L’alba dei morti viventi, vent’anni (e una pandemia) dopo
L’alba dei morti viventi compie vent’anni, e da allora sono successe un po’ di cose: ecco com’è rivederlo oggi
L’alba dei morti viventi di Zack Snyder uscì nei cinema il 19 marzo 2004
L’alba dei morti viventi: alcune considerazioni
D’altra parte, nessuno oggi si sognerebbe neanche di stupirsi se un progetto come L’alba dei morti viventi venisse affidato a Zack Snyder, un altro degli uomini più potenti di Hollywood e uno che in carriera ha sempre avuto la libertà (e pure la voglia) di fare un po’ quello che gli passava per la testa. Nel 2004, però, Snyder era un debuttante assoluto: l’idea di affidargli un progetto così importante e delicato sembrava una follia, soprattutto se pensate che una delle prime cose che si seppero del film fu che gli zombi sarebbero stati corridori, non lenti e barcollanti come nell’originale (ne avevamo parlato approfonditamente qui).
Insomma: con gli occhi dell’oggi, e con tutte le carriere che abbiamo visto stroncate da pessimi remake di famosi franchise horror e non solo, L’alba dei morti viventi sembra una follia, che probabilmente nel 2024 non troverebbe uno straccio di produzione disposta a rischiare di spendere soldi solo per far infuriare un fandom notoriamente geloso delle proprie passioni. Vent’anni fa, evidentemente, circolava roba più convincente a Hollywood, per cui la domanda da farsi è: con il senno di poi, hanno fatto bene quelli con i soldi a gettarsi in questo potenziale suicidio commerciale e culturale?
La risposta è sì
Facile: sì. Intendiamoci: L’alba dei morti viventi è un film che può essere respingente, soprattutto se ci arrivate dal lato dei fan degli zombi classici. Non è un vero remake del film di Romero, più che altro una riscrittura basata sulla stessa idea di base – ci sono gli zombi, e c’è un gruppo di persone che si rinchiudono in un centro commerciale per sopravvivere – con molta più azione, molti più personaggi (e quindi dinamiche), molti più soldi e quindi anche molti più zombi, sangue ed esplosioni. Ha già qualche tratto distintivo del cinema di Snyder (i rallenty eccessivi e un po’ gratuiti su tutti), e ha un’estetica e dei colori che urlano “primi anni Duemila” da ogni fotogramma. E ovviamente, è un film nel quale i morti viventi corrono.
Se anche uno solo di questi elementi vi disturba, è facile che L’alba dei morti viventi di Snyder non vi sia piaciuto vent’anni fa e continui a non piacervi oggi. Non sta a noi farvi cambiare idea, né accusarvi di pregiudizi: i film di genere funzionano anche perché hanno delle regole e dei codici, e cambiarne uno così fondamentale come la velocità di deambulazione dei morti viventi è potenzialmente un “no” preventivo e giustificato per molta gente. Quello che vogliamo dire è che, se andate oltre a queste incompatibilità, non potrete non ammettere che James Gunn ha fatto un lavoro ottimo, e Snyder l’ha messo in scena con il piglio giusto.
L’alba dei morti viventi è un film sui vivi
I migliori film di zombi, si dice, sono quelli che parlano dei vivi più che dei morti, e che usano questi ultimi come stratagemma per mettere alla prova i protagonisti. Ci sono anche approcci più filosofici alla questione (dovrebbe uscire a breve un film tratto da L’estate dei morti viventi di John Ajvide Lindqvist, a questo proposito), che però L’alba dei morti viventi decide di ignorare, per concentrarsi sul manipolo di persone a caso che finiscono intrappolate nel centro commerciale. Gunn se ne inventa una grande quantità, e quindi non tutte sono azzeccate o memorabili; ma ce ne sono abbastanza da rendere interessante il film anche al di là delle teste che saltano o degli arti mozzati.
La coppia in attesa di un figlio (che arriverà in un modo che ci piacerebbe poter dimenticare) è un esempio. La coppia di protagonisti effettivi composta da Sarah Polley e Jake Weber. Il baffuto C.J. dell’allora quasi sconosciuto Michael Kelly. Ma ci sono tanti altri tocchi deliziosi: Nicole e il suo cane, oppure Andy, il tizio del negozio di armi con il quale i nostri eroi comunicano esclusivamente tramite cartelli e riescono comunque a stringere una faticosa amicizia da sopravvissuti. È un cast di gran belle facce da cinema che vengono fatte interagire in modo interessante, come d’altra parte oggi ci si aspetta da un film scritto da James Gunn.
E questo potrebbe riuscire, a nostro avviso, anche a farvi superare la vostra avversione per questa versione moderna, ipercinetica e iperrealista del classico di Romero. Cioè: è un film nel quale si parteggia per (alcuni dei) personaggi, e si finisce anche per empatizzare con i più importanti tra loro. In un horror non è mai una cosa scontata, né lo è (possiamo dirlo?) in un film di Snyder. Forse non sarà il suo migliore, ma resta uno dei suoi progetti più azzeccati.
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