L'amica geniale - Storia del nuovo cognome: la seconda stagione tra orrore e fiaba
L'amica geniale alla seconda stagione parla un linguaggio più sperimentale, capace di giocare con i simboli dell'orrore e della fiaba
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L'amica geniale è una storia di orchi deformati che sussurrano parole gentili e di fate blu ridotte in cenere. L'ultimo residuo di un infanzia lontanissima muore così, in due immagini tratte dal primo e dall'ultimo episodio di Storia del nuovo cognome. E nel mezzo ci sono le porte, tantissime e tutte chiuse. Sono le porte blindate di appartamenti bui e spaventosi, sono quelle a vetri di un albergo, o ancora quelle di bagni chiusi a chiave dall'interno, e infine quelle di un negozio in centro nell'orario di chiusura, quando la serranda è quasi abbassata e solo uno spiraglio di luce filtra all'interno. Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher ce le raccontano come barriere che separano da un orrore tangibile e fisico, e si appoggiano spesso ad un linguaggio di genere per comunicarcelo.
Qui L'amica geniale torna indietro, chiude un cerchio tra infanzia e adolescenza nella sintesi dei personaggi di Achille e del figlio Stefano. È ancora Lila, timorosa dietro una porta (ritorna questa immagine), quando era andata a chiedere la restituzione delle bambole insieme a Lenù. Nei suoi occhi di bambina Achille era l'orco delle fiabe, e così ora lo è Stefano. Orco di ben altra fattura, ma l'incontro con un Carracci segna sempre la fine di qualcosa, il furto di qualcosa. La perdita delle bambole, la violazione del proprio corpo. Da questo momento in poi non si tornerà più indietro. E questa tragica consapevolezza da parte di Lila emergerà sempre, in una continua negazione di tutto ciò che la lega a Stefano.
"Fiaba sociale", storia di streghe, inno all'autodeterminazione. L'amica geniale in queste soluzioni visive e registiche integra il concetto stesso di smarginatura nel tessuto delle vicenda, e ne fa materiale per raccontare i propri temi. Tutto può essere deformato, e non è detto che sollevare il velo della realtà – o aprire quelle famose porte – conduca alla felicità. Il resto è solo rivelazione e illuminazione improvvisa. I corpi delle donne si deformano – sì, nulla sfugge all'idea di trasformazione, che è così vicina al linguaggio della fiaba – attraverso gli occhi di Lenù. Nel finale della seconda puntata, che si chiama proprio Il corpo, Lenù attraversa il rione dopo aver ascoltato uno sfogo di Lila sul mutamento del fisico dovuto alla maternità.
In quei corpi "imbruttiti" è celato anche il legame meraviglioso e complesso con sua madre, spesso definita dal suo fisico claudicante, che Lenù rifiuta istintivamente. Una negazione che torna ancora e ancora nel corso della stagione, come primo pensiero dopo il suicidio di Giuseppina. E che culmina, ancora una volta con un linguaggio da horror, in un incubo delirante in cui è la stessa Lila a richiamarla alla maternità. In tutte queste intuizioni di messa in scena, L'amica geniale si eleva rispetto al puro dramma di riscatto, elabora simboli, racconta forme di disagio che sono intime prima che sociali. E chiude tutto con la distruzione in un fuoco della fiaba scritta da una bambina ormai dimenticata.