Le rivelazioni del 2006

La settimana scorsa, abbiamo analizzato i flop dell’anno passato. Ora, ci dedichiamo ai successi a sorpresa, le cinque pellicole da cui non ci si aspettavano risultati straordinari e che sono diventate degli affari fantastici per i produttori…

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Come solito, sgombriamo il campo da equivoci. Questa, ovviamente, non vuole essere una classifica dei maggiori incassi del 2006. Per quello, basta andare alla relativa pagina di Box Office Mojo. E poi, si può discutere di quanto siano andate bene pellicole come Pirati dei Caraibi 2, Cars, Il Codice Da Vinci o X-Men 3, ma si trattava comunque di successi annunciati, che sono stati (più o meno) confermati. Noi invece siamo alla ricerca di titoli che hanno ottenuto grandi risultati nel rapporto costi/ricavi, quelli insomma che negli Stati Uniti vengono definiti sleeper.
Ovviamente, per limitarci a cinque film, abbiamo fatto delle esclusioni, comunque molto ponderate. Per esempio, Talladega Nights (conosciuto in Italia come La ballata di Ricky Bobby) è stato un successo enorme negli Stati Uniti (148 milioni di dollari), ma nel resto del mondo ha fatto soltanto 14 milioni. Considerando che è costato ben 72 milioni, non si può parlare di grande successo (né, peraltro, a sorpresa, visto che c’era un comico affermato come Will Ferrell). Discorso analogo va fatto per The Break-Up: i 203 milioni conquistati nel mondo, a fronte dei 52 di budget, sono decisamente un ottimo risultato. Ma considerando la presenza di Jennifer Aniston e Vince Vaughn, non è un dato così sorprendente, se non per il fatto che, prima di uscire, la pellicola sembrasse un flop annunciato.
Noi invece cerchiamo proprio le sorprese, tentando anche di capire le ragioni del loro successo. Ed è impossibile non notare come, mediamente, si tratti di prodotti artistici molto interessanti. Alla faccia di chi pensa che solo i popcorn movie possano incassare…

5 – Inside Man
Fino a quest’anno, nessun film di Spike Lee aveva superato i 100 milioni di dollari di incasso nel mondo.
Inside Man è arrivato a 184 milioni di dollari, a fronte di soli 45 milioni di budget. Eppure, è forse uno dei suoi prodotti meno personali. Come spiegare questo risultato fantastico? Intanto, il fattore Denzel Washington. Se si facesse una classifica degli attori che contribuiscono di più alle loro pellicole dal punto di vista finanziario, Washington sarebbe sicuramente sul podio. Certo, magari interpreti come Will Smith o Tom Hanks hanno successi anche più eclatanti, ma questo deriva anche dai progetti a cui partecipano, solitamente più costosi e popolari.
Qui, peraltro, c’era un cast fantastico. Basti pensare a Jodie Foster, che ha accettato di lavorare in un piccolo ruolo, o Clive Owen, costretto a recitare per buona parte del film mascherato.
Ma, forse, la ragione principale del trionfo è la sceneggiatura. Furbetta, anzi, per dirla alla romana, paracula. Si tratta di uno script che mischia abilmente (anche se poco coerentemente) un personaggio di ladro gentiluomo (piacciono sempre, chissà perché), una trama con diverse sorprese (magari poco convincenti, ma tant’è…) e una spruzzata di argomenti seriosi (il nazismo, il capitalismo senza scrupoli), che fanno sentire lo spettatore alle prese con un’opera molto più intelligente di quello che è effettivamente. Spike Lee, ovviamente, ci mette una regia esperta e calibrata, che ovviamente non guasta.
Insomma, di ragioni per questo successo ce ne sono tante. Inutile dire che il sequel è in preparazione…

4 – Rocky Balboa
24 milioni di budget, 134 di incasso. E la fortissima impressione che in home video andrà benissimo, grazie ad un passaparola che ha superato uno scetticismo notevole (e che peraltro, probabilmente, ha impedito alla pellicola di incassare ancora di più, come invece avrebbe meritato). Francamente, alla notizia di un sesto capitolo, davamo tutti Sylvester Stallone per bollito. D’altronde, l’attore veniva da almeno una decina d’anni di oblio, con progetti fallimentari e talvolta ridicoli. E la stessa saga di Rocky, era diventata sempre più un prodotto raffazzonato e scialbo, che poco aveva da spartire con il primo, fondamentale capitolo.
Ma proprio la scelta di tornare a quelle atmosfere è la chiave del successo di Rocky Balboa. Niente più sfide milionarie, che avevano reso questo pugile una sorta di showman, e niente più combattimenti da guerra fredda. Si torna al vecchio quartiere, senza il punto di riferimento più importante, l’amata Adriana, e con un rapporto con il proprio figlio da recuperare. In una Hollywood che parla solo di vincenti (come se il pubblico cinematografico fosse composto solo di architetti e avvocati di grido), Stallone ha il coraggio di descrivere gente semplice e magari poco affascinante (o forse, proprio per questo, molto più interessante).
Tutti hanno paura dei sentimenti e cercano di affogare le emozioni in dialoghi ironici? Lui no, il suo cuore è ben visibile, a tratti anche eccessivamente, con dialoghi un po’ troppo verbosi e didascalici.
Il pugilato, in tutto questo, diventa un mezzo più che un fine, ma non per questo è meno convincente. Difficile non commuoversi alla fine del combattimento, così come sui titoli di coda.
Decisamente, un finale di saga perfetto. Anche perché siamo assolutamente sicuri che questo sia l’ultimo capitolo…

