Leggere Invincible di Robert Kirkman da zero: cronaca di una rincorsa
Abbiamo letto l'intera serie mensile di Invincible targata saldaPress tutta d'un fiato: ecco perché dovreste farlo anche voi
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Quel che vorremmo riuscire a fare, dato che fino a qualche settimana fa eravamo, proprio come i destinatari ideali di queste righe, totalmente ignari e digiuni, è darvi una definizione, descrivervi in maniera magari impressionistica, ma quanto più indicativa possibile, l'esperienza di lettura tutto-d'un-fiato di Invincible, in maniera che alcuni di voi possano decidere se trovano interessante questo prodotto di cui tanto si parla e che è giunto, con il suo diciottesimo numero, a un potenziale punto di svolta per la storia. Un'occasione ghiotta per riprendere in mano la lettura, oppure appassionarsi a una serie che ancora non si conosce, magari recuperandone gli arretrati.
Invincible è un fumetto estremamente consapevole, di quella consapevolezza moderna che anima molti dei successi di genere degli ultimi anni. Kirkman mette in campo un arsenale non diverso da quello di Brian K. Vaughan in Saga o Matt Fraction in Occhio di Falco, non a caso due dei comics più premiati e apprezzati degli ultimi anni. Nel raccontarci la storia di Mark Grayson, erede del più potente supereroe della Terra, figlio di Omni-Man, ospite del nostro pianeta proveniente da un mondo lontano, lo sceneggiatore ci permette di dare un'occhiata dietro le quinte, senza mai farci davvero accedere al retroscena. Le citazioni dalle pietre miliari, i commenti metafumettistici, l'utilizzo del materiale precedente in forma critica (a volte parodistica, raramente satirica) è evidente e scoperto, ma non sfocia mai in una decostruzione della figura dell'eroe classico. Semmai in un aggiornamento. Sbirciamo dietro le quinte, ma non ci mettiamo mai piede. Sappiamo che stiamo assistendo a uno spettacolo teatrale con delle regole precise, ma questo non fa mai cadere del tutto la quarta parete. O, quando lo fa, è per brevi momenti.
Il che permette a Invincible di tenere assieme una varietà di toni, di atmosfere, di suggestioni anche molto distanti fra loro. Momenti comici e divertenti si alternano con spiazzante velocità a violenza per nulla edulcorata e a scene di grande portata drammatica. In maniera persino troppo repentina, il che rappresenta forse il difetto principale della serie, il motivo per cui possiamo citarla nella stessa frase di Hawkeye e Saga, ma non ce la sentiamo di paragonarla ad esse per qualità di scrittura (e di disegno, va detto). In alcuni momenti, purtroppo, manca un po' di ciccia a questo fumetto apprezzabilissimo e che non dovrebbe mancare sugli scaffali di tutti gli appassionati di supereroi, manca un po' di terreno solido sotto i piedi della narrazione agile di Kirkman, che mette in mostra le sue strutture in maniera sempre intelligente, ma a volte a scapito della materia più densa del suo raccontare. Si riprende sempre molto in fretta, però.
Lasciateci azzardare un paragone. Invincible è per il fumetto di supereroi quel che i film di Wes Anderson sono per la commedia cinematografica e il cinema drammatico: come il regista in film quali Grand Budapest Hotel o Moonrise Kingdom, Kirkman non smette di raccontare storie, ma ci mette di fronte in maniera esibita il modo in cui lo fa, mettendosi in costante rapporto con tutto quel che abbiamo letto sinora dello stesso genere, costringendoci a fare paragoni, a riconoscere le nostre pigrizie di lettori, a farci delle domande. Anche l'Occhio di Falco di Fraction lo ha fatto in maniera magistrale, persino migliore. Ma Kirkman lo fa con un essere dotato di superpoteri, con un eroe che si definisce invincibile sin dal nome, risalendo al prototipo per eccellenza, alla fonte a cui tutti hanno dovuto per forza abbeverarsi. Speravamo di evitare la reiterazione dell'ovvio, ma Mark Grayson è il Clark Kent degli anni Duemila. E questo alza di molto l'asticella, sotto certi punti di vista, rispetto alla scelta di raccontare il quotidiano di Clint Barton, privo di superpoteri, arciere provetto, uomo della strada. Una difficoltà che non sempre l'autore di The Walking Dead affronta da par suo, ma spesso. Molto spesso.
Il coraggio di farlo senza nascondersi, mantenendo l'estetica eccessiva, coloratissima, surreale di un certo tipo di fumetto di supereroi, senza confondere le carte sui modelli da cui trae spunto e che mette mensilmente in discussione è ammirevole e ci diverte moltissimo. Soprattutto perché, come abbiamo già detto, tutto resta sul palcoscenico. Mark Grayson è sempre una star, non diventa mai uno di noi, non scende mai dal piedistallo che un supereroe merita. Forse quel piedistallo non è dorato come dovrebbe, sicuramente lo notiamo più di quanto potesse farlo un lettore degli anni Novanta, ma non è scomparso. Mark Grayson continua a raccontare la sua storia che non si riduce a una scusa per parlare d'altro. Chapeau, Mr. Kirkman.