Licenza di uccidere 60 anni fa creava la complicità con lo spettatore in un film d'azione

All'origine di una delle più grandi tendenze del cinema d'azione moderno c'è il momento in cui James Bond è dovuto diventare accettabile

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Quando con Licenza di uccidere nascono i film di 007, ma anche quando arrivano i romanzi di Ian Fleming (circa dieci anni prima), il genere delle storie di spionaggio era già in voga. Già solo le storie di OSS 117 scritte da Jean Bruce sono stampate tre anni prima del primo romanzo di Fleming e così anche i film.

Dopo la seconda guerra mondiale lo spionaggio è uno dei generi in maggiore crescita, non solo perché l’attività si è molto sviluppata negli anni della guerra e perché in quel periodo di guerra fredda era diventata fondamentale, ma soprattutto perché è uno dei molti modi di rielaborare quanto vissuto dal mondo occidentale al cinema. I film di guerra sono il cuore di questa tendenza, quelli di spionaggio una maniera tangenziale di assolvere alla medesima funzione per un pubblico di reduci dal fronte o dal fronte interno. Nessuno però, nemmeno i romanzi di Fleming, hanno unito questo al crescente edonismo degli anni ‘60 come ha fatto Terence Young in Licenza di uccidere tramite la creazione di un rapporto complice con il pubblico.

A differenza di tutto quello che è uscito nei cinema durante gli anni ‘50 il primo film su James Bond (il secondo in Italia, dove è uscito un anno dopo il successo di Dalla Russia con amore) è già con entrambi i piedi negli anni ‘60, è sfacciato e provocatorio, è autoironico e camp, è sopra le righe ed esagerato. Terence Young, non certo la prima scelta dei produttori Saltzman e Broccoli, non ha creato il modello aureo del Bond-film (quello lo farà Guy Hamilton con Goldfinger) ma ha impostato lo stile del personaggio nella sua versione per lo schermo. Tutto quello che Sean Connery fa viene da Young. Dopo averlo scelto (le leggende sul fatto sono mille, la più bella vuole che fosse stato scartato dai produttori ma promosso dalle mogli) è stato Terence Young a portarlo in giro, nei ristoranti, nei night, nei club esclusivi e insegnargli come ci si comporta, come si sta in società, come si fa l’uomo di mondo all’inglese, con ironia e consapevolezza. 

Espedienti necessari in un film da 1 milione di dollari. Pochissimo per una storia d’azione da girarsi in varie location (molte delle quali in realtà ricostruite in studio) e altamente insoddisfacente per molti dei coinvolti. Licenza di uccidere è il classico caso di ottima produzione, a partire dalla scelta del romanzo. Era il sesto tra quelli scritti da Fleming e inizialmente si era pensato di partire con Thunderball, ma una questione di diritti sulla sceneggiatura l’aveva bloccato, così Licenza di uccidere ebbe la meglio. Pensato in serie (Cary Grant sarebbe stata la prima scelta per la parte di 007 ma a differenza di Connery non aveva accettato di firmare per più di un film) e immaginato già inserendo la SPECTRE come villain principale anche se nel romanzo non c’era (sarebbe arrivato solo nei successivi), pensato per prendere di petto l’attualità, cioè i problemi avuti con un lancio a Cape Canaveral che poi si vedono nel film, è a tutti gli effetti un’operazione instant. Se tutti i film di spionaggio riflettevano la guerra fredda per un pubblico che aveva fatto la guerra, Licenza di uccidere rifletteva la guerra fredda per un pubblico che la stava vivendo, con la SPECTRE a interpretare la Russia. Non a caso il Dr. No attacca e fa fallire un lancio della NASA, perché in quegli anni l’impressione era che gli Stati Uniti stessero perdendo la corsa allo spazio.

Eroe maschilista per eccellenza, Bond era tuttavia un maschio nuovo in abiti vecchi. Non era l’uomo della generazione dei padri ma quello sfrontato e sessualmente più libero della generazione dei figli, retrogrado nei gusti ovviamente (ne ha per tutti, inclusi i Beatles) ma moderno nella visione di mondo. Dagli altri film e dagli altri agenti segreti prendeva il superomismo (in contrasto con gli agenti burocrati che sarebbero arrivati al cinema in seguito) e i viaggi in giro per il mondo, da Fleming prendeva il suo essere inglese, cosa che gli aveva inimicato i grandi studi americani tranne la United Artists. Bond era ed è un concentrato della società elitaria britannica, un aristocratico che fa un lavoro elitario in una società elitaria. Vive e frequenta circoli dedicati ai pochi fortunati ed è uno snob senza che questo sia un difetto, anzi vendendo la caratteristica come parte del suo fascino. Non l’eroe che tutti possono essere ma quello che nessuno può essere per ragioni di nascita e censo.

Era senza precedenti la maniera in cui questo agente segreto dedicava tanto tempo alle conquiste di più donne nello stesso film, quanto alla cattura del cattivo di turno o alla salvezza del mondo occidentale. Un dettaglio così importante da essere messo in evidenza già dalla locandina di questo primo film. Le storie di 007 erano pensate per essere l’esaltazione del desiderio maschile di azione e conquista, la fantasia escapista per eccellenza di un decennio che avrebbe portato alla liberazione sessuale veniva da uno scrittore tradizionalista e da un personaggio tradizionalisti. Ed era solo una delle molte caratteristiche che rendevano la storia, a suo modo, paradossale, esagerata, piena di buchi e insalvabile. James Bond come scritto da Fleming e poi piegato dalla sceneggiatura (che molto cambiava dal romanzo tenendo fissi pochi punti fermi) era l’eroe classico solo esagerato da tutti i punti di vista. Così tanto da rendere necessaria un po’ di ironia perché diventasse accettabile. 

Nasce così un’idea che si sarebbe rivelata fondamentale per tutto il cinema d’azione dagli anni ‘80 in poi (quello che aumenterà ancora di più la componente risibile delle storie) e cioè che l’eroe possa condividere con il pubblico una strizzata d’occhio, che possa dirgli che non c’è bisogno di prendersi sul serio e che sognare l’esagerazione può essere accettabile se entrambi (film e spettatori) sono consci del divertimento. Quando James Bond chiude le sequenze d’azione con le one-line non lo fa come i grandi duri dei noir o polizieschi degli anni ‘40, lo fa in una maniera più complice, come quando guarda gli spettatori mentre amoreggia poco prima di chiudere delle tende per decenza. È una rottura della quarta parete accennata, mai reale ma sempre simbolica, che fa tutta la differenza. Solo così possono nascere trovate rimaste storiche come quella del Dr. No che fa notare e prende in giro un problema di produzione. Non c’erano soldi per il grande acquario dei pesci e così Ken Adams (uno dei più grandi scenografi di sempre) utilizzò un’immagine proiettata e ingrandita così male ed evidentemente da richiedere che il villain descrivesse il proprio acquario a Bond precisando che il vetro ingrandisce i pesci. “Lo so io, lo sapete voi, e va bene così” era il messaggio che lanciava tutto 007, complicità e leggerezza nella ricerca di un edonismo senza limiti. 

Continua a leggere su BadTaste