L’importanza dei dettagli in Misery non deve morire

30 anni di Misery non deve morire. Ogni anno che passa diventa sempre più attuale e, attraverso i suoi dettagli, racconta la scrittura.

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L’8 marzo del 1991 arrivava sugli schermi italiani Misery non deve morire.

Negli Stati Uniti il film venne promosso con l’avvicinarsi del Natale e proiettato il 30 novembre. Una delle tagline sulla locandina era proprio “questo Natale ci sarà… Misery” con il chiaro gioco di parole con il nome dell’ antagonista e il significato inglese di “infelicità, sofferenza”. In Italia la distribuzione scelse come data di apertura quella che al tempo non veniva ancora propriamente chiamata Giornata internazionale della donna, ma festa della donna, dimostrando uno spiccato senso per il marketing e… di non avere capito nulla del film.

Una donna innamorata sequestra un uomo che ammira alla follia, Una storia d'amore ossessivo? No, Misery non deve morire è tutt’altro. Non è un film di uomini, di donne, di romanzi rosa, di innamoramenti, e nemmeno di follia.

È lo specchio del processo creativo, del tormento interiore. Reiner non vede Annie Wilkes (Kathy Bates) come una folle distante dallo scrittore. Come segnalato nell’epilogo - perfetto - in cui il protagonista Paul Sheldon (James Caan) continua a rivedere l'aguzzina nelle ammiratrici, il tormento del dover compiacere il pubblico è una condizione perenne nella psiche di chi produce arte per qualcuno. Scrivere per proprio piacere personale, immaginare un’arte sciolta da tutto e fine solo a se stessa, è però un’utopia irrealizzabile secondo il film.

Misery non deve morire è ancora oggi uno di quei film straordinari a cui il mondo sembra adeguarsi con il passare degli anni. Inutile sottolineare quanto sia attuale la storia di uno scrittore rapito da una fan psicopatica che gli impone di cambiare il finale alla sua saga di romanzi rosa. Una satira macabra del rapporto autore-lettore che oggi risulta quasi eccessivamente esplicita. All’epoca, in un mondo assai meno connesso, il libro di Stephen King trasposto in pellicola da Rob Reiner non andava troppo oltre la dimensione di una riflessione sul fare arte. Oggi sembra che descriva la società contemporanea, il fandom, l’impotenza creativa, la prigione delle saghe. Oggi possiamo essere (quasi) tutti Paul Sheldon e sicuramente è in nostro potere quello di essere Annie Wilkes. Basta un tweet.

Ma la portata straordinaria di Misery non deve morire va oltre il genio dell’intuizione metanarrativa di King. Superata la trama, i collegamenti intertestuali, gli strati di lettura, Rob Reiner gioca con maestria sulla messa in scena. Ci sono tre libri nel film, due sono espliciti: il primo è quello da cui è tratto Misery, che parte degli spettatori ha probabilmente letto prima di andare in sala.

C’è poi quello interno, di cui non possediamo la trama completa, ma solo un dettaglio essenziale (la protagonista muore). Questo volume, quello che Annie Wilkes rigetta e quello che Paul Sheldon non vuole scrivere, è il confine dell'interazione tra i due protagonisti. L’infermiera killer ragiona come se il suo mondo fosse all’interno di quelle pagine.Non vede la possibilità che esistano altre esperienze al di fuori della propria sfera individuale. E quindi si innamora, si ossessiona, dell’uomo che può scrivere la trama della sua vita. Lo scrittore conosce invece la Wilkes attraverso le parole che lui ha scritto.

Il terzo libro è il film stesso. Misery non deve morire: il volume mai pubblicato dal protagonista, nonostante le insistenze della casa editrice. L'evento che resterà sempre nella sua fantasia come un trauma da cui tutto scaturirà.

Rob Reiner conduce la discesa nell’orrore adottando un linguaggio sempre più letterario.

Il cinema, attraverso le immagini, riesce a sintetizzare incredibili quantità di informazioni. Un fotogramma può contenere tanti dettagli in cui perdersi. Lo sguardo si indirizza attraverso le scelte di composizione, il primo piano e l’illuminazione. La parola scritta invece può entrare in profondità spezzando il secondo in un’infinità di pagine. Può descrivere il dolore, può usare centinaia di parole per far sentire il freddo della neve. Si può creare tensione sospendendo l’incedere degli eventi e soffermandosi sullo scricchiolio del pavimento mentre l’assassino si sta avvicinando al malcapitato. E Stephen King è uno degli scrittori che più riesce a lasciare senza fiato proprio bilanciando il ritmo interno. 

Reiner adatta la prosa rispettando però le caratteristiche del mezzo. Usa le inquadrature in soggettiva e, soprattutto, in dettaglio come descrizioni che innescano la suspense. Nel dettaglio la regia costruisce una espansione della trama che agisce a livello subliminale. Quando si avvicina, cambia piano della realtà. Diventa narrativo, diventa finzione. 

