Le altre star che sbroccano in macchina come Russell Crowe

Michael Douglas, Ben Affleck, Samuel L. Jackson e Giorgio Faletti hanno perso la ragione in macchina come Russell Crowe ne Il Giorno Sbagliato

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Chi? Michael Douglas, Ben Affleck, Samuel L. Jackson e Giorgio Faletti impazziscono come Russell Crowe.

Sì avete letto bene: Michael Douglas, Ben Affleck, Samuel L. Jackson e Giorgio Faletti, cui aggiungiamo anche il Leonardo Sbaraglia (meno conosciuto anche se il suo bacio con Antonio Banderas in Dolor y Gloria è indimenticabile) della pellicola argentina candidata all'Oscar Storie Pazzesche (2014), sono tutti impazziti o hanno avuto dei gravi problemi di gestione della rabbia partendo dal traffico congestionato delle città in cui recitavano. Ci piacerebbe citare tra loro anche Carey Loftin, ma lo stuntman che interpretò il ruolo del camionista aggressivo in Duel di Steven Spielberg è così indefinito da non avere un ruolo sociale, oltre che un volto riconoscibile, bensì un senso quasi metafisico nel capolavoro spielberghiano.

Insomma... non tutti sono fortunati come Ryan Gosling ed Emma Stone, i quali cominciano una lunga e complessa love story dopo essersi insultati nel traffico ballerino dell'incipit di La La Land (2016). Altri grandi attori nel ruolo di personaggi stressati hanno a differenza di Gosling e della Stone più preso la strada violenta del Russell Crowe de Il Giorno Sbagliato partendo dalle loro macchine, in una giornata di massimo nervosismo cinematografico. Rianalizziamoli brevemente.

Un Giorno di Ordinaria Follia (1993) di Joel Schumacher


un giorno di ordinaria follia

Michael Douglas è l'ex impiegato della Difesa che costruiva missili William Foster meglio conosciuto per tutto il film come D-Fense (nomen omen). Capello a spazzola, occhiali da ragioniere, camicia a maniche corte e tre penne infilate nel taschino. Scaricato dalla moglie (come Russell Crowe ne Il Giorno Sbagliato), vive con mamma ("Costruisce cose importanti per difenderci dai comunisti" dirà lei ai poliziotti). Imbottigliato nel traffico di Los Angeles come Marcello Mastroianni dentro un'imprecisata galleria nell'incubo soffocante all'inizio di (1963), lo vedremo lasciare stizzito la sua misera utilitaria Chevrolet Chevette e abbandonare a piedi quel groviglio di automobili dopo che la cinepresa era uscita dalla sua bocca e, proprio come in Fellini, lo avevamo sentito ansimare in una dimensione sonora platealmente onirica circondato da bambini casinari, una mosca fastidiosa, caldo soffocante (atmosfera fondamentale di tutto il film), una coppia presumibilmente gay impegnata a litigare con qualcuno a un cellulare bello grosso (ma non gigantesco come quello sfoggiato da Douglas sei anni prima in Wall Street di Oliver Stone) e un pupazzo di Garfield appiccicato al vetro di una macchina quasi a schernirlo. Il film vuole farci sentire come William. Quindi fa caldo, siamo bloccati nel traffico senza sapere perché (stesso incipit ma altra chiusa per il coevo videoclip dei R.E.M Everybody Hurts diretto da Jake Scott), nostra moglie ci ha lasciato, viviamo con mamma, cerchiamo un nuovo lavoro, siamo vestiti come dei nerd di mezza età, abbiamo una scarpa bucata come Charlot e attorno a noi dominano bambini festanti (noi non possiamo vedere nostra figlia Adele perché c'è un'ordine di restrizione) e coppie dall'orientamento sessuale diverso dal nostro possedendo un cellulare che noi ci sogniamo (telefoneremo spesso dalle cabine raccattando centesimi di dollaro per tutto il film). Pellicola ancora tutta da godere, girata nell'estate 1992 in una Los Angeles ancora scossa dalle rivolte per Rodney King, con un Michael Douglas capace di dare a William sempre più spessore col passare dei minuti e Schumacher abile a gestire un ibrido tra blockbuster, black-comedy e provocazione sociale anticipatore della violenza comica di Pulp Fiction (1994). Il fascino è tutto legato a un irresistibile borghese repubblicano con look anni '50 che sbrocca nei progressisti e politicamente corretti '90 rivelando lati estremamente umani, complessi, repellenti e dolcissimi insieme di un sé profondamente contraddittorio e quindi cinematograficamente vincente. Invecchiato assai bene anche grazie al poliziotto sensibile di Robert Duvall, sempre eccellente, e a una Los Angeles presentata in tutta la sua complessità multiculturale.

