Le avventure di Tintin: usciva dieci anni fa l'unico possibile Indiana Jones 4
Il modello aureo di film d'avventura, pura creatività libera da ogni vincolo che mette insieme tre teste immense al servizio di un progetto impossibile
Non è un mistero che Tintin e Indiana Jones siano, a loro modo, legati. È stato leggendo delle recensioni francesi di I predatori dell’arca perduta che Steven Spielberg ha scoperto dell’esistenza del fumetto di Hergé (perché qualcuno paragonava il suo film a quello), se n’è innamorato e ha comprato i diritti per farci un film. Due volte. La prima subito, dopo aver parlato proprio con Hergé, e la seconda invece diversi anni dopo, quando dopo non essere riuscito a farne un film aveva accarezzato di nuovo l’idea. La seconda volta però aveva fatto una delle scelte migliori della sua carriera recente: si era associato a Edgar Wright e Peter Jackson, il primo a scrivere la sceneggiatura, il secondo a produrre e dare una mano con il motion capture. Il risultato di questo trio dei sogni è un film, semplicemente, perfetto che tuttavia non ha avuto la considerazione che merita. Che poi ha pure incassato 373 milioni in tutto il mondo a fronte di un budget di 137 ma come noto se l’incasso americano è scarso (e lo fu, solo 77 milioni) è difficile che un film possa essere considerato un vero successo.
Eppure Le avventure di Tintin - Il segreto dell’unicorno è senza dubbio uno dei film migliori di Steven Spielberg, una macchina d’avventura capace di convertire anche il più stolido tra chi condanna il cinema escapista con la forza del suo movimento e la leggerezza dei suoi personaggi, capace di ribaltare anche l’insostenibile aria da saputello di Tintin e ovviamente di portare un po’ più avanti il grande discorso sul cinema di Steven Spielberg.
La avventure di Tintin non contiene le grandi immagini di cui è capace Spielberg ma alcune delle transizioni migliori possibili, cioè è un film fondato sul movimento. Movimento dei personaggi ovviamente, che occupano la scena come nessun attore in carne ed ossa potrebbe fare e movimento della storia che incede in maniere impossibili altrimenti, sfruttando a pieno i mezzi del cinema.
È la storia della tensione verso un tesoro da parte di due entità, il gruppo dei cattivi e quello di Tintin, le cui corse giungono ad un certo punto a sovrapporsi nella scena pazzesca della discesa nel villaggio e poi solo alla fine si scontrano davvero. E in questo racconto di viaggi e rincorsa di qualcosa tramite diversi indizi trova posto anche un flashback, tutto in una sorta di unica messa in scena di sequenze dentro sequenze, unite da transizioni folli che imitano un impossibile piano sequenza unico. Non si svolge tutto in una finta unica ripresa, ovviamente, ma quei passaggi indolori cercano di ottenere il medesimo risultato con trucchi visivi che poi Spielberg in un certo senso avrebbe ripreso in War Horse l'anno dopo.
Il sogno impossibile di Spielberg è di raccontare mentre i personaggi corrono e si muovono, solo che questo non può avvenire sempre, allora ogni qualvolta sono fermi, è tutto il film a muoversi, sia con queste transizioni incredibili, sia con i flashback sia con alcuni momenti in cui la coreografia dei movimenti è eccezionale.
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Subissato di informazioni lo spettatore rischia di perdersi perché troppo avviene troppo in fretta, ma la semplicità spielberghiana, quella chiarezza espositiva incredibile, rende il film lo stesso digeribile, semplice e capace di lavorare con efficacia su sentimenti elementari che di colpo sono elevati a virtù cardinali. È la ricetta del cinema meno complicato in mano al cineasta (anzi ai 3 cineasti) che intendono l’intrattenimento per tutti nella maniera più complicata possibile. E diventa una gioia. Forse il modello perfetto di blockbuster, quello per il quale non serve sapere niente e che parla a tutti la lingua universale delle immagini.
Certo la tecnologia d’animazione in CG e il motion capture uniti funzionano veramente bene solo a tratti, e mentre le possibilità di creazione di ambienti, luci e illuminazioni è allo stato dell’arte, i movimenti dei personaggi e le espressioni non sono sempre al medesimo livello. Ma davvero è impensabile fermarsi su dettagli tecnici di fronte ad un film dotato di un’energia elettrica inesauribile, una fonte di azione che non è solo spettacolo bombastico ma precisa coreografia narrativa in cui finiamo sempre su un volto, siamo sempre trasportati su un gesto significativo e l’avventura pura è il fine ultimo. Non c’è mai un movimento che non sia funzionale a qualcosa, non c’è mai un’inquadratura buttata vita, ma è sempre occasione per una trovata o una soluzione che accresca quel che sappiamo.
L’immensa sequenza della discesa in città, in cui non uno ma tre pezzi di carta sono i MacGuffin, cioè i pretesti, gli oggetti che tutti vogliono e verso i quali tendono è proprio la realizzazione del sogno di Indiana Jones. Parte sul sidecar (mezzo tipico di Indiana Jones) quando il capitano Haddock come il padre di Indiana tentando di sparare ai nemici in realtà fa un danno, cioè fa crollare una diga. Ma a muoverla c’è un cuore umano. Perché Spielberg muove sempre tutti ma non li muove mai a vuoto. Haddock ha fallito in un compito importante, c’era una bottiglia di mezzo e visti i suoi precedenti Tintin lo accusa di essere un beone, il furto dei fogli di carta c’è già stato ma la scena può partire solo quando abbiamo anche il movente, qualcuno che deve dimostrare di essere più di quello che gli altri credono (Haddock è il vero protagonista del film).
Il resto è una caos ordinatissimo, il massimo della pianificazione per ottenere l’illusione del caos, tra distruzione, salvataggi, animali, caso, fortuna e una valanga di gag. Nessuno, se non forse Jackie Chan al suo apice, è capace di dire così tanto con le immagini, di infarcire una scena perfettamente coerente di così tante informazioni sulle relazioni tra personaggi. Il punto non è caricare il quadro ma fare in modo che i vari piani di profondità dialoghino tra di loro, cioè che ci sia sempre qualcosa che dal fondo viene verso il primo piano o viceversa, e che nel farlo cambi la composizione dell’inquadratura. Più complicato a dirsi che a farsi (se sei Steven Spielberg). È come ragiona anche Bong Joon-Ho, per dire, ed è come è possibile creare azione con il minimo degli stacchi e il massimo del coinvolgimento.
[caption id="attachment_506435" align="aligncenter" width="480"] Secondo piano che diventa primo piano, poi movimento del falco e poi curcuma[/caption]
Ma si può dire che ciò che avviene in questa sequenza mostruosa sia la versione ridotta di tutto quello che in Le avventure di Tintin - Il segreto dell’unicorno avviene tra scene e scene, con le transizioni e le piccole gag. È la spiegazione più chiara di una visione di cinema spettacolare che Spielberg ha inseguito per tutta la vita e che qui arriva ad una punta impossibile da eguagliare se non con un altro film animato.
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Libero dai vincoli della realtà e finalmente libero di raccontare e creare un mondo che non ha limiti quanto a possibilità, Spielberg crea un animale (questo film) che è la versione più pura del suo cinema.