Lettera aperta ai fratelli Vanzina

Oggi esce in tutta Italia Un'estate ai Caraibi, nuova pellicola dei fratelli Vanzina. Badtaste si chiede cosa sia successo alla storica coppia del cinema italiano dai tempi di Sapore di mare...

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Rubrica a cura di ColinMckenzie

Cari fratelli Vanzina, non si può dire che vi conosca personalmente, a parte un'intervista con Enrico Vanzina che risale ai tempi di Quello che le ragazze non dicono. Forse, proprio questa mancanza di familiarità personale mi permette una franchezza maggiore rispetto a tanti giornalisti che vi seguono e conoscono bene da decine di anni.

Ho avuto modo di vedere in anteprima Un'estate ai Caraibi. Non credo che il problema sia il fatto che lo ritengo un film veramente brutto, tanto nella vostra carriera non mi pare abbiate ottenuto grandi consensi critici, senza peraltro grandi preoccupazioni per questo. Temo però che con questa pellicola (che segue una scia inquietante cominciata con il titolo dello scorso anno Un'estate al mare) vi stiate allontanando pericolosamente dal vostro pubblico.

Per carità, non voglio apparire come un vostro appassionato, né peraltro riproporre il solito tentativo di riscoperta-valorizzazione, per cui qualsiasi artista comico italiano, dopo un tot di anni di carriera, deve essere glorificato dalla critica, che fino a quel momento l'aveva massacrato. Tuttavia, anche i vostri detrattori più feroci devono ammettere che nel 1983 con Sapore di mare avete creato un filone fondamentale (che poi avete proseguito lanciando ufficialmente i cinepanettoni grazie al primo Vacanze di Natale) per le sorti del nostro cinema. E che con Diego Abatantuono avete dato vita a un personaggio rimasto nel cuore di milioni di persone, anche se magari, rivisti oggi, quei prodotti (Il ras del quartiere, Eccezzziunale... veramente, Viuuulentemente mia) erano un po' debolucci.

Ma poco importa, perché se dei cineasti riescono a cogliere così bene gli umori e l'interesse del pubblico, il loro compito l'hanno svolto. Prendiamo proprio Sapore di mare per fare un paragone. Al di là della storia e di tutto il resto, rispetto a Un'estate ai Caraibi c'è una differenza enorme: il cast. Senza sostenere che nessuno meritasse l'Oscar, erano tutti nomi e volti perfetti per quel prodotto, dai protagonisti Jerry Calà e Marina Suma, a tanti caratteristi deliziosi come Guido Nicheli e Ugo Bologna, per non parlare di un giovanissimo e pimpante Christian De Sica. E la presenza di Virna Lisi mostrava come le ambizioni fossero decisamente importanti.

Qui chi è che dovrebbe parlare ai giovani? Due attori come Martina Stella e Paolo Ruffini, che francamente di lezioni di recitazione ne devono ancora prendere tante? O Enrico Bertolino, che era molto meglio lasciare alla televisione?

Un punto interessante è la volgarità e come vengono percepiti i vostri film. Credo che anche voi non potreste sostenere (neanche per comprensibili ragioni commerciali) che il vostro ultimo film sia all'altezza di Sapore di mare. Eppure, l'illustre critico Paolo Mereghetti così scriveva della vostra pellicola storica (a cui rifilava un pallino e mezzo) sul suo dizionario:

Piatto e volgare, aprì disgraziatamente il filone nostalgico precontestazione riscuotendo un grande successo nell'Italia del rampantismo incipiente".

Ora invece, per Un'estate ai Caraibi, Mereghetti alza il suo giudizio a due pallini e sostiene:

Vedremo che cosa ci riserverà la coppia in futuro, ma ripensando a certi film dove la volgarità dei nostri tempi era rappresentata con dosi ancora più massicce di compiacimento e beceraggine facciamo fatica a rimpiangere qualche cosa dei film di quel passato. Un'estate ai Caraibi forse non sarà graffiante ma almeno sa evitare certe gratuite cadute nella volgarità a cui il filone ci aveva - ahinoi - abituato".

Ma Mereghetti non è l'unico. Sul Giornale, Massimo Bertarelli (che prende in giro gli "snob che in questi giorni fanno la fila per sorbirsi le micidiali pizze coreane del fresco Festival di cannes", senza controllare il programma delle rassegne italiane, che non prevede pellicole di quel Paese) esalta il film e alla fine ci tiene a dirci che "le parolacce sono al minimo storico". 

Ecco, se c'è una cosa da cui vi consiglio di diffidare, è questo solito mantra della critica sulla volgarità. Basta che non ci sia la volgarità e due parole di stima non si negano a nessuno. Ma siamo proprio sicuri che certi titoli non debbano essere volgari? Se uno vuole rappresentare una certa Italietta deteriore, non potrà mica pensare di farlo con dialoghi degni dell'aristocrazia inglese mostrata da James Ivory, no?

Eppure, questo discorso sembra aver contagiato anche voi. Sento dire da Carlo Vanzina che questo non è un film volgare, ma per tutta la famiglia. Ma siamo sicuri che questa sia una buona mossa, anche sul piano commerciale? E soprattutto, di quali famiglie stiamo parlando? Quelle che vanno in massa ogni Natale a vedere i volgarissimi cinepanettoni? Di sicuro, anche notando quello che succede in America (il grande successo di Una notte da leoni), essere estremi paga per commedie come le vostre, mentre essere 'per famiglie', se la cosa non sembra naturale, produce solo scontento da parte degli spettatori.

D'altronde, per provarlo basta fare un piccolo test. Pensate che una frase qualsiasi dei vostri ultimi due film verrà ricordata dal pubblico come il celeberrimo "a Iside, famme na' pompa" pronunciato da  Christian De Sica in S.P.Q.R.? Penso proprio di no e di sicuro non c'è nulla di cui vergognarsi.

Insomma, tornate a credere nel cinema che facevate, guascone, strampalato, con un filo di pazzia e sanamente volgare, magari guardando ai modelli d'oltreoceano come le pellicole di Judd Apatow e Todd Phillips. Ne va della salute del cinema italiano, che dipende molto più dagli incassi dei vostri film di tante pellicole d'autore festivaliere. E ne va delle risate che, noi generazione nata a metà dei settanta, ci siamo fatti negli anni ottanta con le vostre pellicole...

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