull'operazione in sè.

Gabriele Niola

C’era il sapore della rivincita storica in questa trilogia tratta da un libro sottile sottile. Il vecchissimo paradigma per il quale i libri sono “sempre meglio” del film che ne viene tratto attinge anche all’ampiezza decisamente superiore delle pubblicazioni stampate rispetto ai lungometraggi. Jackson sembrava voler ribaltare tutto. Non un film tratto da una novella (così grande da ampliare necessariamente quel che è uno spunto) ma una trilogia che adatti una storia intera, sfruttando anche le possibilità di creare ponti narrativi inediti con Il signore degli anelli. Era insomma qualcosa di obiettivamente interessante e stimolante.

Dopo il primo film sembrava che questo “passo lento” funzionasse molto, era coinvolgente, era completo, era esaustivo e addirittura si fermava a dilungarsi là dove il libro passa rapidamente. Dopo il secondo c’era l’impressione che senza un villain vero e proprio, senza Smaug o la tensione verso l’arrivo a Smaug, il ritmo latitasse e le idee iniettate non fossero all’altezza. Con il terzo e ultimo lungometraggio è risultato oltremodo evidente che non era il caso di fare tre film, che due (la cifra originariamente prevista) era il numero corretto. Il pensiero più ovvio è che nessuno abbia resistito alla parola “esalogia” e all’idea di “un boxoffice in più”, il rimpianto più grande è di aver chiuso questa grande impresa in maniera così noiosa.

hobbitbilbo spot

Alessia Pelonzi

Trilogia sì o trilogia no? Cercando di schermare i timpani dall'inno gregoriano a base di no che si alza potente da ogni angolo del pianeta, occorre partire da un presupposto: inutile tirare in ballo l'impietoso il paragone con la Trilogia dell'Anello. Per la struttura narrativa dei romanzi d'origine, Il Signore degli Anelli aveva una suddivisione che costituiva un indiscutibile vantaggio rispetto a Lo Hobbit, vantaggio che emerge andando ad analizzare l'arco narrativo dei singoli episodi. La nuova trilogia di Jackson paga il prezzo di un adattamento "in fieri" da dittico a trilogia, che crea uno squilibrio tra i primi due episodi e il frenetico epilogo.

Nessuno dei tre capitoli risulta tuttavia gravato da una carenza di materiale a livello di plot, anzi: il peccato mortale dell'ultimo film è, di fatto, una rapidità che precipita la trama verso la conclusione con un ritmo di corsa non solo sconosciuto ai primi due episodi, ma all'intera esalogia. Anziché dilungarsi, Jackson riassume, e il risultato è denso e ricco. Non è sede questa per giudicare la bellezza o la forza drammatica dei singoli accadimenti della trilogia dello Hobbit; quel che emerge è che, di eventi, ce ne sono a sufficienza da giustificare la scelta della tripartizione.

Mirko D'Alessio

E' difficile, in qualità di fan, provare sentimenti diversi da delusione e tradimento dopo la visione di Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate. Nel capitolo conclusivo della nuova trilogia ambientata nella Terra di Mezzo diretta da Peter Jackson tutte le premesse e le promesse dei due capitoli precedenti vengono gettate nel dimenticatoio per lasciare il posto alla storyline più "improvvisata" fra i tre e ciò fa sì che la resa complessiva dell'intera trilogia ne subisca le conseguenze.

È stato chiaro fin dall'inizio infatti come Peter Jackson puntasse molto, anzi troppo, sulla post-produzione effettuando continue modifiche e stravolgimenti in corso d'opera e la cosa si nota non tanto nel primo episodio, ancora pieno di cura, dettagli e coerenza interna, quanto nel claudicante secondo film e nell'insipido episodio conclusivo colmo di questioni irrisolte, che, se da una parte scivola in modo macchinoso verso la risoluzione finale come se non ci fosse più tempo, dall'altra si prende il lusso di indugiare in lungaggini che allo spettatore non regalano alcunchè.

