Lo chiamavano Trinità..., compie cinquant'anni il western con i fagioli al posto della violenza

Lo chiamavano Trinità... compie cinquant’anni: un ricordo che film che inventò il fagioli western e portò le risate nel vecchio West

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Lo chiamavano Trinità... (uscito oggi cinquant'anni fa e disponibile dall'8 gennaio su Disney+) è, come gran parte della produzione di Bud Spencer e Terence Hill in verità, molto più che un film, soprattutto per noi gente nata e cresciuta in Italia, all’ombra delle grandi produzioni americane, sognando California in un deserto nostrano a pochi passi da Roma. Non è la prima collaborazione della carriera di Mario Girotti e Carlo Pedersoli, ma è come se lo fosse: è un film nato dalla volontà dei due di lavorare insieme, di elevare i loro personaggi della trilogia di Colizzi e trasformarli in simboli e archetipi, di entrare a far parte del pantheon dei Grandi del West insieme a John Wayne e Clint Eastwood e Lee Van Cleef, e di farlo alla faccia dello stereotipo che prevede che un buon film western si deve necessariamente concludere con una sparatoria o un duello al tramonto. Oltre che, ovviamente, dalla voglia di divertirsi insieme, e di tirare gragnuole di cazzotti sempre al confine tra stunt cinematografico e dolorosa verità: Lo chiamavano Trinità... è una compilation di tutto quello che succederà ai due nei successivi vent’anni di carriera, come se fosse una origin story non di Trinità e Bambino, ma di Bud Spencer e Terence Hill.

Lo chiamavano Trinità... e Dio perdona... io no!

Lo chiamavano Trinità... non sarebbe potuto esistere senza Duccio Tessari, Giorgio Ferroni e una lunga serie di nomi storici dello spaghetti western, tra cui ovviamente anche Sergio Leone e Bruno Bozzetto (decidete voi chi dei due è il vero padre del genere, se il primo con Per un pugno di dollari o il secondo con West and Soda). E non sarebbe potuto esistere senza Giuseppe Colizzi, regista che nel 1967, da esordiente, si ritrovò sul set del suo Dio perdona... io no! due attori che non si erano mai incontrati prima. Uno, Mario Girotti, aveva alle spalle una lunga militanza nel cinema italiano: aveva esordito nientemeno che per Dino Risi nel 1951, e aveva già lavorato con Gillo Pontecorvo, Vittorio De Sica, Steno, Luchini Visconti, Mario Bava... L’altro, Carlo Pedersoli, era un ex nuotatore olimpico che aveva avuto qualche particina (spesso non accreditata) in film italiani ma ancora nessun ruolo da protagonista.

Gli aneddoti sui due e sul loro incontro sono numerosi quanto i fagioli nel piatto di Trinità, ma vi basti sapere questo: per Dio perdona... io no!, il primo di quella che sarebbe diventata una trilogia spaghetti western, Terence Hill si ritrovò per caso nel ruolo di protagonista (la prima scelta, Pietro Martellanza alias Peter Martell, si ruppe un piede prima dell’inizio delle riprese), e questo infortunio è il motivo per cui i due scoprirono di trovarsi così bene a lavorare insieme. Carlo era grosso, imponente, con l’aspetto e i modi di un orso e una presenza fisica che rendeva superfluo il suo aprire la bocca: per il suo primo film “da cowboy” decise di farsi ribattezzare Bud Spencer, in omaggio a una birra e a Spencer Tracy. Mario invece era bello e sarcastico, con un perenne sguardo da presa in giro, tagliato su misura per essere la controparte del gigante al suo fianco: per l’occasione scelse di diventare Terence Hill perché “mi piaceva come suonava”.

Insieme, i due scoprirono di poter spostare le montagne a colpi di carisma: i film di Colizzi servirono loro per cementare le proprie caratteristiche distintive e affinare i personaggi di Bud Spencer e Terence Hill e la loro intesa, ma quello di cui si accorsero davvero era quanto si divertivano insieme a far ridere il pubblico. E come racconta Roger Ebert nella sua recensione di Lo chiamavano Trinità..., “incontrai Carlo in un polveroso pomeriggio di due anni fa [...] stava girando un Western italiano intitolato Un esercito di cinque uomini [...] e mi disse che gli sarebbe piaciuto un giorno fare una parodia di questi film, che avevano già fatto così tanti Western in Italia che avevano il diritto di prenderli in giro, considerando quanto li amavano...”. Ebert conclude l’inciso dicendo che Trinità... è con ogni probabilità il risultato di quel desiderio, ed è difficile dargli torto.

