Le mode videoludiche e del perché i gourmet del videogioco non esistono
Una riflessione sulle "mode" videoludiche e su chi spesso le dileggia, ritenendosi un vero intenditore del videogioco
Innanzitutto, pare superfluo sottolineare come un videogioco possa avere successo non perché rappresenti in ogni sua componente il nuovo standard per il settore, ma anche solo per una sua caratteristica specifica che lo rende nuovo, originale, o anche solo divertente da giocare o bello da vivere per molti. Si pensi a Call of Duty, brand che vende milioni e milioni di copie quasi esclusivamente per la sua componente multiplayer, e che nel corso del tempo ha persino messo da parte la narrazione perché poco richiesta dai suoi fan. Che un gioco abbia successo non implica dunque che sia un capolavoro, ma al contempo non significa che venga giocato solo per abitudine e desiderio di imitazione.
[caption id="attachment_188222" align="aligncenter" width="1350"] La moda ieri...[/caption]
La moda, in realtà, può emergere e cementarsi in modi diffusi e diversi, senza che debba obbligatoriamente riproporsi sempre con lo stesso schema. Ad esempio, il caso Fortnite offre una prospettiva alquanto interessante da questo punto di vista: Epic Games si è inserita in un mercato che già esisteva, quello dei battle royale, ma lo ha fatto con delle scelte che l'hanno premiata (free to play, ad esempio). Nel caso di Fortnite la moda dunque esisteva già, ma era esplosa con un gioco che invece era totalmente estraneo a certi modi di pubblicizzare e supportare la propria opera: PUBG. In quel caso, il desiderio dell'autore di creare qualcosa che lui voleva ha incontrato la voglia di un certo pubblico di divertirsi nello stesso modo. Si pensi poi ad alcune mode del passato (e presente) videoludico, come Tetris, Minecraft o Candy Crush: hanno generato dei veri e propri fenomeni di costume che sì, si sono alimentati con la pubblicità diretta (marketing) o indiretta (streaming, video YouTube), ma che avevano già in nuce le qualità e le caratteristiche per intercettare una certa fetta d'utenza in un certo arco di tempo.
Non si pensi, infine, che il termine moda possa essere affibbiato solo ai fenomeni di costume di massa: anche le nicche, se vengono definite in questo modo, seguono una moda. Si pensi al mondo degli indie, dal cui successo è nata un'esplosizione di esperimenti e nuove esperienze dedicate a un pubblico più ristretto di quello delle grandi produzioni ad alto budget; oppure, si ricordi il periodo dell'ascesa (adesso in lieve declino) dei survival open world in prima persona, che spadroneggiavano le classifiche Steam a ogni nuova uscita.
[caption id="attachment_180361" align="aligncenter" width="1000"] ... e la moda oggi[/caption]
Ognuno di noi vive il contrasto tra il non seguire qualcosa di particolarmente famoso, e al contempo essere enormemente appassionata di un fenomeno altrettanto seguito. Magari guardiamo Il Trono di Spade ma ci annoiamo con Adventure Time; giochiamo ad Assassin's Creed ma ripudiamo Call of Duty; amiamo ascoltare musica italiana ma ci tappiamo le orecchie quando sentiamo la trap. La paura di far parte di una moda non deve spaventarci: non solo è normale, ma è anche bello, oltre che quasi obbligatorio. Ci si sente parte di una comunità che condivide dei gusti simili, e forse anche delle idee.
Ciò che dovrebbe essere dunque chiaro è che non esiste il gourmet del videogioco, chi ne capisce davvero e chi no in funzione della bellezza del gioco, dato che i suoi canoni e i suoi modelli variano a seconda di quanto variano le mode, e quindi in funzione di quanto e se cambiano i contesti culturali e produttivi della società. Al contrario, ci si può chiedere a posteriori del perché un certo gioco abbia successo o meno, cambiando la prospettiva d'analisi da "è bello o brutto?” in “è interessante o no?”.
Forse, solo così, smetteremo di avere paura delle mode, e inizieremo a focalizzarci sul perché si formano.