3 – Il diavolo veste Prada
Meryl Streep sarà anche l’attrice più nominata agli Oscar nella storia. Ma 322 milioni di dollari nel mondo non li aveva mai fatti con nessun film, né si era mai avvicinata a un traguardo del genere. Se poi consideriamo che tutto questo è stato raggiunto con soli 35 milioni di budget, è evidente che si tratta di un risultato fantastico.
La cosa divertente è che, a differenza di tante sue pellicole, Il diavolo veste Prada non ha ottenuto dei grandissimi consensi critici. Ma, evidentemente, aveva tutto quello che è necessario per convincere il pubblico. Intanto, appunto, Meryl Streep. Con una storia che parla della direttrice di una importantissima rivista di moda, non si poteva scegliere certo un’attrice qualunque. E la Streep non delude e non solo per momenti fantastici come quello senza trucco e in lacrime. La sua interpretazione sorregge infatti una sceneggiatura non perfetta, che sulla carta non offre al personaggio tutto il fascino e il carisma del modello Gordon Gekko/Wall Street.
Ma, forse, la grande rivelazione è il cast di supporto. Anne Hathaway è sicuramente una delle giovani attrici americane migliori e lo dimostra anche in quest’occasione, in un ruolo decisamente complesso, soprattutto per il pericolo di farsi schiacciare da un mostro sacro. Ma è Emily Blunt che sorprende tutti, con una prova malinconica e assolutamente indimenticabile, senza trascurare l’apporto fantastico di Stanley Tucci.
E, per un prodotto del genere, la sceneggiatura si prende dei rischi interessanti e il film non finisce completamente a tarallucci e vino. L’unica cosa che sorprende, fino a questo momento, è che non abbiano annunciato ancora un sequel…

2 – Little Miss Sunshine
Un ragazzo introverso, un nonno maniaco, uno zio con tendenze al suicidio e una madre frustrata. Posso capire i tanti finanziatori che non riuscivano a capire come questa potesse essere definita una commedia e decidevano di supportare altri progetti. Dopo quasi 100 milioni di dollari nel mondo, due Oscar e un mercato home video che sembra molto promettente, di persone che se ne sono pentite ce ne saranno tante.
Little Miss Sunshine può essere additato come quel tipo di cinema indipendente che non vuole più fare film di rottura (come capitava con Lynch, John Sayles, i fratelli Coen), ma che cerca di accontentare le major, proponendo prodotti più carini e ottimisti. Ma se i risultati sono questi (e non prodotti insignificanti come Schegge di April), ben venga. La pellicola ha tutto quello che dovrebbe avere un prodotto del genere. Intanto, un cast straordinario, in cui si trovano giovanissime promesse (non solo la meravigliosa Abigail Breslin, ma anche Paul Dano), vecchie glorie (Paul Arkin, giustamente premiato con l’Oscar) e attori apparentemente fuori parte (ma in realtà perfetti) come Steve Carell. Sulla carta, dovrebbero funzionare bene, ma il bello è che l’insieme è anche superiore alla somma delle singole parti, come se questi interpreti recitassero a stretto contatto da decenni.
E poi, si può discutere su alcuni punti non originalissimi della sceneggiatura (tutte le vicende legate al cadavere). Ma quando si realizza un finale così memorabile e allo stesso tempo così perfetto dal punto di vista cinematografico (perché trova una sintonia e una conclusione ottima a tutte le singole vicende), c’è solo da alzarsi il cappello in segno di rispetto.
In tutto questo, la coppia di registi non è certo all’altezza di Eastwood o Scorsese. Ma visto quanto si può rovinare un film da dietro la macchina da presa, va benissimo così…

1 – Borat
Ma non si era detto che gli Stati Uniti sono la patria del politically correct? E allora, da dove spuntano i 128 milioni di dollari incassati negli USA da una pellicola così razzista, omofoba e misogina? Perché il punto importante non è che Sacha Baron Cohen (in arte Borat) sia tale, ma che lo siano le sue vittime, che, prese di sorpresa, fanno emergere il loro lato più nascosto e meno presentabile.
Forse, il segreto di questo successo va ricercato in un’apparente anomalia. Se, sulla carta, si trattava di una pellicola in grado di scontentare tutti, in realtà, grazie ad un lavoro di marketing perfetto, si è rivelato un prodotto per un pubblico molto vasto. I liberal possono sorridere dei loro concittadini che più detestano, magari vedendo in Borat un prodotto sovversivo e rivoluzionario (cosa che, francamente, trovo eccessiva). I redneck si divertono comunque a vedere qualcuno preso in giro in questo modo e una comicità del genere ha sempre i suoi estimatori (come dimostra il caso Talladega Nights).
Ma, sostanzialmente, anche se sono convinto che Borat non sia un gran miglioramento dai tempi delle candid camera, è indiscutibile che sia una pellicola divertentissima, in certi momenti addirittura delirante. La scena del combattimento tra il protagonista e il suo produttore è ormai negli annali della storia del cinema (anche per essere stata citata ai Golden Globes), ma anche la visita dei protagonisti nella casa ebraica è notevole.
D’altra parte, oltre ad esserci l’apporto di un comico fantastico come Sacha Baron Cohen (che già ci aveva regalato il memorabile Ali G), dietro alla macchina da presa troviamo quel Larry Charles che è stato tra gli sceneggiatori delle fenomenali serie Seinfeld e Curb Your Enthusiasm. Insomma, tutto ha funzionato alla perfezione. Ora, speriamo di non vedere un Borat 2 (che senso avrebbe, ora che lo conoscono tutti?) e di passare al delirante giornalista austriaco Bruno

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