Ammettiamolo, la colpa non è tutta da imputare al regista che lo scorso decennio ha rivoluzionato il cinema fantasy. Chi ha seguito da vicino la lavorazione ai film dello Hobbit sa che si è trattata di una produzione lunga e travagliata, segnata da una mole infinita di incidenti di percorso, cambiamenti e imposizioni dall'alto (esemplare, a mio parere, il caso del cambiamento del titolo da un poetico "Andata e Ritorno" a un più hollywoodiano "La Battaglia delle Cinque Armate"). Tra i grossi ostacoli spicca la decisione di distendere in tre episodi, piuttosto che due, la storia di Bilbo Baggins, oltre al fatto di voler rendere necessariamente epica e in linea con Il Signore degli Anelli una storia di partenza molto più intima e fiabesca.

movies-hobbit-desolation-smaug-04.jpg

Andrea Francesco Berni

Per anni si è parlato della possibilità che Lo Hobbit venisse adattato in due film più un terzo film che facesse da "ponte" con Il Signore degli Anelli. L'idea non mi ha mai intrigato più di tanto, principalmente per un motivo formale: un conto è adattare un romanzo e dividerlo in due film, un conto è costruire poi un film basandosi unicamente sulle Appendici del Signore degli Anelli. Ecco quindi che, quando nel 2012 venne annunciato il terzo film, mi consolò non poco l'idea che la storia sarebbe stata "diluita" e l'opera sarebbe rimasta semplicemente Lo Hobbit. Ho sempre contestato l'opinione comune che "tre film da un libro così breve sono troppi": Lo Hobbit è un romanzo densissimo, e in poche pagine avviene moltissimo. Tre film, da questo punto di vista, non sono mai stati un problema per me, anche perché ero consapevole che non si sarebbe trattato di pellicole lunghissime come nel caso del Signore degli Anelli e che il tono (fedele a quello del romanzo) sarebbe stato diverso, più scorrevole e leggero.

Il mio principale dubbio verteva sull'aggiungere il terzo film a riprese ormai terminate, e dopo aver visto La Battaglia delle Cinque Armate posso dire che, da questo punto di vista, i problemi di una operazione come questa sono evidentissimi. Ciò non significa che la trilogia non mi abbia soddisfatto - dico solo che una simile decisione andava presa prima delle riprese. Certo, Jackson ha girato moltissimo materiale e come per Il Signore degli Anelli i film sono stati, in realtà, creati con il montaggio, ma a livello narrativo appare evidente che con l'aggiunta del terzo film si è reso necessario espandere alcuni elementi e linee narrative - primo tra tutti il villain Azog. Il problema principale non è che questi espedienti non funzionino (per me funzionano eccome), ma che sono evidenti e hanno ripercussioni anche di tipo formale. La Battaglia delle Cinque Armate, per esempio, non ha un vero e proprio "prologo/flashback" come invece accade con tutti e cinque gli altri episodi dell'esalogia. Anche a livello di ritmo è molto più lineare e scorrevole dei primi due film, a scapito però dell'epicità di alcune scene (i primi due episodi faticano entrambi a ingranare la marcia, ma una volta decollati raggiungono vette incredibili a mio parere).

Insomma, l'impressione è quella di una scarsa omogeneità in una trilogia che nasce su basi prettamente commerciali. È abbastanza chiaro che il terzo film nasce dal desiderio della Warner di incassare di più (che si è sposata con il desiderio dei realizzatori di sfruttare maggiormente il materiale a loro disposizione), e non c'è niente di male in questo: parliamo di blockbuster per i quali vengono investiti centinaia di milioni di dollari e si impiegano migliaia di persone. Ma non si può negare che prendere una decisione così importante in corsa non abbia avuto delle ripercussioni.

Francesco Alò

Il primo errore è stato concepire una trilogia. E cioè: preferisci incassare molti più soldi ma non evitare che le malelingue (come la mia) facciano un giochetto semplice semplice ovvero paragonare? Allora NON fai una trilogia. Se Lo Hobbit fosse stato un film unico o anche due (la mia ipotesi preferita) nessuno avrebbe potuto avere il diritto di paragonarlo al trittico de Il Signore Degli Anelli anche solo per l'impossibilità a cercare capziosamente una simmetria matematica tra le due saghe. E invece hanno voluto i tre film e quindi in un certo senso la zappa sui piedi se la sono data da soli. Bastava un film di 180' per Lo Hobbit? Sì. Si poteva arrivare a due da 140'? Sì. Era meglio affidare la regia ad altri? Sì. Anche in questo modo sarebbe stato più difficile paragonare il Jackson del trittico 2001-2004 con il Jackson del trittico 2012-2014. Tutto ciò non è stato fatto ed ecco allora che alcuni (come me) sono qui a dire che questa è un'operazione e non un'opera, che qui ha prevalso il cinismo rispetto al cuore (per motivare la presenza di Legolas e poi il suo dolente ritiro tra i raminghi ecco l'insopportabile storia d'amore da asilo tra Tauriel e Kili) e che manca una conclusione degna. E' la saga di Bilbo? No. Bisognava enfatizzare molto di più il suo rapporto con l'anello e chiudere sul sorriso maniacale alla Jack Torrance e non sulla corsa garrula per andare ad aprire a Gandalf. E' la saga di Thorin? Nemmeno. Manca pure un funerale degno di questo nome. E' la saga di Smaug? Bisognava tradire e allungargli la vita a quel ragazzaccio. Oppure pensate che Azog e Bolg valgano anche solo metà di una sua scaglia come villain?