Lo scrittore viene salvato da Annie, l’infermiera si prende cura di lui, gli disinfetta le ferite, lo veste e gli fa la barba. In quel momento l’inquadratura si stringe sulla lama che scorre sulla gola. Se Reiner avesse scelto un piano più largo, l’azione non avrebbe assunto quel senso di minaccia. Nel film è invece il primo attacco assassino, la prima manifestazione dello squilibrio della donna. E riesce proprio perché la regia si avvicina all’azione e così facendo ci porta nella soggettività di Paul Sheldon il quale sente la morte che gli sfiora la pelle.

Dettaglio Misery

Ancora, lo sceriffo Buster McCain si intrattiene con un elastico che gli lega le dita mentre aspetta che succeda qualcosa nella calma cittadina. Non lo vedremo più nel resto del film. Non è un caso che il secondo oggetto significativo che terrà in mano, una volta pienamente coinvolto nelle indagini, sarà proprio il libro dedicato a Misery. 

La forcina è un’oggetto importantissimo nel film. È il primo elemento di speranza per il malcapitato, una distrazione dell’infermiera che innesca la ribellione della vittima. Alla forcina viene dedicata un’inquadratura in cui il minuto oggetto è assoluto protagonista.

La vediamo dagli occhi di Paul. L’uomo è costretto a letto e l’inquadratura è composta tramite linee oblique che danno un senso di dinamicità e di disequilibrio, come se fosse uno sguardo lanciato per caso. Ma il vero dettaglio a servizio della trama arriva poco dopo. Lo scrittore si china a fatica e raccoglie l’oggetto che, avendo uno spessore infinitesimale, gli costa un paio di tentativi. Giusto il tempo per notare lo stato della sua mano. Le dita sono sporche, segno della trascuratezza delle sue cure, ma soprattutto le unghie sono lunghe e appuntite.

Immediatamente riusciamo a stimare il tempo trascorso nella casa della sua aguzzina.

Misery non deve morire

Saranno proprio i dettagli poi a tradire la sua fuga. Grazie alla forcina riesce a sbloccare la serratura della porta e a vagare per la casa in carrozzina (ha entrambe le gambe rotte). Reiner compone in profondità mettendo sempre in primo piano gli oggetti legati alla salvezza come la ruota della macchina che emerge dalla neve, non vista dallo sceriffo. Allo stesso modo il tavolino contro cui Paul andrà a sbattere è in primo piano, ma sfocato. La nostra attenzione è attirata proprio dagli oggetti posti sopra di esso, ma non riusciamo a vederli. Sappiamo che ci sono, ma non possiamo focalizzarci. Proprio come accade al protagonista che si accorgerà dell’ostacolo solo quando gli urta contro facendo cadere un pinguino di ceramica. 

Dettagli Misery non deve morire

Lo salva dalla caduta e lo rimette sul tavolo. Ecco il dettaglio. Ancora non lo sappiamo, ma sarà la direzione dello sguardo del pinguino a tradire l’uomo. L’oggettino di ceramica è infatti sempre rivolto verso sud, dirà poi Annie Wilkes svelando l’errore.

Il personaggio che più giova della sovrabbondanza di queste inquadrature in dettaglio è proprio la crudele infermiera. Non è un caso, in fondo è proprio lei il personaggio più letterario, quasi generato dalla mente horror di Paul.

Non conosciamo la storia della donna, ma la deduciamo osservando attraverso gli occhi dello scrittore i ritagli di giornale. Bastano i titoli per capire la sua natura di assassina. Dagli articoli si conferma la sua dissociazione mentale che la porta a credere Misery una persona reale e, soprattutto, capiamo che non si può sfuggirle a parole. La fine dei rapporti con lei è sempre la morte.

Misery

Ed è così che Misery non deve morire aiuta le straordinarie performance degli attori: dandogli spazio nell’immagine, riportando i piani della personalità (equilibrio\disequilibrio) sul piano spaziale nel set (primo piano\mezza figura). Quando Kathy Bates cambia personalità ci avviciniamo al suo volto illuminato da un’unica fonte di luce, la finestra, con un gioco di luci e ombre.

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Misery non deve morire è più di un film su donna pazza che ammira un uomo, che vuole possederlo fino a sequestrarlo.

Non è una storia d’amore perversa, non è nemmeno (solo) un film dell’orrore.

È un incontro scoppiettante tra la letteratura (anche a prescindere dal romanzo di King) e il cinema. Tra la possibilità di fare arte per guadagnarsi da vivere e come istinto per sopravvivere. Una lettera mancante sulla macchina da scrivere, una porta che si apre lentamente, l’inchiostro sbavato sulla carta sbagliata, il lento scongelarsi della neve, ci portano nei panni di un autore che coglie il mondo dalla finestra e condividiamo con lui la fatica di produrre qualcosa che conti.

Ma questi sono solo dettagli.

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