Ipotesi Di Reato (2002) di Roger Mitchell




Il ricco bianco avvocato senza scrupoli di Wall Street Ben Affleck guida una Mercedes-Benz Clk 430. Il povero afroamericano ex alcolizzato centralinista par-time per una compagnia assicurativa Samuel L. Jackson viaggia per il traffico di New York con una modesta Toyota Corolla. I due si urtano per colpa dell'avvocato bianco. La Toyota Corolla, piccolina, finisce pure con la ruota bucata. Entrambi hanno un appuntamento e vanno di corsa, ma lo yuppie ventinovenne ricco è così strafottente da lasciare la scena del crimine senza dare gli estremi della sua assicurazione dopo che il povero non ha accettato un assegno firmato in bianco. Da quell'incidente Gavin Banek (Ben Affleck) e Doyle Gipson (Samuel L. Jackson) cominciano un duello di fax, hacker bancari, svitamenti di bulloni e telefonate minatorie  che si trascina per tutta la giornata. Gavin vuole che Doyle gli restituisca un documento che ha perso mentre Doyle trasforma Gavin nella causa di tutti i suoi fallimenti esistenziali. Thriller cittadino politico (classi sociali opposte in lotta), ma anche metafisico (e se l'incontro fosse stato provvidenziale per entrambi?), Ipotesi di reato lascia senza fiato tanto i colpi di scena sono incalzanti e l’azione tesa. Bella sceneggiatura di Chap Taylor (da un suo soggetto) e Michael Tolkin forse un filo troppo esagerata in chiave ecumenica nel finale ottimista. Cast vibrante con un Ben Affleck perfetto tra ambizione sfrontata e crescente moralità, bravo a non farsi schiacciare dal monumentale di Samuel L. Jackson. E ogni volta che compare il “cattivo” Sidney Pollack - voleva fare l'attore prima che il regista - il film acquista in solennità. Fu un ottimo successo di pubblico dall'eclettico regista inglese di Notting Hill Roger Michell, presente all'ultima Mostra del Cinema di Venezia 2020, Fuori Concorso, con il brillante The Duke.

Cemento Armato (2007) di Marco Martani



Lo strafottente Diego (Nicolas Vaporidis), fidanzato con la bella Asia (Carolina Crescentini), vuole tutto e subito e soprattutto non ha pazienza quando percorre la famigerata tangenziale romana, che collega il Sud al Nord della capitale, anche se non si trova dentro un'ingombrante quattroruote bensì a bordo del suo più agile motorino Honda 125 Sh. Invece di avere la pazienza di aspettare quello spazio che si crea sempre tra le macchine per zigzagare, Diego quel giorno ripeterà come fosse niente quel gesto ignobile che probabilmente fa da molto tempo ovvero scalciare gli specchietti retrovisori delle macchine per passare agevolmente in mezzo alle due file col motorino. Peccato che colpirà lo specchietto sbagliato. Prigioniero del traffico della tangenziale quel giorno c'è infatti anche il Primario (Giorgio Faletti), chiamato così perché quando arrivò a Roma faceva il portantino. E ora che fa? Il gangster. Aiaiai. L'idea alla base dell'esordio nel lungometraggio dello sceneggiatore ex critico cinematografico Marco Martani fu di prendere i corpi di Notte Prima Degli Esami (2005; Vaporidis, Faletti, Crescentini presente nel sequel del 2007) e trasportali dentro un noir metropolitano. Oggi ripensiamo a Cemento Armato con crescente affetto. Ancora non era esploso il gangster movie all'italiana grazie alla serie tv Romanzo Criminale (2008) ed ecco Martani mettere in scena criminalità, spaccio di droga, violenza sessuale, killer e commissari di polizia corrotti (ottimo Dario Cassini che presto rivedrete in grande forma ne I Predatori di Pietro Castellitto). I balordi di contorno funzionano alla grande. Quello magro che ci tiene allo stile ma sputa come un maiale e picchia a sangue Ninetto Davoli (chi era? Un giovane Pietro Ragusa). Oppure il personaggio di Cima (Gerolamo Alchieri), che va sempre in giro in tuta mimetica e ci giureresti che nei ’7o era fascio e bombarolo. Anche l’afroamericano bello e letale Said (Thamisanqa Molepo), braccio destro del Primario, è piuttosto inquietante. Gli uomini del capo dei duri. Il capo no. E quando lo sentiamo sibilare il cognome di Diego nella scena madre finale (“Santiiiiini”) ci aspettiamo che il ragazzo risponda: “Sì professore?” perché l'interazione di sguardi è troppo simile a quella ottima tra Faletti e Vaporidis ai tempi della strana amicizia tra il docente e l'alunno indisciplinato di Notte Prima Degli Esami. Tosto e sorprendente il finale. In conclusione un'operazione oggi da rivalutare, o valutare con più attenzione, e che all'epoca portò a casa più di un milione di euro al botteghino e tre candidature ai David di Donatello (Miglior Regista Esordiente, Miglior Canzone Originale, Migliori Effetti Speciali Visivi). Martani non tornò più dietro la macchina da presa.

Conclusioni

Da un evento scatenante accaduto sulla strada, sia che sia un incidente sia che sia l'esaurimento nervoso del leader della pellicola, possiamo così assistere a dei blockbuster metropolitani black comedy in cui immedesimarci pericolosamente col protagonista moralmente sfaccettato (Un Giorno Di Ordinaria Follia), thriller politici sul conflitto di classe dall'intento ecumenico (Ipotesi Di Reato) e noir in cui ripensare in chiave cinematografica corpi precedentemente esplosi al botteghino come commedianti o innamorati (Cemento Armato).

Il giorno sbagliato, il thriller psicologico con Russell Crowe, è nelle sale dal 24 settembre.

Cosa ne pensate del nostro speciale su Russell Crowe e le star che sbroccano in auto? Ditecelo nei commenti!

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