Insomma: Un viaggio inaspettato era molto bello. Dal secondo in poi... una brutta china discendente. Perché? Una tesi io ce l'ho: avevano scritto due ottimi capitoli (quando i film dovevano essere due) e poi si sono incartati quando hanno dovuto sdoppiare in due film quello che doveva essere il secondo. Capiamoci però: l'amore per Jackson rimane ma Tolkien è stato tradito ai limiti dello stupro (Alfrid è un personaggio bruttissimo, e folle è la sua centralità nel terzo capitolo). Dopo Il trono di spade inoltre... ci volevano più palle, classe e tensione espressiva. Tauriel e Kili, allora, li voglio vedere fare sesso (e infatti c'era una battutaccia sessuale di Tauriel che poteva andare in quella direzione ma che non è stata sfruttata a dovere). Ma possibile che il cinema deve sempre fare la figura del bamboccio davanti alla tivù, oggi come oggi? Anche per questo Il Signore degli Anelli, complessivamente, è un'opera geniale (lì era tutto amore stilnovista e delicatamente preraffaellita) mentre Lo Hobbit, complessivamente, un'operazione piuttosto goffa e mediocre. Siamo invecchiati? Siamo nostalgici? Certo. All'epoca ISDA fu rivoluzione. Sono cambiati gli occhi di chi guarda? Sì. Ma sono cambiate anche le mani di chi un tempo aveva più cuore e rispetto per Tolkien.

hobbit-unexpected-journey-martin-freeman1.jpg

Andrea Bedeschi

Basterebbe banalmente citare la differente lunghezza dei rispettivi romanzi - Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli - per capire come qualcosa nel meccanismo produttivo di questa nuova trilogia fosse “difettoso” già in partenza (e non nascondiamoci dietro il facile alibi delle Appendici del Signore degli Anelli, per cortesia).

Un Viaggio Inaspettato pareva mostrare un giusto equilibrio fra fantasy fiabesco e epica (personalmente, come ebbi modo di dire a suo tempo, l’ho adorato), La Desolazione di Smaug cominciava già a sembrare “burro spalmato su troppo pane” e infine questa Battaglia delle Cinque Armate è diventato il manifesto cinematografico di un regista, Peter Jackson, che va salvato da sé stesso.

Come ha scritto ironicamente un collega americano su Facebook “Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate racconta di come l’oro la ricchezza siano in grado di corrompere l’animo delle persone: in pratica è l’autobiografia di Peter Jackson”. E a mio avviso è proprio così. Il regista neozelandese è diventato schiavo di quella tecnologia che in LOTR era strumento narrativo e che in Lo Hobbit è diventata fine a sé stessa come in un anonimo blockbuster hollywoodiano qualsiasi, è diventato incapace di dosare quelle esagerazioni tipiche del suo stile fin dai tempi di Bad Taste e che andavano bene nella Trilogia dell’Anello perché impiegate con moderazione, mentre in Smaug e La Battaglia risultano fastidiose, ridondanti.

E nell’eterna guerra cinematografica fra Jackson e Lucas, resa immortale anche da un esilarante passaggio di Clerks II, mi sento ora di dire che il primo è riuscito a percorrere la strada opposta del secondo: laddove Lucas ci ha “regalato” una Trilogia di prequel partita come una farsa e terminata nel dramma di un angelo caduto vittima del Lato Oscuro, Jackson e il suo Legolas trasformato in Super Mario hanno reso improvvisamente più sopportabile e simpatico anche il deprecabile Jar Jar Binks.

E voi cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

Continua a leggere su BadTaste