Lo chiamavano Trinità... Spencer Hill

Lo chiamavano Trinità... ed E. B. Clucher

Basta vedere il motivo per cui i protagonisti di Trinità sono Bud Spencer e Terence Hill, e non, com’era nei piani iniziali del regista e sceneggiatore Enzo Barboni alias E. B. Clucher, Luigi Montefiori (o George Eastman se preferite) e il già citato Peter Martell. Qual è questo motivo? Be’, si spiega in fretta, e l’ha spiegato lo stesso Hill qualche anno fa: mentre Barboni girava per Roma con il copione in cerca di soldi, lui e Spencer ne sentirono parlare e si presentarono al produttore Italo Zingarelli dicendo “fallo fare a noi!”. Così, genuinamente, candidamente: il film non lo voleva fare nessuno, perché era uno spaghetti western senza sparatorie e senza violenza ma con un sacco di dialoghi e battute bizzarre e un’altrettanto ampia gamma di scazzottate di ogni genere, ma Bud Spencer e Terence Hill (“il cane e il gatto”) videro in quel copione una storia che si adattava alla perfezione ai personaggi che si erano creati con Colizzi, e che avrebbero avuto per la prima volta la possibilità di brillare in un film tutto loro.

E in effetti, a rivederlo oggi che sappiamo com’è andato il resto della carriera dei due, fa specie pensare che Trinità e Bambino fossero stati scritti per qualcuno che non fosse Bud Spencer e Terence Hill. Perché in un certo senso Lo chiamavano Trinità... è il prototipo di tutti i film della coppia, il primo a utilizzare quella “formula base” della quale abbiamo già parlato qui: non solo per come definisce i due personaggi (il pigro che fa lo splendido solo di fronte alle belle donne e l’orso asociale dal cuore d’oro che sta bene solo quando può tirare cazzotti) e li cristallizza intorno ai due attori per i successivi trent’anni, ma anche per la presenza di altre funzioni narrative che sono fondamentali per fare da motore alle avventure dei due – i due che si incontrano dopo tanto tempo, il supercattivo elegantone, gli scagnozzi incompetenti, un “colpo” di qualche tipo (qui, visto che siamo nel West, si parla di cavalli), una bella ragazza (che qui sono due), tanto cibo...

Spencer Hill

I fagioli, il digiuno, i cazzotti

Lo chiamavano Trinità... è talmente archetipale, anche all’interno di una carriera fatta di formule ripetute in tutte le loro variazioni possibili, che è quasi superfluo raccontarne la storia. Intendiamoci, non stiamo sostenendo che sia inutile o che se ne possa fare a meno, e anzi rispetto a molti dei film successivi del duo Trinità... è anche particolarmente intricato, con due diversi villain da gestire (il maggiore Harriman e il bandito Mezcal, che è qualcosa di più di un classico minion spencer-hill-esco) e un rapporto, quello tra Trinità e Bambino, più burrascoso della media dei film della coppia. Ma è tutto quanto al servizio di Bud Spencer e Terence Hill, per i quali Lo chiamavano Trinità... è una sorta di lettera di presentazione, un CV che dice “noi siamo bravi a fare questo, se vi interessa sapete dove trovarci”.

E quindi è un film nel quale non esistono stuntmen per i protagonisti, che mollano ogni cazzotto e ogni schiaffo in prima persona. È un film che si apre con un’epica magnata di fagioli che è tale anche perché è tutta vera: Terence Hill passò 24 ore di digiuno prima di attaccare la cofana, e quando lo vediamo fare la scarpetta in una pentola vuota non possiamo non provare un profondo senso di stima, rispetto e ammirazione per la dedizione al mestiere (e ai fagioli).  È un film che risolve uno dei suoi maggiori dilemmi (“come facciamo a fare un western con protagonisti due pistoleri ma senza pistole?”) inventandosi una comunità di mormoni che alla fine imparano a trovare i cazzotti nelle parole del Signore. È un film perfetto perché contiene, in nuce, tutti i film successivi di Bud Spencer e Terence Hill: ha cinquant’anni, ma non è invecchiato di un giorno.

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